È noto, l’esperienza umana è lastricata di discriminazioni. Dal latino discrimen si traduce nel termine “separazione”. Una società che discrimina è una società in conflitto, in cui le persone sono divise le une dalle altre. È il modello teorizzato da Hobbes, in cui “l’uomo è lupo per l’altro uomo”.
Invece la società che discerne – dal latino “discernere”, da cui deriva lo stesso discrimen – è una società in cui ogni uomo e ogni donna distinguono e separano, nel loro animo, il buono dal cattivo per una pacifica convivenza con l’altro. È il modello pensato da Aristotele prima e da Hegel poi, in cui le persone dotate di autocoscienze formate, “riconoscono” nell’altro un alleato, un membro della comunità.
Il mondo del lavoro nasce condizionato dal modello hobbesiano. Si anima a partire dall’idea di conflitto tra una parte forte, il capitale, e una parte debole, il lavoro, ma anche dalla “separazione” tra lavoratori forti e lavoratori deboli, che si distinguono in base al possesso o meno di una determinata capacità produttiva.
Una contraddizione per la borghesia capitalista che, con la Rivoluzione francese del 1789, aveva soppiantato il feudalismo nel segno degli ideali di fraternità, uguaglianza e libertà. Ma, allo stesso tempo, anche un pericoloso contraltare alla natura di strumento partecipativo e solidale riconosciuta al lavoro dalla Costituzione del 1948.
Sfruttamento e discriminazione della classe operaia sono due dei principali tratti che hanno dato un volto al fordismo. Da un lato, braccia operose e silenziose – la “carne triste” raccontata dalla letteratura novecentesca - dall’altro lato, donne, bambini, anziani, disabili o semplicemente dissenzienti vittime di abusi e vessazioni.
La discriminazione di genere
Complici i rigurgiti del passato, il lavoro è ancora oggi spesso luogo di discriminazioni.
Ne sono un esempio quei molteplici, e apparentemente neutri, atteggiamenti capaci di ferire e danneggiare persone che sono espressione di una certa razza, origine etnica, età, nazionalità o di un determinato genere, orientamento religioso e politico, oppure disabili.
Secondo l’indagine WorkForce in Europe 2018, nel nostro Paese il 42% dei lavoratori interpellati, a fronte del 34% della media europea, avverte di essere discriminato per età anagrafica, genere, background, livello di istruzione, nazionalità, religione, aspetto fisico e sessualità.
La discriminazione di genere è una delle ferite aperte più suppuranti. Alla luce del Gender Gap Report 2020, l’Italia si classifica alla 76° posto per disparità di genere rispetto ai 153 Paesi coinvolti mentre per World Economic Forum nel 2021, il nostro Paese vanta un tasso di occupazione femminile basso. Nel 2018 era del 49,5%, contro quello maschile del 67,6%, della popolazione tra i 15 e i 64 anni.
Le possibili soluzioni
Insistere sull’equa rappresentanza di donne e uomini negli organi direttivi delle aziende, sulla lotta al gender gap retributivo, sulle pratiche di conciliazione tra i tempi di vita e lavoro per favorire l’inclusione delle madri e dei padri, sui servizi di welfare cuciti su misura delle esigenze dei singoli lavoratori e sullo smart working sono solo alcune delle possibili soluzioni.
La realizzazione di azioni e programmi così ambiziosi può portare ad ottenere benefici a sollievo della spesa pubblica. L’inclusione delle lavoratrici, che hanno un’aspettativa di vita superiore a quella degli uomini, amplia la platea dei contribuenti al sistema previdenziale mentre quella dei disabili immette nel sistema tanta energia lavorativa.
Le politiche Diversity e Inclusion
Nella tempesta, da più di un anno, si intravede una crepa di luce: ad aprire la strada ad un nuovo solco culturale sono intervenute le Linee Guida sul Sistema di Gestione per la Parità di Genere. È l’avvio concreto di una serie di politiche, le c.d. Diversity e Inclusion.
La speranza è che si moltiplichino iniziative come questa. Il mondo del lavoro sarà salvo dalle discriminazioni, solo quando supererà l’“eyeball test” di Philip Pettit, quando una persona guarderà all’altra senza condizionamenti, con quella che Albert Schweitzer definisce profonda semplicità. Solo allora, anche tracciare un discrimen equivarrà a “discernere”.
Le diversità, in fondo, sono solo negli occhi degli uomini.
Per approfondire il tema, vedi "Diversità e Inclusione. Gli impatti nella realtà lavorativa e le nuove regole per la certificazione per la parità di genere” a cura di Ciro Cafiero.