mercoledì 05/04/2023 • 06:00
Il concordato preventivo biennale, consentito dalla delega fiscale per i titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo, rischia di mettere in difficoltà l’Agenzia delle Entrate nel formulare proposte di definizione sufficientemente personalizzate a milioni di operatori interessati.
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La delega, le narrazioni del malessere, le bandiere politiche e il concordato preventivo
L'autodeterminazione delle imposte fa affidamento sulle affidabili procedure contabili dell'industria, delle banche, della grande distribuzione, delle assicurazioni, della pubblica amministrazione, utilizzate per determinare soprattutto presupposti economici di terzi, cioè consumatori, risparmiatori, lavoratori, dirigenti, amministratori e soci di queste organizzazioni.
Dove questa determinabilità documentale non arriva, o non è affidabile, non può essere efficientemente imposta per decreto legge, come si è tentato di fare nei decenni della cosiddetta lotta all'evasione. Quest'ultima si illudeva di poter esportare la ragioneria dove essa non è necessaria, in quanto il titolare di attività economiche medio piccole ne gestisce direttamente i relativi incassi e pagamenti. Egli non ha quindi bisogno di un direttore amministrativo, e può facilmente stornare per i propri bisogni personali e familiari una quota significativa degli incassi, omettendone la registrazione ai fini tributari. Si tratta dell'evasione materiale di massa filo conduttore di tanti miei volumi, non certo risolvibile con un razzismo sociale verso fantomatici contribuenti disonesti.
Esse hanno infatti spiegato un fenomeno socialmente strutturale in modo sbagliato e politicamente avventato, contribuendo in qualche misura a risultati elettorali non esaltanti. Anche le opposte narrazioni politiche, quelle secondo cui l'evasione materiale di massa sarebbe colpa delle aliquote troppo elevate sono quantomeno semplicistiche, trascurando la diversa determinabilità dei presupposti economici d'imposta. Da una parte abbiamo un orientamento politico, che si riempie la bocca di lotta all'evasione, anche se poi si guarda bene dal farla, in quanto intuisce il bilancio politico che ho indicato sopra (senza rendersi conto che per perdere consenso basta la parola senza bisogno che ad essa seguano i fatti). Dall'altra parte però, un altro orientamento politico rimuove il problema della sperequazione tra presupposti d'imposta diversamente determinabili oppure lo rinvia a tempo indeterminato, come col concordato preventivo biennale.
Quest'ultimo costituiva infatti un effetto di annuncio lanciato anche nel 2003 dal governo, con parole d'ordine molto simili a quelle utilizzate dal governo attuale. Anche se sono passati vent'anni e l'opinione pubblica ha la memoria inevitabilmente corta, basta una ricerca in rete per ricordare che questa fuga in avanti fu un clamoroso flop, con poche domande e gettito assolutamente trascurabile. Il punto in comune di entrambe le proposte è di rimuovere il problema del controllo fiscale, semplicemente negandolo. Capisco perfettamente l'imbarazzo a pronunciare parole che anche a mio avviso andrebbero rimosse dal lessico tributario, come lotta all'evasione, però un problema di determinazione credibile dei suddetti presupposti d'imposta esiste, e tutti lo sanno. Si tratta di affrontarlo senza razzismi sociali e il criterio preventivo del concordato non vi si presta assolutamente.
Modalità di monitoraggio dell'evasione di massa
Occupandomi dal 1988 di evasione materiale di massa, e parlando con molti di coloro che hanno discusso il problema a livello ministeriale, ricordo una costante nei discorsi. I contribuenti in esame, anche depurati dalle finte partite IVA monocliente, sostanzialmente lavoratori dipendenti e da altri operanti comunque business to business, cioè verso aziende organizzate ed enti pubblici, sono comunque talmente numerosi da essere ingestibili per gli uffici tributari. Non che questi ultimi siano carenti di personale rispetto ad altri paesi Europei, ma questo è distribuito eccessivamente sull'amministrazione di servizio e di supporto /gestione del dichiarato, ed i controlli contro l'evasione interpretativa, specie dei grandi contribuenti.
Nel 2010 la ciliegina sulla torta è stata l'accentramento su base provinciale degli uffici controllo dell'Agenzia delle Entrate, collocati spesso a centinaia di chilometri dai piccoli operatori di loro competenza; ad esempio il famoso blitz di Cortina comportava lo spostamento dei funzionari da Belluno, a circa 100 chilometri di distanza. Basta prendere qualche numero dal sito del MEF sul numero di contribuenti definiti “minori”, soggetti agli studi di settore prima della loro abolizione, per capire che si tratta del 95 percento circa del totale. Il concetto è infatti legato a un volume di ricavi inferiore a 5,16 milioni di euro, in cui rientra di tutto, dal pasticciere al tassista alla clinica privata, all'impresa di vigilanza, logistica o pulizie con decine di dipendenti. Invece di disaggregare la categoria delle imprese minime, la legge delega le continua a trattare come un tutt'uno, proponendo il concordato preventivo biennale. Se è vero, come è vero, che il numero dei contribuenti minori è il problema reale, il concordato preventivo biennale si presenta come semplicemente ingestibile per ragioni di quantità e di risorse disponibili. Appare invece di tutta evidenza che il problema andrebbe affrontato secondo il banale buonsenso suggerito in un mio volume sopra citato, cioè con un ripensamento dei controlli ex post, cui nei fatti i più avveduti dirigenti dell'agenzia delle entrate stanno già arrivando. Servono cioè controlli più snelli, effettuati sul passato di annualità recenti, e rivolti a migliorare l'adempimento futuro.
Il controllo deve cioè smettere di essere visto come una fonte di gettito, ma come uno stimolo all'adempimento futuro, in quanto fa avvertire la presenza valutativa degli uffici tributari sul territorio. Banalmente, se non si riesce oggi a controllare un numero apprezzabile di operatori minori, come si farà a gestire in modo serio un concordato preventivo biennale che potenzialmente li riguarda tutti? Sarebbe quindi auspicabile che, in sede di discussione della delega, fosse affrontata la dura necessità di costruire, in parallelo alla determinazione documentale delle imposte, esternalizzata sugli uffici contabili di aziende e amministrazioni pubbliche, una determinazione valutativa dove quella contabile non è attendibile. Il governo ha perso un'occasione per ridimensionare criticamente tante esagerate esasperazioni e seccature che si accompagnavano alla narrazione della lotta all'evasione dalle soglie del contante, alla tracciabilità, alla pretesa di trasformare chi prende un cappuccino in sostituto d'imposta del barista, con la comico-patetica lotteria degli scontrini e il suicida cashback anche sui pagamenti al supermercato. Invece la delega cavalca la narrazione delle banche dati e della tracciabilità affermando nella relazione che in base ad esse una proposta sarà formulata dall'Agenzia delle entrate, anche utilizzando le banche dati e le nuove tecnologie a sua disposizione e che nella formulazione della proposta dovrà tenersi conto anche dell'andamento dei diversi settori economici.
Sembra proprio che la cultura della valutazione non voglia esser fatta tornare all'interno degli uffici tributari, per stimare serenamente l'ordine di grandezza dei ricavi ai consumatori finali. Anche qui c'è una clamorosa trascuratezza, nella delega, che mette sullo stesso piano tutti i ricavi e compensi dei contribuenti minori, senza distinguere quelli B2B e B2C.
Per i primi operano già infatti efficienti contrasti d'interesse col cliente, mentre solo per i secondi esiste da decenni il problema dell'evasione in senso materiale. Era su questo secondo segmento di ricavi che doveva concentrarsi la stima, tenendo conto che già oggi essi vengono decurtati dall'evasione in senso materiale sia per quanto riguarda le imposte sui redditi sia per quanto riguarda l'imposta sul valore aggiunto. Una forfettizzazione rilevante anche ai fini IVA, giustificata con la possibilità di evasione in senso materiale, avrebbe sicuramente retto in sede europea, anziché mettere in cantiere un concordato a due zampe, non valido per l'IVA ma solo per le imposte sui redditi. Invece di guardare ai ricavi tout court si sarebbe dovuto guardare alla possibilità di accertamento presuntivo escludendolo in caso di concordato preventivo biennale relativo ai soli ricavi e compensi B2C, mantenendo fermi gli ordinari obblighi di fatturazione e di certificazione dei corrispettivi. Il problema dell'evasione materiale di massa non riguarda insomma tutte le imprese minori, ma solo i loro ricavi e compensi al pubblico, verso i consumatori finali. Sono le basi da cui ricominciare il discorso.
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