Con la Cass. S.U. 6 settembre 2022 n. 26283, le Sezioni Unite di Cassazione bruciano i tempi e si pronunciano su una norma di recentissima introduzione, ossia l'art. 12 c. 4-bis DPR 602/73, introdotto dall'art. 3-bis DL 146/2021.
Con detta norma è stata espressamente sancita la non impugnabilità dell'estratto di ruolo e, dall'altro, fissati (nuovi) limiti all'impugnabilità del ruolo e della cartella di pagamento. Ebbene. È su questa seconda previsione che si è centrata l'attenzione della Suprema Corte.
In effetti, con riguardo al tema della non impugnabilità dell'estratto di ruolo, la Corte fa giustamente osservare come la norma abbia valore meramente ricognitivo di un assetto oramai consolidato presso la giurisprudenza: l'estratto di ruolo è atto meramente interno, inidoneo di per sé a determinare alcun pregiudizio sul contribuente. Per tale ragione non è impugnabile ma, semmai, sono impugnabili gli atti che in esso vengono riportati e che vengono conosciuti solo tramite l'estratto.
Più articolato è invece il ragionamento sull'altra novità rappresentata dai nuovi limiti all'impugnazione del ruolo e della cartella.
Qui, la portata innovativa della disposizione non può essere infatti messa in discussione, dal momento che, in forza di essa, sono stati introdotti peculiari limiti all'impugnazione del ruolo e della cartella. Più precisamente, in forza del nuovo art. 12 c. 4-bis DPR 602/73, non è più consentita l'impugnazione diretta del ruolo e della cartella per vizi di notifica, a meno che non venga dimostrato un particolare pregiudizio, tipizzato dalla stessa norma, integrato da un pregiudizio nella partecipazione a gare di appalto, nella riscossione di somme dalla p.a. oppure nella perdita di un beneficio nei rapporti con la p.a.
Ebbene, le questioni su cui la Corte ha ritenuto di intervenire per porre dei punti fermi sono sostanzialmente due: l'applicabilità o meno della novella ai procedimenti in corso e la sua legittimità costituzionale. Su entrambe le questioni, la soluzione della Corte non appare convincente.
Applicazione retroattiva dell'art. 12, c. 4 bis, DPR 602/73
Circa il primo quesito, ossia sull'applicabilità della novella ai procedimenti in corso, la soluzione della Corte appare contraddittoria. La Corte afferma infatti che la previsione non è retroattiva (pag. 14 della sentenza), salvo poi statuire che essa torna applicabile ai giudizi in corso (dispositivo). Ma è evidente che le due affermazioni sono tra loro in conflitto e non è chiaro come conciliarle. Il problema nasce perché la Corte offre una nozione di retroattività incentrata sugli effetti della novella, piuttosto che sulla definizione dell'ambito temporale di sua applicazione. Per la Corte, infatti, la novella non sarebbe retroattiva in quanto «non disconosce le conseguenze già realizzate del fatto compiuto, né ne impedisce le conseguenze future»; al contempo, però, sempre per la Corte la norma tornerebbe applicabile ai giudizi in corso dal momento che, avendo l'interesse ad agire, quale condizione dell'azione, natura dinamica, ed avendo la norma modificato i caratteri di detto interesse, ecco che essa è in grado di incidere sulla pronuncia della sentenza. Ciò, a meno che non sia dimostrato, in corso di causa, lo specifico interesse ad agire confezionato dalla nuova norma ed integrato dalle ipotesi di pregiudizio ivi tassativamente enunciate.
Sennonché, la contraddizione in cui cade la Corte appare evidente. Dal momento che l'interesse ad agire, a rigore, si deve esprimere innanzitutto al momento di presentazione della domanda (art. 100 c.p.c.), ritenere che sia applicabile una norma che lo rimodula, limitandolo, significa andare a modificare ex post una vicenda che ha già espresso la sua idoneità funzionale. Il carattere dinamico dell'interesse, evocato dalla Corte, va piuttosto inteso in termini di potenzialità di detto interesse, da contrapporre ad una sua immediata concretezza, come del resto si comprende dalla giurisprudenza evocata dalla stessa Corte che è tutta intesa a giustificare l'interesse dell'Agenzia a coltivare un contenzioso contro una società estinta, essenzialmente per procacciarsi un titolo da far valere contro i soci. Detto altrimenti, ritenere applicabile ai giudizi in corso una norma che fissa nuovi limiti e condizionamenti all'impugnazione del ruolo e della cartella significa, necessariamente, ammettere la retroattività di detta disposizione. Del resto, solo in questi termini si giustifica la precisazione della Corte che ammette l'integrazione in giudizio delle condizioni dell'azione espresse dal nuovo interesse ad agire, così come rimodulato dalla norma. Se così è, però, e nonostante il parere della Corte, la norma dovrebbe essere allora vagliata anche sotto questo profilo in ordine alla sua ragionevolezza e conseguente costituzionalità.
Legittimità costituzionale dell'art. 12 c. 4-bis DPR 602/73
Venendo al secondo quesito, la Corte giunge ad escludere categoricamente ogni profilo di illegittimità costituzionale della novella. In termini, però, che ancora una volta non appaiono convincenti. L'argomento primo al riguardo è rappresentato dall'evoluzione intrapresa dalla giurisprudenza in tema di tutela avverso gli atti della riscossione, che oggi consente di impugnare davanti al giudice tributario anche gli atti esecutivi, laddove si lamenti un vizio di notifica di un atto presupposto (Cass. S.U. 16 dicembre 2020 n. 28709), ovvero di proporre l'opposizione all'esecuzione oltre i limiti originari dell'art. 57 DPR 602/73 (C.Cost. 31 maggio 2018 n. 114). Tutto questo per dire, con le parole della Corte, che «il principio della tutela immediata affermato dalla richiamata sentenza delle sezioni unite del 2015 è dunque superato, come ineludibile e pronosticabile conseguenza del descritto ampliamento delle tutele esperibili a fronte dell'ingiusta prosecuzione della sequenza procedimentale». Da qui la legittimità della novella, che di fatto viene porre al modello solo una «modesta deroga».
La posizione però non convince. Come rileva anche la Corte, il meccanismo della tutela immediata consentito dalla Suprema Corte a partire dalla sentenza Cass. 2 ottobre 2015 n. 19704, era concepito per scongiurare i danni dell'esecuzione prima ed a prescindere dalla effettiva e regolare notifica di atti. Ma, se così è, ecco allora che il potenziamento della tutela avverso atti regolarmente notificati, operato con la giurisprudenza della Cassazione e della Consulta sopra richiamate, non impatta minimamente sul problema. Insomma, ben può essere che il contribuente sconti un pregiudizio, correlato alla presenza di pendenze fiscali che, in mancanza di un atto notificato, non può più rimuovere: si faccia il caso della certificazione delle pendenze gravanti sull'azienda ex art. 14 D.Lgs. 472/97. Ciò per dire che la limitazione imposta dal nuovo art. 14 c. 4-bis DPR 602/73 si traduce in un concreto pregiudizio e limitazione irragionevole di tutela, mentre l'obiettivo perseguito di deflazionare il contenzioso avverso cause meramente dilatorie poteva ben essere perseguito più coerentemente con gli strumenti canonici della condanna alle spese e della responsabilità processuale. Con ogni evidenza, il dubbio di costituzionalità andrà riproposto, magari nelle sedi di merito.