mercoledì 05/10/2022 • 06:00
Il nuovo Codice della crisi d'impresa disciplina direttamente la figura del piano attestato di risanamento, uno strumento che consente a tutti gli imprenditori di attuare una serie di operazioni idonee al riequilibrio economico dell'impresa, accompagnate dall'attestazione di fattibilità redatta da un professionista indipendente.
Il nuovo Codice annovera, quale prima modalità di intervento a disposizione dell'impresa in crisi, il piano attestato di risanamento, espressione con la quale è intitolata la Sezione prima del Capo primo, del Titolo quarto, del corpus normativo recentemente entrato in vigore, composto peraltro del solo art. 56, a sua volta intitolato agli “accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento”. Definizione e ambito applicativo Il nuovo Codice disciplina direttamente la figura del piano attestato di risanamento all'art. 56. Si tratta di una novità della riforma, in quanto nella legge fallimentare questo strumento di soluzione della crisi non aveva una disciplina positiva diretta, ma era citato indirettamente all'art. 67, c. 3, lett. d), fra le esenzioni da revocatoria fallimentare. Questo strumento di soluzione della crisi può essere definito come un piano di carattere industriale che, dopo aver individuato le cause della crisi, prevede una serie di operazioni idonee al superamento di tale condizione, normalmente accompagnato da uno o più accordi con i creditori (da qui, fra l'altro, la stessa rubrica dell'art. 56 CCI). Tale piano deve essere idoneo al risanamento dell'esposizione debitoria ed al riequilibrio della situazione economico-finanziaria e, come tale, deve essere necessariamente accompagnato dall'attestazione di fattibilità, redatta da un professionista indipendente (definito all'art. 2 lett. o) CCI). L'ambito applicativo del piano di risanamento, come suggerisce la sua stessa denominazione, è tradizionalmente riservato alle soluzioni con continuità aziendale, ritenendosi infatti che il risanamento ed il riequilibrio economico-finanziario siano obiettivi incompatibili con la predisposizione di un piano che si limiti a prevedere la semplice liquidazione del patrimonio dell'imprenditore e la sua uscita dal mercato. In modo innovativo, invece, il Codice consente a tutti gli imprenditori, e non soltanto all'imprenditore commerciale, la facoltà di utilizzare questo istituto che, conseguentemente, rispetto al passato, amplia dal punto di vista soggettivo il suo spazio di operatività (così ad esempio potrà essere utilizzato dall'imprenditore agricolo o da quei soggetti che pur operando con criteri di economicità non possono definirsi imprenditori di carattere commerciale, così da abbracciare anche figure del “terzo settore”, enti, associazioni, società sportive dilettantistiche, ecc…). Non si ritiene, invece, che questo istituto possa essere utilizzato dalle imprese minori, pur se in effetti la norma nulla aggiunge in proposito, in quanto il codice distingue nettamente le soluzioni della crisi per le imprese maggiori (come tali fallibili, o meglio, oggi sottoponibili a liquidazione giudiziale) dalle soluzioni riservate alle imprese di minori dimensioni, tanto è vero che l'art. 25 quater non indica questo strumento fra gli istituti utilizzabili da tale tipologia di imprese, in caso di fallimento della fase di trattativa con i creditori. Il presupposto oggettivo è rappresentato da una situazione di crisi o insolvenza, pur se l'istituto si adatta preferibilmente, come si vedrà, alla prima. I nuovi contenuti del piano attestato Del tutto nuova è la disciplina che il Codice detta per gli aspetti contenutistici ed i requisiti formali del piano attestato di risanamento. Il piano deve innanzitutto avere data certa, il che è facilmente spiegabile se si considera che le operazioni ed i pagamenti ivi contemplati necessitano di una programmazione preventiva che sia opponibile con chiarezza ad una eventuale successiva liquidazione giudiziale. Il piano deve descrivere la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell'impresa ed individuare le principali cause della crisi: si tratta della c.d. “spalla” del piano, pregiudiziale dal punto di vista logico-giuridico rispetto alla successiva individuazione delle strategie di intervento e dei tempi necessari per il riequilibrio finanziario dell'impresa; per poi passare ad individuare i soggetti creditori e l'ammontare dei crediti di cui si propone la rinegoziazione: in modo innovativo rispetto al passato occorre altresì indicare i creditori estranei (concetto per il vero tradizionalmente collegato agli accordi di ristrutturazione) e le fonti finanziarie da cui questi ultimi potranno trarre il proprio integrale soddisfacimento. Il piano deve poi indicare gli eventuali apporti di nuova finanza, così come i tempi di realizzazione delle azioni previste e le opzioni da intraprendere nel caso di scostamenti rispetto a quanto previsto e contenere un vero e proprio business plan, oltre che un piano prospettico finanziario. Al piano deve essere necessariamente allegata un'attestazione che, come già ricordato, deve riguardare sia la veridicità dei dati aziendali che la fattibilità del piano. Si ritiene che l'aggettivo “economica” che ancora compare nella norma sia il frutto di un mancato coordinamento con le altre disposizioni del recente d.lgs. n. 83/2022 che tale aggettivazione hanno eliminato in tutte le norme del Codice in cui compariva. Evidentemente, peraltro, la fattibilità dovrà essere attestata non in modo astratto, ma in concreto, e questo richiederà al professionista indipendente comunque di verificare che gli obiettivi del piano siano effettivamente perseguibili e che ex ante anche i risultati economici e finanziari delle operazioni previste non siano puramente velleitarie ma attuabili. Inoltre, il piano può essere accompagnato, così come avviene normalmente, da uno o più accordi con i creditori in ordine alla ristrutturazione dei relativi diritti, che possono perciò avere contenuto remissorio (ad es. rinuncia o rimodulazione degli interessi o di parte del debito capitale), come pure dilatorio (ad es. piano rateale o consolidazione di un debito a breve in uno a medio – lungo termine, magari accompagnato da nuove garanzie). I vantaggi del piano attestato Il piano attestato, così come succintamente delineato, non è una procedura concorsuale: non vi è alcuno spossessamento per l'imprenditore, che può continuare a “fare impresa” senza necessità di autorizzazione alcuna, non vi sono esigenze di rispetto della par condicio o dei criteri di graduazione dei privilegi, posto che il trattamento dei crediti ristrutturati dipende dagli accordi negoziali volta a volta raggiunti con ciascun creditore individualmente considerato; non vi sono perciò maggioranze da raggiungere, né vi è cristallizzazione del debito e neppure un intervento giudiziale di omologazione. Da questo punto di vista si apprezzano i principali vantaggi rispetto agli altri istituti della crisi: flessibilità ed economicità della soluzione, effettiva riservatezza delle trattative, condotte solo con i creditori necessari a garantire la fattibilità del risanamento. Peraltro, l'imprenditore ed i creditori possono decidere di rinunciare a questo importante vantaggio e richiedere la pubblicazione nel registro delle imprese del piano, dell'attestazione e degli accordi raggiunti, al fine di fruire di vantaggi fiscali (vds. artt. 88 e 101 TUIR). La stabilità e l'esenzione da responsabilità penale L'utilizzo del piano attestato ha due importanti vantaggi rispetto ad altre soluzioni puramente stragiudiziali della crisi, consistenti negli effetti che lo stesso produce quale istituto meritevole di tutela nel nostro ordinamento: l'esenzione da revocatoria e da responsabilità penale. Non si tratta di una esenzione indiscriminata, naturalmente, ma la stessa va attentamente valutata rispetto ai nuovi artt. 166, comma 3, lett. d) e 324, che fungono altresì da incentivi ad affrontare in modo virtuoso e tempestivo la crisi di impresa, essendo evidente che questo istituto è utilizzabile (proprio perché manca di effetti protettivi e riposa sull'accordo con i creditori) nei casi in cui la crisi è appena iniziata e non ha ancora dato origine ad iniziative aggressive dei terzi o ad un ingente indebitamento con l'erario. L'esenzione da revocatoria riguarda gli atti, i pagamenti e la concessione di garanzie su beni del debitore, purchè siano esecutivi del piano attestato ed in esso siano specificamente indicati. L'esenzione, rispetto al passato, non riguarda solo la revocatoria fallimentare ma anche quella ordinaria, ed è destinata a venir meno in caso di dolo o colpa grave del debitore o dell'attestatore di cui il creditore (o il terzo che compie l'atto da revocare) sia a conoscenza. L'esenzione da responsabilità penale non è indiscriminata: per favorire il piano attestato e gli accordi attuativi riguarda infatti la sola bancarotta preferenziale e la bancarotta semplice, così che un piano che contenesse operazioni distrattive dell'azienda continuerebbe a poter essere perseguito penalmente. Da notare che oggi è possibile ottenere effetti equivalenti a quelli del piano attraverso un accordo con i creditori raggiunto in sede di composizione negoziata, purchè sottoscritto anche dall'esperto che giudichi coerente il piano, che sta alla base della soluzione raggiunta, rispetto alla regolazione della crisi o dell'insolvenza (art. 23, comma 1, lett. c).
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