giovedì 08/12/2022 • 06:00
ll Tribunale di Lecco, con sentenza n. 159 del 31 ottobre 2022, ha affermato che il datore di lavoro deve valutare, prima di risolvere il rapporto di lavoro, se non sia possibile ricollocare il lavoratore in una diversa posizione, eventualmente prevedendo un percorso di riqualificazione professionale.
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Per dimostrare che il lavoratore licenziato non avrebbe potuto essere reimpiegato in un diverso ruolo all'interno della compagine aziendale non è sufficiente sostenere il mancato possesso di competenze specifiche necessarie per ricoprire un diverso ruolo. Qualora la professionalità del lavoratore licenziato sia divenuta obsoleta in seguito alla riorganizzazione aziendale, occorre – nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza – che il datore di lavoro valuti la possibilità di reimpiegare il lavoratore, anche inserendo il lavoratore in percorsi di riqualificazione mediante corsi professionali o affiancamento ad altri colleghi.
Il Tribunale di Lecco, con sentenza n. 159 del 31 ottobre 2022, ha confermato il giudizio di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, affermando che, anche qualora il datore di lavoro riesca a dimostrare l'effettività delle ragioni oggettive alla base del licenziamento, l'obbligo di repêchage impone l'ulteriore verifica della impossibilità (o eccessiva gravosità) della ricollocazione del lavoratore.
Il caso di specie
Un lavoratore ha impugnato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogato dalla società datrice di lavoro, contestando sia l'asserito riassetto organizzativo e il nesso causale tra tale riorganizzazione e il licenziamento, sia la violazione dell'obbligo di repêchage.
All'esito della fase sommaria, il Tribunale aveva accolto il ricorso e condannato la società alla reintegrazione del lavoratore in servizio, oltre al pagamento in suo favore di un'indennità risarcitoria fino ad un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, dedotto l'aliunde perceptum.
Avverso l'ordinanza emessa all'esito della fase sommaria, la società datrice di lavoro ha proposto opposizione, assumendo di avere fornito adeguata prova in ordine alla sussistenza del giustificato motivo oggettivo e al rispetto dei principi di buona fede e correttezza nella scelta del dipendente da licenziare e dell'obbligo di repêchage. Il Tribunale ha respinto le argomentazioni della società opponente e ha confermato la decisione già assunta all'esito della fase sommaria.
L'obbligo del repêchage
Secondo l'ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione, in caso di contestazione sulla legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è onere datoriale provare non solo la sussistenza di effettive ragioni organizzative, tecniche o produttive alla base del provvedimento espulsivo, nonché la sussistenza del nesso causale tra le predette ragioni e il licenziamento del lavoratore, ma anche l'inutilizzabilità aliunde del lavoratore licenziato. Non è il lavoratore a dovere allegare la sussistenza di posizioni disponibili compatibili con le proprie competenze professionali, ma è sulle spalle del datore di lavoro la prova di non potere utilmente ricollocare il lavoratore all'interno della compagine aziendale.
L'onere della prova sull'effettiva valutazione dell'impossibilità di ricollocare il lavoratore non si esaurisce nella verifica di posizioni equivalenti o di livello inferiore. Il Tribunale di Lecco si è spinto fino a ritenere che in tutti i casi in cui la professionalità del lavoratore sia da considerare obsoleta in conseguenza di una riorganizzazione aziendale, il datore di lavoro deve agire nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza e valutare se, anche attraverso percorsi di formazione e di riqualificazione professionale, non sia possibile reinserire il lavoratore nell'ambito della compagine aziendale.
Solo qualora tale ulteriore verifica abbia dato esito negativo, ovvero il datore di lavoro abbia provato quantomeno l'antieconomicità di un possibile percorso di riqualificazione, si dovrebbe ritenere assolto l'onere della prova sul rispetto dell'obbligo di repêchage.
La tutela in caso di violazione dell'obbligo di repêchage
Fino alla pronuncia della Corte Costituzione n. 125 del 19 maggio 2022, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 18, c. 7, L. 300/70 limitatamente alla parola «manifesta», la violazione dell'obbligo di repêchage poteva dar luogo al riconoscimento della mera tutela indennitaria c.d. “forte” (indennità compresa tra dodici e ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto), essendo necessario, per potere ottenere la reintegrazione, che la violazione dell'obbligo di ricollocare il lavoratore licenziato fosse, giustappunto, «manifesta», ipotesi che poteva non sussistere nel caso di mera insufficienza probatoria sul rispetto del obbligo.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 18, c. 7, L. 300/70 limitatamente alla parola «manifesta» apre, invece, uno scenario completamente diverso, nel quale anche la mera carenza della prova sull'impossibilità di poter utilmente ricollocare il lavoratore licenziato condurrà al riconoscimento della tutela reintegratoria.
Fonte: Trib. Lecco 31 ottobre 2022 n. 159
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