sabato 03/12/2022 • 06:00
L'analisi del ruolo dell'organo di controllo attraverso le norme che delineano i suoi doveri in continua evoluzione, mette in luce come il mutamento radicale della normativa, a cui sono soggette le imprese, non sia stato riflesso nella normativa che disciplina le condotte del collegio sindacale. Questo sarà il tema di apertura del convegno «Essere organo di controllo oggi in Italia: Mission impossible»? organizzato da ODCEC Milano che si terrà a Milano il 5 dicembre, presso l'aula Magna del Tribunale.
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Per definire il ruolo dell'organo di controllo è necessario analizzare la principale normativa che ne disciplina l'operato, ossia, il codice civile, il codice della crisi dell'impresa, il codice del terzo settore, il codice di autodisciplina della Borsa italiana e l'art. 149 del TUF e mettendo insieme tutte le informazioni raccolte, si arriva a comporre un elenco di circa una sessantina di compiti e funzioni che, nel corso degli anni, gli sono stati attribuiti dal legislatore.
Alcuni di questi compiti sono circoscritti a circostanze specifiche, altri, invece, hanno un impatto molto più pervasivo sull'attività dell'organo di controllo, facendo gravare su di esso doveri, e quindi responsabilità rilevanti che non sempre risultano chiaramente definiti e i cui confini vengono poi, spesso tracciati dalla giurisprudenza dopo il verificarsi di un evento negativo.
Le funzioni dell'organo di controllo
La funzione primaria dell'organo di controllo, istituito dal Codice di commercio nel 1882, si è drasticamente evoluta nel corso del tempo consegnandoci oggi un organo di controllo che non solo deve vigilare sul rispetto della legge e dello statuto, ma deve anche intercettare tempestivamente segnali di squilibrio patrimoniale economico e finanziario oltre che valutare la possibilità di risanamento di un'impresa con il potere, qualora lo ritenga opportuno, di chiederne la liquidazione giudiziale. Decisione questa che, ovviamente, potrebbe essere in netto contrasto con la visione dell'imprenditore.
E' di tutta evidenza che il dovere di garantire l'osservanza della legge, la cui formulazione così generica non consente di circoscrivere un ambito di applicazione, racchiude in sé una rilevante casistica di norme societarie specifiche che si sono, nel corso degli anni, arricchite in modo significativo per rispondere alla continua evoluzione a cui è soggetto il mercato.
La funzione oggi affidata al sindaco di capire e valutare dove sta andando l'impresa e, in alcuni casi, deciderne le sorti, sarebbe compatibile con il ruolo fino ad oggi ad esso attribuito solo se ne venisse sempre riconosciuta una responsabilità di vigilanza e di controllo di alto livello, sul rispetto della legge e dello statuto, così come, peraltro già indicato dalle Norme di comportamento del collegio sindacale delle società non quotate del CNDCEC. Norme che dovrebbero sempre rappresentare un parametro di riferimento, non solo, naturalmente per il professionista, e questo è ovvio, ma anche in ambito giurisprudenziale, proprio al fine di circoscrivere in modo oggettivo i confini della responsabilità dell'organo di controllo e valutarne le condotte.
Il dovere di vigilanza del Collegio sindacale, secondo il CNDCEC, è un compito di alta sorveglianza, difficile, comunque, da perseguire perché gli strumenti a sua disposizione non sono sufficienti per poter formulare un adeguato giudizio sugli assetti organizzativi, in quanto il dato normativo risulta estremamente generico e privo di connotazioni pratiche (la legge non individua una soluzione univoca e puntuale); sussiste, pertanto, un'estrema variabilità del campo di indagine in quanto condizionato dalle caratteristiche, dalla natura e dalle dimensioni della società e la loro valutazione è, di fatto, rimessa alla determinazione dei membri del Collegio Sindacale, in relazione alle peculiarità della concreta realtà aziendale e quindi poi soggetta al vaglio dei singoli giudici.
La sfera di responsabilità del sindaco si è ampliata, dal punto di vista quantitativo, per la numerosità delle leggi che sono state, nel frattempo introdotte, ma si è evoluta anche dal punto di vista qualitativo. Infatti, con l'introduzione del Codice della crisi d'impresa, il legislatore, implicitamente, richiede al sindaco un cambiamento culturale che muta in parte il suo ruolo. L'organo di controllo deve, infatti, adottare anche un approccio valutativo prospettico, attraverso un'analisi predittiva, grazie alla quale poter riuscire ad intercettare i segnali di una eventuale situazione di squilibrio che possa rendere probabile la crisi o l'insolvenza.
Sul punto il legislatore, all'art. 3 del Codice della crisi, ha indicato alcuni riferimenti utili al fine di valutare, quanto meno, un'adeguatezza di base degli assetti, introducendo anche alcuni segnali che evidenziano la sostenibilità o meno del debito. Quello che richiede la norma, però, non è solo che il sindaco (1) si accerti che l'azienda riesca a cogliere questi segnali, ma che (2) valuti l'eventuale prospettiva di risanamento dell'impresa, che è forse la novità maggiormente rilevante introdotta dal Codice della crisi d'impresa.
E sul punto non è difficile convenire che al sindaco viene, dunque, richiesta una valutazione strategica del futuro aziendale senza, però, fornirgli strumenti idonei per svolgere questo compito.
Perché, anche posto che siano stati individuati i segnali indicati dall'art. 3 del Codice della crisi, ma con quali strumenti si dovrebbe valutare la prospettiva di risanamento? Ossia, quali strumenti ha a disposizione il collegio per svolgere il proprio ruolo in maniera adeguata ai dettami legislativi, e cioè per stabilire se chiedere la liquidazione giudiziale, piuttosto che invece ritenere che la società abbia la possibilità di essere risanata?
La prima risposta che viene in mente è l'utilizzo dei flussi finanziari futuri che l'impresa può esprimere con le risorse che riesce a procurarsi.
Qui emerge, secondo me, un problema di standard di riferimento sia sugli adeguati assetti organizzativi, sia sulla determinazione dei flussi finanziari futuri, compreso il MOL prospettico normalizzato di cui al “test pratico” introdotto dal Decreto dirigenziale del 28 settembre 2021.
I due strumenti citati che consentirebbero al sindaco di svolgere la funzione che gli è stata affidata sono tra di loro strettamente correlati ed entrambi privi di un adeguato inquadramento legislativo. Senza indicazioni autorevoli su questi due aspetti gli esiti delle attività dell'organo di controllo saranno sempre soggetti a valutazioni ex-post da parte della magistratura.
E sempre in tema di strumenti, quali strumenti esistono oggi per misurare l'avverbio “tempestivamente”, in termini di tempo a disposizione dell'organo di controllo per effettuare una scelta di valutazione fra il risanamento e la liquidazione giudiziale, posto che nel frattempo l'attività operativa prosegue? E come deve e può l'organo di controllo documentare il proprio processo decisionale affinchè un domani possa essere valutato conforme alla legge?
E' oggettivamente riscontrabile che le norme a cui le società sono oggi soggette hanno subito un'evoluzione rilevante, mentre il ruolo del sindaco non solo resta ancora radicato nel passato ma viene proiettato nel futuro senza mezzi di protezione, e mi riferisco in particolare alla responsabilità solidale con gli amministratori, che potrebbe essere ricondotta solo in parte alle operazioni da loro compiute, con un nesso di causalità spesso difficile da definire in termini univoci e nell'attuale impianto normativo.
Da quanto detto fino ad ora, emerge chiaramente che il ruolo dell'organo di controllo, che potremmo anche sintetizzare utilizzando il solo verbo “vigilare”, non può che essere una funzione di alta sorveglianza sull'operato degli amministratori, e, questa visione, se adottata in maniera sistematica dalla giurisprudenza potrebbe consentire di valutare il solo eventuale profilo colposo dell'operato dell'organo di controllo, evitando, così, il pericolo di trasferire sull'organo di controllo il rischio d'impresa.
Il cambio culturale necessario a cogliere l'innovazione in atto, però, deve essere adottato in pieno anche dagli amministratori, ancorchè, chiamati solo a valutare l'adeguatezza degli assetti, poiché la responsabilità della loro adozione è a carico diretto dell'imprenditore (art. 2381, co. 3 c.c.).
Considerata l'importanza che hanno sempre avuto gli assetti organizzativi, ma a cui oggi è stato riconosciuto lo status di strumento principale per individuare squilibri patrimoniali, economici e finanziari, a mio parere, gli amministratori dovrebbero essere maggiormente sensibilizzati sull'importanza di una valutazione attenta e consapevole degli assetti, forse con strumenti più incisivi rispetto a quelli oggi a disposizione, magari anche attraverso un impianto normativo sanzionatorio che incida non solo sul loro patrimonio, spesso inesistente, ma anche sulla valutazione futura delle loro capacità di adempiere ai doveri imposti dalla legge e dallo statuto (art. 2392 c.c.) e quindi sulla possibilità di assumere, in futuro, funzioni di governance.
Convegno organizzato da ODCEC Milano, con l'Ordine degli avvocati di Milano e con l'Unione Giovani Dottori Commercialisti ed esperti Contabili Nazionale e di Milano "Essere Organo di controllo oggi in Italia: «Mission impossible»?", 5 dicembre 2022, presso l'Aula Magna del Tribunale di Milano. Consulta qui il programma dell'evento. |
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