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giovedì 06/10/2022 • 06:00

Lavoro Approvata la direttiva UE

Salario minimo: gli ostacoli al corretto recepimento in Italia

Ecofin ha approvato la direttiva europea sul salario minimo. Entro due anni gli Stati membri dovranno definire gli strumenti per garantire ai lavoratori salari adeguati, ma tra la presenza di contratti collettivi pirata e il gender pay gap, molti sono gli ostacoli per l'applicazione della direttiva nel nostro Paese.

di Ciro Cafiero - Avvocato - Studio Cafiero Pezzali & Associati

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  • Tempo di lettura 1 min.
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Salario minimo, secondo la direttiva, non significa salario minimo per legge ma due alternative soluzioni.

La prima riguarda gli Stati che hanno istituito salari minimi legali, come ad esempio la Germania, a cui è imposta la definizione di procedure in grado di stabilire tali salari secondo criteri chiari. Essi saranno aggiornati ogni due anni oppure ogni quattro in caso di meccanismi di indicizzazione automatica. Non è previsto un livello di salario minimo obbligatorio.

La seconda concerne gli Stati, come l'Italia, che non hanno istituito un salario minimo legale, a cui è imposto di innalzare il tasso di copertura della contrattazione collettiva, che determina i minimi salariali, sino alla soglia dell'80%. Il piano d'azione dovrebbe definire tempi e misure chiare in tal senso.

Sia agli uni che agli altri è, invece, parimenti imposto di promuovere l'accesso effettivo alla tutela garantita dal salario minimo. Ciò con misure come l'incremento dei controlli degli ispettorati del lavoro, la migliore accessibilità delle informazioni sui livelli minimi salariali - con similitudini con la direttiva europea sulla trasparenza n. 2019/1152 recepita in Italia con il D.Lgs. 104/2022 – o, ancora, lo sviluppo della capacità prescrittiva delle autorità responsabili di tali controlli.

Quella raggiunta in materia di salario minimo è una soluzione di compromesso. In grado di consentirne l'ingresso anche in Italia, la cui politica dei salari è governata dalle parti sociali nel solco dell'art. 36 Cost. che impone un salario sufficiente e proporzionato alla qualità e alla quantità del lavoro svolto. Ma non basta.

Residuano, infatti, almeno quattro ostacoli al corretto recepimento della direttiva nel nostro Paese.

Primo. Da alcuni anni, si fanno strada contratti collettivi nazionali di lavoro che sviliscono i diritti, con condizioni a ribasso. Vengono definiti “contratti pirata” e sono siglati da parti con rappresentatività almeno dubbia. Ad oggi, secondo i dati del CNEL (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro), si contano più di 800 contratti collettivi nazionali di lavoro. La possibilità di una così ampia scelta non contrasta nemmeno il lavoro nero, privo cioè di copertura normativa, il cui tasso ancora raggiunge il 13% della forza lavoro, con circa 3,3 milioni di lavoratori coinvolti. È evidente l'esigenza di delimitare il perimetro dei soggetti abilitati a sottoscriverli, attraverso indici precisi della loro rappresentatività rimessi alle parti sociali.

Secondo. La contrattazione collettiva aziendale ha ancora spazi troppo limitati, rispetto a quella nazionale. Anche la crisi economica ha dimostrato che l'articolazione tra i livelli di contrattazione dovrebbe sbilanciarsi in favore di quella secondo livello, in grado di cucire discipline dei rapporti di lavoro a misura di ogni singolo contesto produttivo.

Terzo. L'Italia è un Paese costituto da territori diversi e quindi da diversi costi della vita. Banalmente, una retribuzione percepita al Sud, dove questo costo è basso, non corrisponde in termini di potere di acquisto, a una percepita al Nord, dove questo costo è alto. Occorre rimodellare la retribuzione per i lavoratori più poveri, con innesti sul welfare, agevolazioni fiscali e contributive, elementi accessori legati alle contingenze territoriali.

Quarto. Il nostro Paese è ancora vittima di un incredibile gender pay gap. Il reddito medio delle donne rappresenta il 59,5% degli uomini a livello complessivo, anche perché i ruoli di maggior peso sono ancora occupati prevalentemente dagli uomini. È compito della contrattazione collettiva tracciare strategie di parità per bilanciare le diversità, insieme al legislatore. Ma sono altrettanto importanti le politiche di diversity e inclusion, come ad esempio il procedimento di certificazione per la parità di genere introdotto dal Governo Draghi.

Insomma, la direttiva europea sul salario minimo è un'ottima notizia per l'Europa. Ed un importante sfida per il nostro Paese. Nelle mani del nuovo Governo italiano, è riposta un'ulteriore delicata responsabilità.

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a cura di

redazione Memento

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