Va subito osservato che l’ordinanza n. 408/2022 della Corte di giustizia di primo grado di Venezia è assai corposa e dotta, consapevole della delicatezza delle questioni sottoposte.Bisogna dare atto ai giudici di aver condotto un lavoro attento e sapiente. Purtroppo, non è detto che basti.
Sono diversi i motivi di illegittimità, a fondamento del provvedimento.
Dipendenza dal MEF
Il motivo di maggiore impatto è il primo, con cui si contesta la nuova legge (ma, in realtà anche l'assetto vigente, dettato dal D.Lgs. 545/92), laddove aggrava il rapporto di dipendenza dei giudici tributari rispetto al MEF. Ad avviso della Corte veneziana, infatti, sia il precedente regime sia e soprattutto la nuova disciplina, si pongono in evidente contrasto con l'art. 108 Cost., laddove prescrive che la legge deve assicurare «l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali». Questo, per l'assorbente ragione che detta indipendenza appare pregiudicata: nel vecchio regime, dalle competenze di ordine amministrativo e strumentale, riconosciute al MEF; nel regime disegnato dalla L. 130/2022, dalla circostanza che i magistrati tributari sono, addirittura, dipendenti del MEF. Tutto questo, perché il MEF, seppure in via mediata in ragione delle convenzioni che stipula con le Agenzie fiscali, è portatore degli interessi contrapposti a quelli dei contribuenti. Questi ultimi, quindi, si trovano nella situazione di doversi far giudicare da chi, il giudice tributario oggi ed il magistrato tributario domani, si trova di fatto in un rapporto, più o meno diretto, di dipendenza dal MEF. Per l'effetto, non si può assolutamente ritenere integrato il requisito di indipendenza del giudice prescritto dalla Carta costituzionale.
Gli altri motivi di dubbio appaiono decisamente più tecnici e settoriali.
Altre presunte incostituzionalità
Viene lamentata la violazione degli art. 48, 104 c. 1, 107 e 108 Cost. in ragione (nella fase transitoria di applicazione della L. 130/2022) di un asserito squilibrio del rapporto tra elettorato attivo ed elettorato passivo e della riserva di posti a favore di alcune categorie soltanto dei componenti dell'organico della Giurisdizione Tributaria. Ad avviso del giudice rimettente, il sistema elettorale non rispetterebbe alcun criterio di proporzionalità tra elettorato passivo ed attivo tra le diverse categorie di giudice, senza che ciò trovi alcuna ragionevole giustificazione.
Altro dubbio di costituzionalità investe la previsione di una misura espulsiva, di natura disciplinare, senza la predisposizione di un procedimento atto a valutare la gravità del fatto e la proporzionalità della sanzione. Da qui, il contrasto con l'art. 3 Cost. Viene poi censurata la sanzione disciplinare indiretta, mascherata da requisito per l'accesso al concorso interno per l'accesso alle funzioni superiori. Il regime in essere (art. 11 D.Lgs. 545/92 quale risulta a seguito della L. 130/2022) prevede, infatti, che la scelta tra gli aspiranti ad incarichi direttivi sia adottata dal Consiglio di presidenza, salvo giudizio di demerito del candidato. Giudizio, questo, che spetta nel caso di rapporto annuo pari o superiore al 60% tra il numero dei provvedimenti depositati oltre il termine di trenta giorni a decorrere dalla data di deliberazione e il totale dei provvedimenti depositati dal singolo candidato. Quindi, in modo affatto automatico senza alcun procedimento valutativo.
Si censura, poi, la violazione dei principi di indipendenza ed inamovibilità del giudice tramite la mascherata moltiplicazione di incarichi di servizio onorario nominalmente definiti “applicazione non esclusiva” e la violazione del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 Cost.) in ragione dell'anomalia di una giurisdizione speciale che, pur articolata in un ordine unico, resta distinta in due sottocategorie: quella composta da magistrati assunti per concorso o per diretto transito dagli altri ordini giudiziari (ordinario o speciali) e quella composta da personale onorario. Infine, si lamenta l'illegittimità costituzionale della novella laddove di fatto prevede che, fino all'anno 2052, i collegi delle Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado possono risultare composti, in via esclusiva, con personale onorario; ciò, nonostante siano astrattamente utilizzabili anche magistrati professionali.
Diversi, quindi i motivi di censura, alcuni più comprensibili e condivisibili di altri. Sicuramente, il tema prospettato dal primo motivo è quello che più facilmente può trovare condivisioni. La soluzione professata dalla novella, che ha esasperato ulteriormente il rapporto di dipendenza dei giudici dal MEF, in chiaro spregio del principio di indipendenza, è stata contestata già di vari autori ed in diverse sedi. Essa si mostra, difatti, patentemente in violazione di norme costituzionali (art. 101 c. 2 e art. 108 c. 2 Cost.) nonché di norme internazionali, come l'art. 6 CEDU, che prescrive il diritto ad un “tribunale indipendente”. Essa costituisce, certamente, la principale criticità della riforma.
Purtroppo, va anche detto, l'ordinanza presenta taluni aspetti di debolezza che ne rendono assai incerto l'esito, al di là del merito. In particolare, appare un po' fumoso il requisito della rilevanza.
Come noto, per poter procedere con il rinvio di costituzionalità, il giudice a quo deve effettuare tre verifiche pregiudiziali:
accertare che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità̀ costituzionale (cd. condizione della rilevanza);
giudicare la questione di costituzionalità non manifestamente infondata;
verificare che non sia possibile assegnare alla disposizione enunciata un'interpretazione costituzionalmente conforme.
Ebbene, delle tre verifiche, nell'ordinanza in commento solo la seconda risulta adeguatamente svolta. In particolare, piuttosto debole appare la trattazione del tema della rilevanza. Il requisito della rilevanza si esprime in termini di incidenza sulle norme che il giudice è chiamato ad applicare, nel senso che la questione si deve porre come pregiudiziale a qualunque altra da decidere nel giudizio a quo. La questione sottoposta alla Corte deve, insomma, coinvolgere le disposizioni di legge delle quali il giudice sia chiamato a dare direttamente o indirettamente applicazione. Cosa questa che, nel caso in cui si è occasionato il rinvio, appare difficile da sostenere.
Vero è che il giudice del rinvio prova ad argomentare la rilevanza delle questioni sottoposte. A parte la circostanza che questo viene fatto essenzialmente per il primo motivo di censura, la rilevanza viene comunque articolata in termini di “serenità di giudizio”. Per il giudice, infatti, i dubbi di costituzionalità delle norme censurate appaiono idonei a compromettere «quella serenità che deve imprescindibilmente presiedere e preesistere all'atto del giudicare» fino al punto da determinare una vera e propria «paralisi della funzione decisoria, non più libera di esprimersi in autonomia perché viziata dalla consapevolezza della esistenza di norme che sono idonee ad incidere sullo status dei giudicanti in modo tale da condizionarne decisivamente l'imparzialità». Sennonché, questo appare un motivo piuttosto evanescente, che rende la questione solo ipotetica. Del resto, i nuovi giudici non hanno ancora preso servizio.
Vi è poi un altro problema: l'intervento richiesto alla Consulta non è meramente correttivo, quand'anche manipolativo, bensì ordinamentale. Ad avviso del giudice, infatti, la Corte dovrebbe spostare l'incardinamento dei giudici tributari sul Ministero di giustizia; competenza questa che, però, non sembra spettare alla Corte. Non a caso, del resto, il giudice remittente, consapevole della forzatura, sembra poi accontentarsi anche di una sentenza monito. Aspetto, questo, che tuttavia rende ancora più fragile il tema della rilevanza.
Con ogni probabilità, la questione non sarà risolta questa volta. Verosimilmente, la questione di legittimità costituzionale della L. 130/2022 appare meglio sostenibile da un contribuente, che, di fronte ai nuovi giudici, ben potrebbe lamentare la lesione dell'indipendenza del giudice tributario, nella misura in cui si troverà ad essere giudicato da un giudice che è dipendente del medesimo Ministero, titolare sostanziale della pretesa fiscale, nonché gestore dell'apparato amministrativo della giustizia tributaria. In ogni caso, se la strada della Consulta rimanesse bloccata, rimane aperta quella del ricorso alla Corte EDU.
Fonte: CGT 1° Venezia 31 ottobre 2022 n. 408