giovedì 02/03/2023 • 06:00
In caso di declaratoria di illegittimità della cessione del ramo d’azienda, il lavoratore ceduto che abbia ottenuto il ripristino del rapporto di lavoro con il cedente può ottenere il risarcimento del danno subito per il periodo antecedente al ripristino del rapporto di lavoro solo dal momento in cui abbia provveduto a costituire in mora il datore.
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Il lavoratore ceduto che ottenga la ricostituzione del rapporto di lavoro con il cedente a seguito della dichiarazione di illegittimità della cessione di ramo d’azienda ha diritto alle retribuzioni per il periodo successivo alla pronuncia giudiziale, mentre per il periodo compreso tra la cessione del ramo di azienda e la pubblicazione del provvedimento giudiziale di illegittimità della citata cessione, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito, dedotto l’eventuale aliunde perceptum, soltanto a partire dal momento in cui abbia provveduto a costituire in mora il datore di lavoro cedente, offrendo la propria prestazione lavorativa. A queste conclusioni è pervenuta la Cass. 24 febbraio 2023 n. 5788.
Il caso di specie
La lavoratrice ha agito in giudizio per ottenere la condanna della società cedente al risarcimento del danno subito nell’arco temporale compreso tra cessione del ramo d’azienda cui apparteneva la lavoratrice e la sentenza con la quale era stata accertata, con efficacia ex tunc, l’illegittimità della cessione del ramo d’azienda, cui era conseguito il diritto della lavoratrice medesima al ripristino del rapporto di lavoro con la società cedente.
I precedenti gradi del giudizio
In primo e in secondo grado il ricorso promosso dalla lavoratrice era stato rigettato.
La Corte d’appello ha riconosciuto che, a seguito della dichiarazione di illegittimità della cessione del ramo d’azienda, il rapporto di lavoro della lavoratrice ceduta deve essere ricostituito con la società cedente, con effetto dalla data di cessione del ramo d’azienda.
Da tale accertamento, secondo i giudici di primo e secondo grado, deriva il diritto della lavoratrice a ricevere le retribuzioni maturate sin dalla cessione del ramo d’azienda dichiarata illegittima. Tale diritto retributivo è subordinato, tuttavia, alla costituzione in mora del datore di lavoro da parte del lavoratore.
La Corte d’appello ha accertato che la costituzione in mora del datore di lavoro era avvenuta solo a seguito della pubblicazione della sentenza di primo grado di accertamento della illegittimità della cessione del ramo d’azienda. La costituzione in mora del datore non può, infatti, ritenersi implicitamente integrata nel ricorso introduttivo del giudizio volto ad ottenere la declaratoria di illegittimità della cessione del ramo d’azienda.
Sulla base di tali principi, la Corte d’appello, confermando la decisione del Tribunale, ha affermato che alla lavoratrice non sono dovute le retribuzioni per il periodo compreso tra la cessione del ramo d’azienda e la pubblicazione della sentenza che accerta la illegittimità della cessione, essendo la costituzione in mora del creditore intervenuta solo a seguito della pronuncia giudiziale.
La decisione della Suprema Corte
La Corte di Cassazione evidenzia che, in ipotesi di declaratoria giudiziale di illegittimità della cessione del ramo d’azienda, al ripristino del rapporto di lavoro tra il lavoratore illegittimamente ceduto e il datore di lavoro cedente conseguono le originarie obbligazioni contrattuali tra le parti e, in particolare, l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni.
Pertanto, il datore di lavoro cedente che non ricostituisca il rapporto di lavoro senza giustificato motivo, nonostante la pronuncia giudiziale di sussistenza del vincolo contrattuale, dovrà farsi carico di corrispondere al lavoratore le retribuzioni pur senza ricevere la controprestazione lavorativa.
Al contrario, ad opinione della Suprema Corte, nel periodo antecedente la pronuncia di illegittimità della vicenda traslativa (sin dalla cessione del ramo d’azienda) il rapporto di lavoro rimane quiescente e in mancanza di effettiva prestazione lavorativa non sorge alcuna obbligazione retributiva a carico del datore di lavoro cedente.
In seguito alla pronuncia giudiziale di illegittimità della cessione, ad avviso della Corte di Cassazione, la mancata ricezione della prestazione lavorativa anche nel periodo antecedente costituisce comportamento inadempiente del datore di lavoro. Il lavoratore può, quindi, agire per il risarcimento dei danni subiti, eventualmente commisurati alle mancate retribuzioni (cioè, alla differenza tra quanto percepito dalla società cessionaria e quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire in caso di continuità del rapporto di lavoro con il cedente), previa costituzione in mora del creditore, attraverso la messa a disposizione da parte del lavoratore delle proprie energie lavorative o l’intimazione al datore di ricevere la prestazione, in mancanza della quale il datore di lavoro cedente potrebbe legittimamente confidare sul consenso del lavoratore alla cessione.
Sulla base di tali argomentazioni, la Suprema Corte, precisando che l’eventuale credito spettante alla lavoratrice ha natura risarcitoria e non retributiva, ha confermato la decisione della Corte d’appello, evidenziando che, in mancanza di tempestiva costituzione in mora del datore di lavoro cedente - intervenuta solo dopo la pubblicazione della sentenza -, nulla è dovuto a titolo risarcitorio per il periodo tra la cessione del ramo d’azienda e la declaratoria di illegittimità della suddetta cessione.
Fonte: Cass. 24 febbraio 2023 n. 5788
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