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lunedì 18/07/2022 • 06:00

Fisco Riforma fiscale

Il principio di diritto e la giurisprudenza tributaria: come renderlo vincolante?

Il progetto di riforma fiscale introduce il principio di diritto come strumento deflattivo e di stabilizzazione dell’orientamento giurisprudenziale. Manca però un meccanismo che ne assicuri la concreta osservanza.

di Sebastiano Stufano - Avvocato in diritto tributario, societario e penale finanziario in Milano

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  • Tempo di lettura 5 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Nella materia tributaria ci sono diversi esempi, alcuni davvero eclatanti, di una certa difficoltà o ritrosia ad adeguarsi ai principi di diritto enunciati dalle corti superiori. E questo, sia da parte talvolta delle commissioni tributarie, sia da parte della stessa Cassazione. Il caso del diritto al contraddittorio preventivo nel procedimento tributario è emblematico.

Nel progetto di riforma (schema ddl “disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari”) l'introduzione del principio di diritto con funzione deflattiva e di cristallizzazione dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità tributaria (Com. Stampa Consiglio dei Ministri 17 maggio 2022 n. 78) è stato costruito su una potenziale efficacia solo astratta. Ma basta fare alcune domande concrete per prevederne un funzionamento molto poco efficace rispetto alle finalità che si propone.

L'interessamento delle Sezioni unite è garanzia di cristallizzazione di un orientamento giurisprudenziale? Nella realtà no o comunque non sempre e non automaticamente. Un esempio: il diritto al contraddittorio preventivo nei procedimenti tributari.

La questione era stata ben chiarita dalla C.Giust. C-349/07 (sentenza Sopropé). Anzitutto, quello al contraddittorio preventivo (cioè prima dell'emissione del provvedimento tributario pregiudizievole per il contribuente) – dice la Corte – è un diritto fondamentale dell'ordinamento dell'Unione Europea e, dunque, deve essere tenuto in considerazione dal giudice del rinvio nella valutazione di compatibilità della normativa nazionale sullo specifico tema con i diritti fondamentali di cui essa garantisce l'osservanza.

In secondo luogo, la Corte riconduce il diritto al contraddittorio preventivo, al diritto di difesa che costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l'amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto pregiudizievole.

Ci sono voluti sette anni affinché la Cassazione si adeguasse al principio di diritto espresso dalla Corte di giustizia europea, e non senza oscillazioni e contraddizioni all'interno della sezione tributaria, tanto che la questione è stata devoluta alle sezioni unite che, con la sentenza Cass. 18 settembre 2014 n. 19667, afferma che l'attivazione del contraddittorio endoprocedimentale costituisce un principio fondamentale immanente nell'ordinamento, operante anche in difetto di un'espressa e specifica previsione normativa, a pena di nullità dell'atto finale del procedimento, per violazione del diritto di partecipazione dell'interessato al procedimento stesso.

Ma la questione era stata rimessa dalla stessa sezione tributaria della Cassazione alla C.Cost. 7 luglio 2015 n. 132 che aveva confermato l'orientamento espresso dalle sezioni unite con la sentenza Cass. 18 settembre 2014 n. 19667.

Questione chiusa? Tutt'altro.

Nel 2015 si pronunciano nuovamente le sezioni unite della Cass. S.U 9 dicembre 2015 n. 24823 che, prima demoliscono la sentenza della Corte Costituzionale, delle cui affermazioni rilevano la natura generica e non del tutto significativa, per concludere, poi, che nell'ordinamento italiano non esiste una clausola generale (espressa) di contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario. E non esisterebbe nemmeno un principio generale immanente. L'art. 24 Cost. riconosce il diritto di difesa, ma – secondo le sezioni unite - solo in ambito giudiziale, quindi non può fondare un diritto al contraddittorio all'interno di un procedimento amministrativo. Ad analogo risultato porta l'esame dell'art. 97 Cost., anche se qui occorre dire che, in verità, la L. 241/90 che regola i procedimenti amministrativi, all'art. 10 disciplina il diritto di partecipazione al procedimento, proprio in attuazione dell'art. 97 Cost.

Le conclusioni sono sorprendenti. Smentendo le sezioni unite che si erano pronunciate solo un anno prima sulla stessa questione, viene enunciato un principio di diritto ibrido: diritto generale al contraddittorio solo per i procedimenti tributari in tema di imposte europee (le sezioni unite parlano di tributi armonizzati), e questo – si può immaginare – per non smentire l'orientamento della Corte di giustizia europea; diritto al contraddittorio solo se espressamente previsto dalla legge in tutti gli altri casi.

Storia finita? Pare incredibile, ma probabilmente no. L'ultima notizia è un'ordinanza di rimessione sempre della stessa questione alla Corte Costituzionale, da parte della CTR Toscana il 22 marzo 2022.

Motivo: la mancata estensione a tutti i procedimenti tributari del diritto al contraddittorio preventivo, e cioè, esattamente il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite nel 2015.

Ecco, questo è un esempio di come potrebbe funzionare la regola dell'enunciazione del principio di diritto se la stessa non viene accompagnata dalla previsione della sua osservanza obbligatoria da parte del giudice.

In pratica, una regola siffatta può funzionare solo se si impone il cosiddetto vincolo del precedente, come accade negli ordinamenti giudiziari anglosassoni.

E se questo viene previsto da una legge, a mio avviso non sussiste neppure un problema di compatibilità costituzionale con l'art. 101 Cost.

Con una costruzione meno burocratica e più stringente, si può produrre una buona legge che introduca il vincolo del precedente in materia tributaria, il che porterebbe senz'altro a una riduzione significativa delle liti e, in particolare, di quelle che ruotano intorno alle stesse questioni di diritto.

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