giovedì 15/12/2022 • 06:00
Nella Circolare n. 30/2022, Assonime commenta le difficoltà di coordinamento tra l’applicazione della tassazione minima globale prevista dal Pillar II, i meccanismi agevolativi disposti dai vari paesi per attrarre gli investimenti ed i regimi CFC.
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Mentre il Consiglio EU dà il via libera alla Direttiva sul Pillar II, superando gli ostacoli che avevano recentemente bloccato l'avanzata del progetto (si veda il nostro precedente articolo del 12 luglio 2022), l'Assonime, con la Circ. 12 dicembre 2022 n. 30 ha reso note le proprie osservazioni su un tema particolarmente rilevante, relativo al rapporto tra il futuro sistema di tassazione minima globale, le agevolazioni fiscali previste da molti stati per aumentare il livello di attrattiva per gli investimenti ed i regimi CFC.
I fondamenti del Pillar II
La Circolare innanzitutto rammenta le motivazioni che hanno portato all'elaborazione del sistema di tassazione a due pilastri, evidenziando come i gruppi multinazionali, nell'attuale contesto di mercato, sempre più globalizzato, assumono le caratteristiche di “imprenditori unici a cavallo di più stati” che, sfruttando la frammentazione delle funzioni e le differenze di tassazione, tendono a sviluppare sistemi di pianificazione fiscale aggressiva, con l'intento di ridurre l'onere tributario complessivo. A ciò si aggiunge la competizione fiscale c.d. “dannosa”, che spinge alcuni stati verso una progressiva riduzione delle proprie imposte sui redditi societari con lo scopo di attrarre gli investimenti esteri, finendo però per ledere i legittimi interessi di altre giurisdizioni, sottraendo alle stesse risorse per il finanziamento della spesa pubblica.
Questi fenomeni hanno suscitato la reazione dell'OCSE, che ha portato nel tempo alla realizzazione del Progetto BEPS e, in particolare, dell'Action 1, focalizzata sulla tassazione dell'economia digitale. Il progetto dell'Action 1 ha inteso studiare nuovi diritti impositivi, applicabili ai nuovi modelli dell'economia digitale, volti ad adeguare gli attuali principi di collegamento territoriale con l'elaborazione di un nuovo “nexus”, che permette la tassazione nelle giurisdizioni dei mercati a prescindere dall'insediamento (il Pillar I), e di nuovi criteri di allocazione del carico fiscale (il Pillar II). In particolare, mentre il Pillar I riguarda i grandi gruppi multinazionali (con ricavi superiori ai € 20 miliardi), il Pillar II riguarda una platea più ampia, formata dai gruppi con un fatturato consolidato superiore a € 750 milioni, ai quali dovrà applicarsi una tassazione effettiva minima del 15%. Diversamente dal Pillar I, per il quale i paesi aderenti all'Inclusive Framework (IF) hanno concordato l'introduzione nelle proprie giurisdizioni attraverso la ratifica di un'apposita convenzione multilaterale, il Pillar II è destinato ad essere implementato tramite strumenti di soft law, che tuttavia sono vincolati dal c.d. common approach. In pratica, gli Stati aderenti non si sono obbligati ad introdurre le regole della global minimum tax nei propri ordinamenti, ma si sono impegnati, nel caso decidessero di farlo, ad adottare un approccio coerente al progetto comune e ad accettare comunque, anche ai fini delle convenzioni bilaterali, che gli altri Paesi adottino tali regole. In questo contesto, l'Unione Europea ha proposto l'implementazione del sistema di global minimum tax attraverso l'introduzione della sopra citata Direttiva. I principi del Pillar II prevedono l'applicazione di un'imposta integrativa (la Top Up Tax, TUT) laddove la tassazione, a livello delle giurisdizioni locali nelle quali il gruppo è presente, risulti inferiore al 15%. L'applicazione della TUT è affidata in primo luogo all'entità capogruppo, tramite la c.d. Income Inclusion Rule (IIR) mentre, in via residuale (ad esempio nei casi in cui il paese della capogruppo non aderisca al Pillar II), possono intervenire le entità partecipate del gruppo (le “Constituent Entity”, CE) attraverso la Undertaxed Payment Rule (UTPR). In pratica:
La Circolare evidenzia come l'applicazione di tali principi (in particolare il meccanismo UTPR) possa comportare la tassazione extraterritoriale dei redditi dell'entità capogruppo, anche in contrasto con i trattati contro le doppie imposizioni, spingendosi ben oltre l'obiettivo dichiarato di tale meccanismo di configurarsi come strumento di contrasto ai regimi fiscali e della concorrenza dannosi. A fronte di tali problematiche, la Circolare rileva come l'attribuzione dei profitti e del conseguente onere fiscale tra le entità appartenenti al gruppo multinazionale debba avvenire secondo un modello di “Profit Split” (evidenziando come questo metodo trovi sempre maggiore applicazione nell'ambito dei prezzi di trasferimento), tenendo conto del contributo che tutte le imprese associate apportano alla costruzione del valore globale dell'impresa.
Tale contributo, seguendo la più recente versione delle Linee Guida OCSE sul Transfer Pricing, dovrà essere determinato tenendo conto non solo degli assets unici, come i beni immateriali, ma di tutti i molteplici fattori (come i contributi unici, l'elevato livello di integrazione e la condivisione dei rischi economici più significativi) che concorrono alla creazione del valore nell'impresa multinazionale.
La Qualified Domestic Minimum Tax
Le Model Rules hanno introdotto anche il meccanismo della Qualified Domestic Minimum Tax (QDMT) con il quale si consente al paese che si trova al di sotto della soglia minima di tassazione di riallinearsi a tale livello tramite l'applicazione di un'imposta addizionale, applicabile in via prioritaria rispetto al Pillar II; imposta che viene computata in diminuzione della TUT della giurisdizione, annullando così l'applicazione tanto dell'IIR quanto dell'UTPR.
Con tale meccanismo, le singole giurisdizioni possono gestire i propri sistemi di incentivazione per facilitare l'attrazione di investimenti senza che la tassazione minima finisca ad altri paesi, in tal modo anche compensando gli effetti che le politiche di incentivazione possono avere sul bilancio dello stato, evitando perdite di gettito e di competitività.
I rapporti con le agevolazioni fiscali
L'obiettivo del Pillar II di contrastare i regimi di competizione fiscale dannosa con livelli di tassazione minimali deve comunque combinarsi con la possibilità per i vari paesi di attivare politiche fiscali di attrazione degli investimenti: le giurisdizioni interessate debbano infatti a tal fine configurare un sistema di incentivazione fiscale compatibile con le regole del Pillar II. La forma degli incentivi assume una importanza determinante sulla compatibilità con il Pillar II, in quanto può impattare in maniera significativamente diversa sulla quantificazione dell'ETR. In particolare, si coordinano perfettamente le sovvenzioni ed i contributi diretti così come i Qualified Refundable Tax Credit (QRTC), cioè i crediti d'imposta che per loro caratteristica (crediti fiscali rimborsabili, o utilizzabili, entro quattro anni), possono essere considerati cash equivalent. Tali crediti, infatti, non riducono l'importo delle imposte e, dunque, non influenzano l'ETR.
Diversamente, altri contributi non cash equivalent o i regimi agevolativi che riducono la base imponibile possono generare una riduzione dell'ETR sotto la soglia minima del 15% e conseguentemente far scattare i presupposti per l'applicazione dell'IIR o dell'UTPR, a meno che non venga applicata dalla stessa giurisdizione la QDMT. Rimane invece liberamente agevolabile la quota di redditi routinari, in quanto questi sono considerati di stretta competenza territoriale delle giurisdizioni dove si svolgono le rispettive attività.
A tali fini, è evidente che le varie Domestic Minimum Tax devono configurarsi come “qualified”, cioè devono essere costruite e calcolate in maniera coerente con le regole di determinazione dell'ETR e della TUT. Ad esempio, non potrà considerarsi qualified un semplice incremento dell'aliquota dell'imposta sui redditi ordinaria, poiché ciò si tradurrebbe solo in un aumento delle covered taxes (al numeratore del rapporto per il calcolo dell'ETR) con la conseguenza che per coprire il differenziale di tassazione rispetto al minimo sarebbe necessario estendere il prelievo anche alla soglia di profitti routinari.
Le interazioni tra Pillar II e CFC
Per la sua funzione e il suo modo di operare, il Pillar II è stato considerato come una sorta di back stop che si affianca ai regimi CFC dei vari Paesi, alle regole di transfer pricing e agli altri principi di sostanza, trasparenza e coerenza introdotti dal BEPS, per arginare eventuali loro insufficienze rispetto agli obiettivi di contrasto dell'erosione delle basi imponibili e del distoglimento di profitti. Tuttavia, l'interazione tra le discipline CFC applicabili nei paesi dei soggetti controllanti (diretti o indiretti) ed il Pillar II potrebbe produrre effetti distorsivi rispetto a tali obiettivi.
La CFC assoggetta all'imposta sul reddito della giurisdizione della controllante (secondo le aliquote e le regole di determinazione della base imponibile proprie di quest'ultima) l'intero reddito di ciascuna singola controllata estera o, in alternativa, i c.d. passive income, mentre il meccanismo dell'IIR si fonda sul calcolo dell'ETR basato su regole di individuazione delle covered taxes (al numeratore) e del GloBE income (al denominatore) condivise a livello internazionale.
L'IIR, inoltre, prevede che la TUT sia inizialmente quantificata su base giurisdizionale per portare la tassazione (dei soli extraprofitti) di tale giurisdizione al livello minimo del 15 per cento e sia ripartita, solo successivamente, tra ciascuna low taxed constituent entity in proporzione alla relativa quota di GloBE Income. Inoltre, la CFC opera, sostanzialmente, come una regola di coordinamento (infragruppo) bilaterale mentre il Pillar II introduce regole di coordinamento (infragruppo) multilaterale tra più sistemi fiscali.
A causa di queste differenze di configurazione, le Model Rules hanno dichiarato i regimi CFC e l'IIR compatibili, riconoscendo però la priorità alle norme CFC (domestiche) rispetto all'IIR (a valenza internazionale).
E, al fine di evitare la doppia imposizione, si è stabilito il meccanismo del c.d. push down, ossia l'allocazione delle imposte proporzionalmente dovute, a titolo di CFC, dal socio (diretto o indiretto) all'entità presso cui emerge il reddito (e non presso il socio che le deve sostenere) e considerate – ai fini dell'IIR – tra le covered taxes del numeratore del rapporto per la determinazione dell'ETR. Con l'applicazione della QDMT i paesi di appartenenza delle CE possono intervenire per primi a recuperare eventuali differenziali di tassazione, rispetto al minimo, relativi agli extraprofitti emersi sul territorio nazionale. A loro volta, le norme CFC, opportunamente aggiornate e generalizzate, potrebbero essere lo strumento attraverso cui i paesi di residenza delle UPE si riappropriano del diritto prioritario di tassazione dei predetti differenziali con riferimento, peraltro, a tutti i profitti, ivi inclusi i profitti routinari. Tuttavia i paesi interessati potrebbero trovarsi nella situazione di non poter esercitare – tramite la QDMT - i diritti impositivi prioritari sui profitti generati localmente dalle CE e quindi di non poter riappropriarsi delle risorse relative agli incentivi, che abbiano fatto scendere l'ETR al di sotto del minimo: tema particolarmente rilevante soprattutto per i paesi in via di sviluppo, in quanto tali risorse verrebbero sottratte al reimpiego in altri investimenti o nel prolungamento dei benefici riconosciuti agli investimenti già in atto.
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