lunedì 01/05/2023 • 06:00
In occasione della Festa dei lavoratori del 1° maggio, si riassumono brevemente le principali tutele predisposte dal nostro ordinamento in favore dei lavoratori medesimi, indicando altresì talune questioni di particolare rilevanza al riguardo, nell'attuale contesto socio-economico.
La normativa del XX secolo
Il codice civile, già nella sua versione originaria del 1942, conteneva diverse disposizioni particolarmente importanti in merito alla posizione dei lavoratori dipendenti, tuttora in vigore: tra le altre, si ricordano quelle che sanciscono la tutela delle condizioni di lavoro (art. 2087 c.c.), la limitazione ex lege della durata della prestazione di lavoro (art. 2107 c.c.), il diritto ad un periodo di riposo (art. 2109 c.c.), la protezione in caso di infortunio, malattia e gravidanza (art. 2110 c.c.), la previdenza e l'assistenza obbligatorie (artt. 2114 ss. c.c.).
La nostra Costituzione del 1948, poi, non solo celebra il lavoro più volte nei suoi principi fondamentali (“L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” – art. 1; l'uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, espressamente riferita anche ai lavoratori; “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” – art. 4); ma appositamente lo tutela nel suo Titolo III, agli artt. 35-40 che riconoscono, tra gli altri, il diritto alla retribuzione proporzionata ed in ogni caso sufficiente (art. 36), l'uguaglianza tra lavoratori e lavoratrici (art. 37), il diritto all'organizzazione sindacale e allo sciopero (artt. 39 e 40).
Con due leggi pubblicate a distanza di pochi anni (la L. n. 604 del 1966, e la L. n. 300/1970, cioé il famoso “Statuto dei Lavoratori”), sono stati invece introdotti importanti limiti alla facoltà di recesso dal rapporto di lavoro da parte dell'imprenditore. Nello specifico, si tratta dell'obbligo di motivazione del licenziamento, che deve essere sempre comunicato per iscritto; della necessità di far precedere il licenziamento disciplinare da un peculiare procedimento, nell'ambito del quale gli addebiti devono essere tempestivamente e dettagliatamente contestati al lavoratore, e quest'ultimo ha la possibilità di presentare le proprie giustificazioni; del diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro, in caso di licenziamento illegittimo intimato da una società con più di 15 dipendenti.
I suddetti limiti sono stati quindi interpretati e meglio precisati da una davvero corposa giurisprudenza, sviluppatasi nell'arco oramai di oltre 50 anni.
La normativa del XXI secolo
Gli ultimi venti anni hanno visto una vera e propria proliferazione della legislazione giuslavoristica, inevitabile del resto, a fronte delle incredibili novità tanto dal punto di vista tecnologico-produttivo, quanto da quello dei diritti sociali, che si sono verificate in questo pur relativamente limitato arco temporale.
La nuova legislazione, spesso di derivazione comunitaria, ha riguardato molteplici materie, in diversi casi disciplinate in modo organico ed anche innovativo.
E così, si ricordano in particolare:
Non si può inoltre omettere di menzionare le riforme del 2012 (cd. Riforma Fornero) e del 2015 (cd. Jobs Act), che sono intervenute, tra le altre cose, sulle conseguenze del licenziamento illegittimo; le varie e sostanziali modifiche apportate alla disciplina dei contratti “atipici” (contratto di lavoro subordinato a tempo determinato e a tempo parziale, apprendistato, lavoro intermittente) e della cd. parasubordinazione (contratto di collaborazione coordinata e continuativa, contratto di lavoro a progetto).
Il risultato è che le tutele dei lavoratori - non solo subordinati - sono oggi contenute in un corpus molto sviluppato (non si devono peraltro dimenticare, a livello di sostanziali fonti del diritto del lavoro, le numerose pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione a Sezioni Unite), anche se invero piuttosto complesso.
Le questioni attualmente più “calde”
Eppure, a parte le migliorie/variazioni delle disposizioni già in essere da taluni auspicate, sembra che molti altri temi in realtà possano richiedere l'intervento del legislatore.
Ci si riferisce ad esempio alla vexata quaestio del cd. “salario minimo”, ossia la richiesta che la retribuzione base sia stabilita per tutti i lavoratori direttamente dalla legge (mentre da molti decenni oramai i minimi retributivi sono individuati dai contratti collettivi nazionali di lavoro applicabili ai singoli settori produttivi).
Oppure, alla puntuale regolamentazione dei rapporti tra le nuovissime tecnologie introdotte (algoritmi, intelligenza artificiale) e i diritti fondamentali dei lavoratori.
E ancora, i lamentati irrisolti nodi della lotta alla precarietà.
E da ultimo, l'attenzione verso un diverso paradigma, che concili il diritto/dovere costituzionale al lavoro con le esigenze di una vita meno frenetica ed esclusivamente/prevalentemente “labour-oriented”: si pensi alle proposte di mantenimento del trattamento retributivo, pur con una riduzione dell'orario di lavoro (a parità di produttività però?).
Interrogativi e argomenti, quelli sopra, che sicuramente si avrà modo di commentare ancora nel prosieguo, anche rispetto ad una produzione normativa e/o giurisprudenziale ad hoc che potrebbe avvenire anche a breve.
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