venerdì 16/09/2022 • 06:00
Decorsi i 15 giorni di vacatio legis previsti dalla legge, è operativa la riforma del contenzioso tributario: gli effetti concreti, però, quanto ai magistrati tributari si vedranno negli anni a venire, tra indizione del concorso, definizione del ruolo unico e nuovo regime per la messa a riposo.
Entra in vigore il 16 settembre 2022 la L. 130/2022 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 1° settembre 2022 e già emendata dalla conversione in legge del DL 115/2022 cosiddetto “Aiuti-bis” (ma altre modifiche, c'è da esserne certi, verranno in un futuro molto prossimo). Passiamo dunque in rassegna gli aspetti maggiormente caratterizzanti le novità legislative, seguendo la cronologia della legge. Da Commissioni a Corti di giustizia e l'avvento dei nuovi magistrati tributari (art. 1) Cominciamo col dire che da oggi abbandoniamo la trentennale denominazione di “Commissione tributaria” a favore della nuova “Corte di giustizia tributaria”, di primo o di secondo grado in luogo, rispettivamente, della “vecchia” distinzione tra provinciale e regionale. Arrivano - ma non subito, anzi - i nuovi magistrati tributari, reclutati nel numero di 448 per le Corti di primo grado e di 128 per quelle di secondo grado: il reclutamento avverrà per concorso per esami al quale potranno partecipare, fermi restando gli altri requisiti, i laureati in Giurisprudenza, in Scienze dell'economia o in Scienze economico-aziendali. Per “vecchi” e nuovi magistrati tributari la legge prevede obblighi di formazione continua e aggiornamento professionale. Dal punto di vista funzionale, i magistrati risulteranno dipendenti dal MEF e la relativa attività potrà essere oggetto di analisi dall'Ufficio ispettivo del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria “col supporto della Direzione della Giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze” del MEF: sull'opportunità che i nuovi magistrati dipendessero dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e non da una della parti, sostanzialmente, in causa nel processo tributario è, ormai, vox clamantis in deserto. Lo “strano amore” tra ISA e sospensione cautelare (art. 2) Forse perché gli Indicatori Sintetici di Affidabilità fiscale (cd. ISA) non suscitano il timore che corredava i trapassati “studi di settore”, in quanto non suscettibili di avviare ex se un procedimento di controllo e di accertamento, si sarà pensato combinare questo matrimonio d'interesse, è proprio il caso di dirlo, con la sospensione cautelare di cui all'art. 47 D.Lgs. 546/92. O, meglio, con la prestazione della garanzia che è attualmente prevista dalla norma, il cui rilascio permette al contribuente l'immediata sospensione degli effetti dell'atto quanto alla riscossione frazionata. La disposizione prevede, perciò, che per i contribuenti virtuosi, ossia quelli che hanno ottenuto un punteggio di affidabilità pari ad almeno 9 nell'ultimo triennio d'imposta precedente a quello di proposizione del ricorso e per il quale i punteggi siano disponibili, non è dovuta la prestazione della garanzia. Il che potrebbe dare adito alla pressoché automatica sospensione per queste “mosche bianche” che per tre anni di fila hanno portato a casa cotanta eccellente pagella fiscale: peccato, però, che in tutta Italia vengano decise un terzo delle istanze presentate (nel 2021 10.388 su 29.839 richieste), per cui la “mosca bianca” deve anche vincere la lotteria della disamina dell'istanza (senza speranza i contribuenti di Rieti, Pordenone, Perugia, Pesaro, Latina, Foggia, Crotone, Arezzo e Ascoli Piceno – Fonte, MEF – Direzione della Giustizia Tributaria, che nel 2021 hanno discusso “zero istanze”). La definizione del contenzioso tributario pendente in cassazione (art. 3) Presso la Corte di Cassazione è prevista l'istituzione di una sezione tributaria autonoma preposta esclusivamente alla trattazione delle controversie in materia tributaria, che ormai rappresentano la maggior parte dei ricorsi pendenti a Piazza Cavour: la disposizione è da salutare con favore a condizione, però, che la dotazione organica di consiglieri e presidenti risulti idonea allo smaltimento delle decine di migliaia di processi pendenti. La norma prevede anche che il Primo Presidente possa adottare provvedimenti risolutivi dei contrasti giurisprudenziali che sovente si generano all'interno della sezione tributaria: il tutto, per stabilizzare gli orientamenti e agevolare la rapida definizione dei procedimenti pendenti. Le modifiche al processo tributario (art. 4) Arriva il Giudice monocratico per le controversie di valore fino a € 3.000 – il tetto per la difesa presso le nuove Corti senza l'assistenza tecnica – e fatta eccezione per le liti di valore indeterminabile: non cambia nulla, però, sul versante sostanziale del procedimento. Altra novità l'avvento della “prova testimoniale”, assunta con le forme previste dall'art. 257-bis c.p.c., anche d'impulso della Corte e senza l'accordo delle parti. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova è però ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale (al fine di evitare “aggiramenti” delle previsioni che impongono, in caso di disconoscimento dell'elemento processuale, il procedimento di querela di falso). E ora passiamo al nuovo regime delle spese processuali. In caso di rigetto del reclamo o di mancato accoglimento della proposta di mediazione la soccombenza di una delle parti, in accoglimento delle ragioni già espresse nel precedente procedimento, comporterà la condanna al pagamento delle spese di giudizio: questa condanna, però, potrà rilevare ai fini dell'eventuale responsabilità amministrativa del funzionario che avrà immotivatamente rigettato il reclamo o non ha accolto la proposta di mediazione. Spese maggiorate, ma questa volta con un surplus del 50%, nei casi in cui nonostante una delle parti ovvero il giudice abbia formulato una proposta di conciliazione la stessa non sia stata accettata “senza giustificato motivo” e a condizione che il riconoscimento delle pretese della parte che ha opposto il rifiuto sia inferiore alla proposta ricevuta. Modifiche anche per la sospensione degli atti impugnati, a cominciare dalla previsione che la trattazione della istanza dovrà avvenire non oltre il trentesimo giorno dalla sua presentazione, con comunicazione che potrà essere data alle parti almeno cinque giorni liberi prima. La norma sembrerebbe volgere a stimolare la trattazione delle istanze di sospensione: peccato, però, che si tratti di una disposizione ordinatoria che non vincola le Corti di giustizia tributaria: inoltre, viene anche previsto che l'udienza di trattazione dell'istanza di sospensione in nessun caso potrà coincidere con l'udienza di trattazione nel merito della controversia. Dall'entrata in vigore delle nuove disposizioni potrà essere anche la Corte di giustizia tributaria a proporre, per le sole controversie soggette a reclamo – e dunque le liti sino a € 50.000 di valore – una proposta conciliativa alle parti “avuto riguardo all'oggetto del giudizio e all'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione”. Proposta che potrà essere formulata in udienza o fuori udienza e, in quest'ultimo caso, comunicata alle parti. Ovviamente non sussiste alcun obbligo per le parti di aderire, nel qual caso si procederà come di consueto alla trattazione della causa e, come detto in precedenza, a possibili aggravi delle spese di giudizio. Infine, per i giudizi instaurati, in primo e secondo grado, con ricorso notificato dal 1° settembre 2023 si procederà in via esclusiva con udienze “a distanza” per le istanze di sospensione presentate in primo grado e per le controversie in cui il rito prevede il Giudice monocratico. Diversamente, l'udienza a distanza potrà tenersi soltanto nel caso in cui la richiesta sia formulata da tutte le parti in causa. La definizione delle liti pendenti per cassazione (art. 5) Lo smaltimento dell'arretrato in cassazione è un giusto imperativo della riforma: perciò la L. 130/2022 introduce due modalità per permettere, in base ad articolate condizioni, l'estinzione delle controversie in cui è parte l'Agenzia delle Entrate mediante una definizione ad hoc. Segnatamente, laddove questa sia risultata completamente soccombente nei due giudizi di merito e il valore della lite sia di importo non superiore a € 100.000, il contribuente può estinguere il processo con il pagamento del 5% del valore della controversia. Laddove, invece, l'Agenzia delle Entrate sia risultata soccombente, anche in parte, a uno dei giudizi di merito e il valore della lite sia di importo non superiore a € 50.000, si può estinguere il processo con il pagamento del 20% del valore della controversia. Le controversie definibili sono quelle per il quali il ricorso per cassazione è stato notificato alla controparte entro il 16 settembre, data di entrata in vigore della L. 130/2022 e a condizione, ovviamente, che alla data di presentazione della domanda non sia intervenuta una sentenza definitiva. La definizione si perfeziona con la presentazione della domanda entro centoventi giorni da oggi e con il pagamento degli importi dovuti: quindi, entro il 16 gennaio 2023, atteso che il 14 gennaio – data di scadenza – è un sabato. Qualora non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda. La domanda di definizione, esente dall'imposta di bollo, dovrà essere presentata distintamente per ogni lite e il conseguente versamento dovrà parimenti essere distinto: con ciò escludendo, perciò, domande e versamenti “cumulativi”. Al fine di evitare un giudizio, chi intende definire può presentare da subito un'istanza presso la Corte di cassazione dichiarando di volersi avvalere della definizione: la Corte, conseguentemente, disporrà la sospensione del processo sino al 16 gennaio del prossimo anno. Onere della prova Con un intervento da “ultim'ora”, non fosse altro perché non era previsto nel DDL che ha caratterizzato la riforma, viene previsto che debba essere l'Amministrazione finanziaria a provare in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il giudice, perciò, deve fondare la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni. Ho letto di tutto su tale modifica legislativa e sui relativi auspicati effetti benefici anche sui giudizi in corso: personalmente ritengo che la portata innovativa sia limitata all'attribuzione del potere al magistrato tributario di annullare l'atto in luogo della pronuncia sostitutiva di merito che sinora ha caratterizzato il suo operato. Per tutto il resto, a mio sommesso avviso, erano sufficienti gli artt. 2697 c.c. e 112, 115 e 116 c.p.c. Bastava soltanto applicarli.
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Marco Ligrani
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