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  • Riforma fiscale

martedì 09/08/2022 • 06:00

Fisco Un sistema fiscale fuori dalla Costituzione

Legge delega sulla riforma fiscale e impatti sul reddito d’impresa

Lo schema di legge delega sulla riforma fiscale pone l'obiettivo di riportare il sistema fiscale entro i binari costituzionali della capacità contributiva e della progressività del carico tributario. E prende in esame il caso più eclatante: il reddito d'impresa, prevedendo un'equiparazione dei redditi d'impresa indipendentemente dall'organizzazione in forma di società di capitali o di società di persone o individuale.

di Sebastiano Stufano - Avvocato in diritto tributario, societario e penale finanziario in Milano

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Un sistema tributario deve essere fondato su regole che assicurino l'equa partecipazione alle spese pubbliche, ma l'accumulo di deroghe, imposte sostitutive, cedolari e agevolazioni di settore hanno generato un sistema irriconoscibile e fuori dai principi costituzionali.

Esiste una cornice costituzionale entro la quale il prelievo tributario deve inserirsi?

Ci sono norme o principi superiori cui la tassazione deve uniformarsi per potersi dire equa e giusta?

In linea teorica, sì.

Ci sono almeno quattro articoli della nostra Costituzione che, direttamente o indirettamente, riguardano l'imposizione fiscale, cioè la partecipazione dei cittadini alle spese pubbliche e i criteri di relativa ripartizione.

Anzitutto in materia tributaria è prevista una riserva di legge, lo stabilisce l'art. 23 Cost., per il quale l'imposizione di prestazioni economiche deve sempre avvenire con una legge, non è ammessa l'introduzione di tributi mediante una fonte normativa di rango secondario.

La partecipazione alle spese pubbliche risponde a un preciso e inderogabile dovere di solidarietà economica e sociale sancito dall'art. 2 Cost.

Il criterio generale di ripartizione del carico fiscale è invece fissato dall'art. 53 Cost. che usa come parametro la capacità contributiva di ciascuno, e cioè la sua effettiva possibilità economica, intesa sia come causa giustificatrice del prelievo tributario, sia come limite dell'an e del quantum dello stesso.

Lo stesso articolo 53 Cost. si chiude introducendo il principio di progressività, per il quale il sistema tributario deve essere informato a un criterio di contribuzione crescente al crescere delle possibilità economiche del singolo contribuente.

Tutto questo si accorda con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. e con il compito dello Stato repubblicano di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Nelle dichiarazioni di principio della Carta costituzionale sono dunque contenute in nuce le fondamenta di un sistema tributario improntato alla ripartizione delle spese pubbliche secondo criteri di equità e di tendenziale redistribuzione della ricchezza in risposta a un dichiarato dovere inderogabile di solidarietà tra i consociati.

L'attuale sistema è incentrato essenzialmente su due indici di capacità contributiva: i redditi e i consumi.

Le imposte sui redditi, almeno in teoria, dovrebbero rappresentare il terreno di applicazione principale del principio di capacità contributiva e di progressività.

In pratica, una sedimentazione di modifiche, di deroghe e di imposte sostitutive susseguitesi nel tempo hanno reso irriconoscibile la progressività del sistema impositivo, così come hanno in parte vanificato il principio di capacità contributiva.

Di base, il reddito imponibile dovrebbe essere il risultato della somma di tutti i tipi di reddito percepiti nell'arco di un periodo di imposta (coincidente con un anno solare), si ottiene così il reddito complessivo e su questo andrebbero applicate le imposte secondo gli scaglioni progressivi.

Questo proposito si infrange inesorabilmente sulla barriera di sedimenti e stratificazioni che hanno sfigurato nel tempo il volto del sistema impositivo.

Tassazione dei redditi d'impresa

Un esempio eclatante è quello della tassazione dei redditi che derivano da attività d'impresa.

Ad oggi il sistema prevede che i redditi che derivano da attività di impresa organizzate in forma di società di capitali subiscono una prima tassazione a titolo di IRES con una aliquota del 24%.

Successivamente, quando gli utili prodotti vengono distribuiti, questi (come dividendi) subiscono un'ulteriore tassazione a titolo di imposta sostitutiva con una aliquota fissa pari al 26%.

A ciò, tra l'altro, si deve aggiungere l'imposta che grava sulle imprese e opera a livello regionale, cioè l'IRAP, con una aliquota media del 3,9%.

Ebbene, sommando il carico fiscale si arriva a superare ampiamente l'aliquota marginale più alta prevista dal TUIR per le persone fisiche, e cioè il 43%.

Ed è qui il primo problema: a parità di utili prodotti, quando questi vengono distribuiti, se si fa impresa sotto forma di società di persone o in forma individuale, si avrà una tassazione non oltre il 43%, per chi invece fa impresa sotto forma di società di capitali la tassazione sarà complessivamente maggiore, superando addirittura il 50%.

Ma allora la domanda è: in questo caso dov'è l'applicazione pratica del principio di capacità contributiva? Non c'è.

Il parametro dell'effettiva possibilità economica non ricopre alcun ruolo, tanto meno quello di indirizzare l'intero sistema tributario verso il più generale principio di uguaglianza, secondo cui situazioni uguali devono essere trattate ugualmente, e situazioni diversi invece diversamente.

Il discorso non cambia in riferimento all'indice di progressività.

Anzi, solleva un secondo problema. Se, ad esempio, due s.r.l. hanno prodotto utili una per cento e l'altra per mille, l'attuale sistema garantisce una tassazione progressiva? No, entrambe saranno assoggettate ad una medesima incidenza in termini di aliquota. Ma allora anche qui, dov'è la contribuzione crescente al crescere delle possibilità economiche? Non c'è.

A questa macroscopica anomalia vuole porre rimedio il disegno di legge delega sulla riforma fiscale, prevedendo un'equiparazione dei redditi d'impresa indipendentemente dall'organizzazione in forma di società di capitali o di società di persone o individuale.

Ma il problema è più generale, e riguarda la pletora di imposte sostitutive, cedolari secche e agevolazioni settoriali.

Un sistema basato sulle deroghe è sempre un cattivo sistema. Se ci sono delle regole, perché si sente continuamente il bisogno di derogarle?

Anche perché, se i criteri di ripartizione del carico fiscale non hanno una reale incidenza sul prelievo tributario, allora viene meno anche la funzione più generale assegnata dalla Costituzione al sistema fiscale, e cioè quella di un'equa e giusta distribuzione della tassazione.

Probabilmente il sistema impositivo parte da un presupposto sbagliato e cioè quello di basarsi sulla categoria reddituale o, peggio, sul settore economico, piuttosto che parametrare l'incidenza fiscale al complesso dei redditi cumulativamente prodotti da un singolo contribuente.

Quale dovrebbe essere questa la regola

Sommare i redditi della singola persona fisica, indipendentemente dalla categoria alla quale appartengono, e tassarla con l'aliquota progressiva sul totale.

Le deroghe devono essere davvero poche e talmente urgenti e costituzionalmente protette da giustificare, nel bilanciamento dei valori, il sacrificio di ben quattro principi costituzionali: l'uguaglianza, la solidarietà economica (partecipazione alle spese pubbliche), la capacità contributiva e la progressività del carico fiscale.

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