lunedì 01/08/2022 • 06:00
L'art. 60 del D.P.R. 633/1972 garantisce da un lato la rivalsa dell'IVA solo dopo aver eseguito il pagamento dell'imposta e dall'altro il diritto alla detrazione a favore del cessionario o committente. Vari interventi hanno perimetrato il campo operativo della norma, ma restano zone d'ombra.
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Il D.P.R. 633/1972, all'interno del titolo 4 relativo all'accertamento ed alla riscossione, contiene una norma che è stata oggetto di un restyling forzato in quanto dettato espressamente a livello unionale.
Oggi l'art. 60 contiene una manciata di commi (alcuni sono stati abrogati) ove in primis obbligano il contribuente a corrispondere entro sessanta giorni all'Erario l'IVA accertata, per poi passare alla previsione relativa al caso dell'imposta non versata derivante dalla dichiarazione annuale che sarà oggetto di iscrizione a ruolo a titolo definitivo, previo invito dell'Ufficio al contribuente di mettersi in regola versando le somme dovute entro trenta giorni dall'avviso.
Infine, è l'ultimo comma quello che reca più interesse a livello operativo siccome si intrecciano rivalsa e detrazione dell'imposta (o maggior IVA) relativa ad avvisi di accertamento o rettifica. Anche qui la rivalsa richiede il pagamento dell'IVA, unitamente a sanzioni ed interessi, mentre per la detrazione è riconosciuto un termine ben preciso per poterla esercitare.
Disciplina della rivalsa successiva all'accertamento
L'art. 60, comma 7, D.P.R. 633/1972 è stato ristrutturato dall'art. 93 del D.L. 1/2012, conv. in L. n. 27/2012 siccome la disposizione originaria risultava in contrasto con il diritto UE (negazione del diritto di rivalsa nei confronti dei committenti o cessionari dell'imposta pagata a seguito di accertamento). Così la nuova disciplina permette di operare la rivalsa dell'imposta o maggior imposta, relativa ad avvisi di accertamento o di rettifica, nei confronti dei cessionari di beni o dei committenti dei servizi solo a seguito del pagamento dell'IVA o della maggior imposta, delle sanzioni e degli interessi. Quindi, fermandoci alla prima parte dell'ultimo comma dell'art. 60 (la seconda riguarda l'esercizio della detrazione), la rivalsa presuppone che l'imposta accertata sia riferibile a specifiche operazioni e la conoscibilità del cessionario/committente. Così la maggior imposta accertata potrà essere addebitata in via di rivalsa anche quando sia stata calcolata su una base imponibile determinata in via forfettaria, purché riferibile a specifiche operazioni effettuate nei confronti di determinati cessionari o committenti. Sarà esclusa invece l'applicazione della norma laddove l'imposta recuperata non sia riferibile a specifiche operazioni effettuate nei confronti di determinati soggetti. Quanto al pagamento che dia diritto all'esercizio della rivalsa, si deve far riferimento sia a quello conseguente all'emissione dell'atto impositivo ma anche a quello eseguito in sede di adesione all'accertamento, oltre che all'adesione ai contenuti dell'invito al contraddittorio, all'adesione ai PVC, all'acquiescenza, alla conciliazione giudiziale, alla mediazione oppure in esito al contenzioso a seguito del passaggio in giudicato della sentenza.
Per l'appunto, nonostante la lettera della norma, la prassi dell'Agenzia è sempre orientata in favore di una lettura non restrittiva (Risp. Int. 422/2021). È stata riconosciuta al cedente o prestatore la rivalsa anche a seguito di definizione agevolata della controversia, ove l'esercizio della rivalsa è consentito solo a seguito dell'avvenuto pagamento, in un'unica soluzione o a rate, dell'importo eventualmente da versare, senza che sia stata notificato il diniego alla definizione stessa (Circ. 23/E/2017). Tale visione più estensiva ricomprende anche le definizioni agevolate delle controversie tributarie ex art. 6 D.L. 119/2018, con la conseguenza che il termine biennale previsto dall'ultimo comma dell'art. 60 decorreva dal 31 luglio 2020 per i pagamenti eseguiti prima di tale data e dalla data di ciascun versamento, per le rate corrisposte successivamente (Risp. Int. 128/2019 e 129/2019).
Andando oltre, la casistica individuata dall'Ufficio è assai ampia. Infatti è riconosciuta la rivalsa anche: in caso di definizione agevolata di un PVC (Risp. Int. 349/2019) per un importo pari a quello pagato a titolo definitivo, confermando così quanto già espresso nella Circ. 23/E/2019; oppure se parte dell'IVA sia stata assolta mediante compensazione con altri crediti d'imposta (Risp. Int. 153/2020) e nel caso sia intervenuta la cessazione dell'attività è consentito riaprire la partita IVA per emettere una nota di variazione in aumento (Risp. Int. 41/2022).
In linea generale rilevano tutte le diverse forme e cause del pagamento dell'imposta accertata, ma ciò che conta è che esso sia effettuato a titolo definitivo e non a titolo provvisorio.
In passato era stato chiarito dall'Agenzia (Circ. 35/E/2019) che il pagamento rateale dell'imposta definitivamente accertata consenta l'esercizio della rivalsa in relazione al pagamento delle singole rate, senza dover attendere l'integrale estinzione del debito erariale.
E' bene sottolineare che l'esercizio del diritto di rivalsa ha natura prettamente privatistica e in caso di mancato pagamento dell'IVA da parte del cessionario o committente il cedente o prestatore potrà adire la giustizia ordinaria civile per il recupero, senza però poter emettere una nota di variazione (Risp. Int. 219/2020 e 49/2021).
Qui si innesta una recente pronuncia di Cassazione (7112/2022) che ha ritenuto la piena deducibilità dal reddito d'impresa dell'IVA recuperata a tassazione relativa alle annualità in cui non era ancora in vigore il nuovo art. 60, ossia ante D.L. 1/2012. Infatti prima dell'introduzione del comma 7 dell'art. 60, siccome l'IVA recuperata in sede di accertamento non poteva essere addebitata in rivalsa, finiva con l'essere imposta a carico del contribuente e in quanto tale deducibile dal reddito d'impresa.
Oggi invece, come già richiamato, l'IVA accertata è addebitabile in rivalsa cosicché la deducibilità va esclusa.
Quanto alla giurisprudenza di merito, tra le altre si riporta la decisione della Corte d'Appello dell'Aquila, (del 07/05/2020), con la quale è stato sancito che se il cedente, a seguito di rettifica della dichiarazione annuale, abbia versato all'Erario una maggiore imposta rispetto a quella riscossa in via di rivalsa dal cessionario, non potrà pretendere da quest'ultimo l'integrazione della somma originariamente pagata, trovando applicazione lo specifico divieto previsto dall'art. 60, ultimo comma, norma che è finalizzata a garantire la stabilità dei rapporti giuridici e che risulterebbe compromessa da rivalse su operazioni anche remote e dal tentativo del cessionario, se soggetto passivo IVA, di detrarre la relativa imposta.
La detrazione IVA a seguito di rivalsa
Passando ora alla seconda parte dell'ultimo comma dell'art. 60 del D.P.R. 633/1972, è previsto che il cessionario o committente che abbia subito la rivalsa successiva ha il diritto di esercitare la detrazione al più tardi con la dichiarazione integrativa relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l'imposta o la maggior imposta addebitata in via di rivalsa. Qui il dies a quo del termine biennale è quello del pagamento in via di rivalsa e non è collegato all'avvenuto addebito da parte del contribuente accertato. La formulazione della norma è proprio quella di garantire l'ordinario funzionamento del tributo volto a salvaguardare la neutralità dell'IVA nei rapporti tra operatori economici.
Qui si prenda la recente risposta ad Interpello n. 267/2020, ove è stato ritenuto che se all'esito di eventuali attività di controllo dovesse emergere una maggior IVA dovuta rispetto a quella già versata in sede di ravvedimento, la maggior IVA eventualmente pagata in acquiescenza dal cedente potrà formare oggetto di rivalsa ai sensi dell'art. 60, ultimo comma, D.P.R. 633/1972. In tal caso, il cessionario potrà a sua volta esercitare la detrazione, al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto la maggiore IVA addebitata in rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione dell'originaria operazione
Iscrizione a ruolo dell'IVA non versata
Infine occorre una menzione il comma 6 dell'art. 60 il quale prevede che l'imposta o quella maggiore derivante da:
siano iscritti direttamente a ruolo unitamente ai relativi interessi ed alla soprattassa. Vero è che prima dell'iscrizione a ruolo, l'Ufficio invita il contribuente al versamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni dal ricevimento dell'avviso di pagamento (artt. 2 e 3, D. Lgs. 462/1997). La sanzione per le infrazioni degli obblighi di versamento dei tributi è pari al 30% di ogni importo non versato alle prescritte scadenze.
Per le violazioni dell'IVA tale sanzioni è applicata:
Infine, saranno nulle le cartelle di pagamento non precedute da avvisi bonari quando riguarda mancati versamenti dell'IVA direttamente evidenziati dal contribuente in sede di dichiarazione annuale (Cass. 10179/2008 e 18078/2008). Si segnala poi l'intervento delle Sezioni Unite (17758/2016) che hanno ritenuto legittimo il recupero dell'IVA, tramite cartella di pagamento, in caso di omessa dichiarazione.
Osservazioni finali
Qui le osservazioni sarebbero molteplici e richiederebbero un approfondimento assai dettagliato proprio per il taglio operativo dell'art. 60 che risulta tripartito. Ma cercando di focalizzarsi sull'ultimo comma, il tema della rivalsa assume un sapore più di diritto concesso al fornitore del bene o del servizio di rivalersi dell'imposta nei confronti del proprio cliente, diversamente dall'obbligo sancito dall'art. 18 D.P.R. 633/1972. Infatti il soggetto accertato potrebbe rinunciare a tale facoltà (qui si richiama la norma 195 dell'AIDC), ma gli sarebbe impedito di procedere alla variazione in diminuzione ex art. 26, comma 2, D.P.R. 633/1972, per cui non sarà deducibile ai fini IRES. Inoltre la rivalsa potrà esercitarsi solo in caso di piena conoscenza del cliente e della riferibilità dell'IVA accertata alle operazioni effettuate (Circ. 35/E/2013), escludendo così i casi in cui sia stato emesso un documento da cui non risulti l'identificazione finale del cliente.
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