Disposizione procedimentale senza una disciplina del procedimento tributario
Con uno dei tanti decreti-legge omnibus che negli ultimi anni si susseguono, precisamente il DL 73/2022, convertito con la L. 122/2022, è stato aggiunto all'art. 6 Statuto del contribuente (L. 212/2000) un comma 5 bis sulla comunicazione ai contribuenti dell'esito negativo dei controlli. Già l'art. 6 dello statuto costituisce un esempio di disposizione manifesto enfatica e scoordinata rispetto alle disposizioni sulla notifica dei provvedimenti amministrativi d'imposizione, e rispetto alla cornice di diritto amministrativo generale.
Come il resto dello Statuto, cui avventatamente era stato proposto di dare addirittura rango costituzionale, l'articolo in questione appare sfasato rispetto allo sviluppo che alcuni concetti del diritto amministrativo generale, compreso il procedimento, hanno avuto nella sede loro propria. Lo statuto è insomma una conferma dell'isolamento, a matrice privatistico giurisdizionale, della funzione tributaria, rispetto al naturale sfondo di diritto amministrativo in cui dovrebbe collocarsi. Dopo oltre vent'anni dalla sua emanazione, lo Statuto, e anche l'estemporaneo inserimento qui in esame, restano lontanissimi dal nucleo comune di concetti generali del diritto amministrativo, che via via si perfezionano e si affinano, venendo contestualizzati sulle varie funzioni pubbliche. Ciascuna di esse interagisce col diritto amministrativo generale, cui appartiene, contestualizzando alle proprie specificità concetti come l'avvio e la conclusione del procedimento, la comunicazione dei suoi risultati, la rilevanza dei vizi e via enumerando. Il diritto tributario è invece in un imbarazzante isolamento, come conferma la mancanza di riferimenti, nell'art. 6 L. 212/2000, anche dopo la modifica qui commentata, al procedimento amministrativo. Quest'ultimo rappresenta, in materia tributaria, una sorta di oggetto misterioso, cui fece riferimento una parte della dottrina per uscire dalle secche delle discussioni sulla nascita dell'obbligazione tributaria dal verificarsi del presupposto oppure dagli atti dell'amministrazione finanziaria.
Si propose, infatti, correttamente, di utilizzare il procedimento, anziché l'obbligazione, per collegare uffici tributari e contribuenti. Fu un'intuizione corretta della suddetta matrice amministrativistica della funzione tributaria, cui non seguirono purtroppo sviluppi diretti a precisare se il procedimento iniziasse con gli adempimenti del contribuente, non necessariamente seguiti da controlli del fisco, vista la loro mera eventualità, oppure iniziasse con specifici moduli di indagine, del tutto eventuali, come quelli cui allude la disposizione in esame. In altre parole, il concetto di procedimento amministrativo non fu personalizzato sulla funzione tributaria, neppure dallo statuto del contribuente, che fece in proposito un'isolata incursione su aspetti di dettaglio, come l'indicazione sugli atti del responsabile del procedimento. Per il resto, il procedimento tributario è rimasto un corpo estraneo rispetto alle altre funzioni amministrative, fino all'inapplicabilità espressa al nostro settore di molte disposizioni della legge generale sui procedimenti amministrativi (L. 241/90).
Resta infatti tutt'ora inesplorato il nesso tra allegazioni procedimentali del contribuente e determinazione delle imposte da parte dell'ufficio, possibili preclusioni e decadenze; l'unica è quella tradizionale - vagamente pro-fisco - dell'irrilevanza di documenti e informazioni non forniti durante le indagini, con riflessi di sanzione impropria in cui il tanto decantato Statuto si guarda bene dall'entrare.
Dubbi sulla revocabilità della comunicazione di esito negativo
Senza una personalizzazione del concetto di procedimento alla funzione tributaria, la disposizione in commento, senza dubbio opportuna per vari motivi che vedremo, finisce però per disperdersi su un terreno inesplorato, tutto da dissodare. Questo la rende anche densa di ambiguità, che speriamo siano chiarite dal provvedimento attuativo dell'Agenzia delle Entrate, cui la disposizione fa riferimento. L'oggetto dell'intervento è molto ampio, in quanto esso riguarda tutte le attività istruttorie di controllo nei confronti del contribuente del cui avvio lo stesso sia stato informato. Il problema che da sempre si poneva in proposito riguarda il valore dell'inerzia dell'amministrazione finanziaria davanti ai chiarimenti forniti dal contribuente, magari accompagnati da rassicurazioni verbali o telefoniche sulla loro adeguatezza escludendo l'emanazione di un atto impositivo. Pur essendo l'esito che il contribuente si augurava, esso non viene accompagnato da comunicazioni formali, uguali e contrarie rispetto alla valenza autoritativa di un eventuale atto di accertamento. Manca insomma la certezza legale, a fronte delle rassicurazioni informali suddette, che l'indagine è stata veramente chiusa nel senso favorevole al contribuente enunciato a voce. Quest'ultimo, sul piano formale, resta sulla graticola, esposto alla spada di Damocle di successivi ripensamenti amministrativi. Questi ultimi potrebbero riguardare sia l'idoneità della documentazione fornita sia l'interpretazione giuridica che aveva indotto ad accogliere le ragioni del contribuente. Capisco ovviamente il desiderio degli uffici tributari di tenersi le mani libere e di non vincolarsi rispetto a possibili cambi di idea, che potrebbero essere connessi non tanto alla volubilità del singolo ufficio, quanto a mutamenti di indirizzo generale dell'Agenzia nel suo complesso, magari derivanti da modifiche negli orientamenti giurisprudenziali interni o comunitari. A questo proposito emerge, nella modifica normativa, un sibillino passaggio secondo cui “la comunicazione dell'esito negativo della procedura di controllo non pregiudica l'esercizio successivo dei poteri di controllo dell'amministrazione finanziaria, ai sensi delle vigenti disposizioni”.
È da chiedersi se il riferimento alle vigenti disposizioni riguardi la c.d. "sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” oppure l'accertamento parziale, ma in entrambi questi casi abbiamo un esito positivo del controllo, che comporterebbe la consumazione del potere amministrativo, il cui ulteriore esercizio sarebbe subordinato ai nuovi elementi oppure salvaguardato a prescindere, nell'accertamento parziale. Viene quindi davvero da chiedersi quali siano queste vigenti disposizioni che consentirebbero all'ufficio quello che potrebbe essere chiamato un diritto di ripensamento. Al momento attuale non mi sembra ci siano disposizioni espresse al riguardo e quindi non resta che attendere il decreto dirigenziale di attuazione. Facciamo tuttavia alcune ipotesi, una delle quali favorevole al contribuente, che escluderebbe il diritto di ripensamento sull'oggetto specifico dell'istruttoria; in quest'ottica la formula normativa sull'esercizio successivo dei poteri di controllo si limiterebbe a confermare la possibilità di svolgere ulteriori indagini, fermo restando che su quella chiusa con esito negativo il suddetto diritto di ripensamento amministrativo è escluso.
Un'altra interpretazione salvaguarderebbe invece questa facoltà, subordinandola però a una riapertura dell'indagine specifica, accompagnata da adeguate motivazioni sul cambiamento di impostazione. In relazione a tale comunicazione di riapertura del procedimento il contribuente sarebbe quindi in condizione di controdedurre, in apposito contraddittorio amministrativo. Vista anche l'informalità delle comunicazioni di esito negativo del controllo, mi pare debole la prima soluzione, cioè che esse diano luogo a un singolare provvedimento amministrativo con effetti preclusivi a favore del contribuente, che quindi preclude il suddetto ripensamento da parte dell'amministrazione. Appare più solida invece la tesi di un provvedimento “allo stato degli atti”, che non esclude eventuali riaperture con tutte le garanzie procedimentali suddette. Anche con questa possibilità di ripensamento, la novella è comunque indubbiamente migliorativa rispetto all'attuale limbo di informalità sopra descritto.