lunedì 01/08/2022 • 06:00
Deve ritenersi censurabile la sentenza del Giudice di merito che, pronunciandosi solo nel provvedimento, ometta di indicare l’esatta determinazione delle indennità da liquidarsi al lavoratore in caso di conversione di un contratto a termine illegittimo in uno a tempo indeterminato.
Con la sentenza 20 luglio 2022 n. 22782, il Giudice di legittimità ha accolto (cassando con rinvio alla Corte Territoriale in diversa composizione) il ricorso proposto da un'azienda che, condannata alla conversione a tempo indeterminato di un rapporto di lavoro intercorso nel tempo con un proprio dipendente in diverse modalità (tempo determinato, somministrazione) eccepiva l'omessa quantificazione da parte della corte territoriale delle indennità dovute (art. 32, c. 5, L. 183/2010) così come determinate dalla L. 604/66 e dall'art. 1 c. 13, L. 92/2012. Natura e quantificazione delle indennità (art. 32, c. 5, L. 183/2010) Il legislatore, con la norma de qua, ha inteso offrire una tutela (indennitaria) al lavoratore che, in sede giudiziale, agisca per la conversione a tempo indeterminato di un rapporto di lavoro illegittimamente intercorrente nelle forme della somministrazione, ovvero a tempo determinato. La norma, infatti stabilisce che “nei casi di conversione del contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604”. Tali indennità hanno natura sostitutiva ed omnicomprensiva e non aggiuntive dell'indennità ordinaria (Trib. Milano 25 febbraio 2011), escludendo altresì qualsiasi altro credito, indennitario e risarcitorio, del lavoratore, potendosi applicare anche ai giudizi pendenti in Cassazione (Cass. ord. 28 gennaio 2011 n. 2112). La disciplina dell'art. 112 c.p.c.: corrispondenza tra chiesto e pronunciato Il codice di rito prevede testualmente che “il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa….” (art. 112 c.p.c). Il tenore letterale della norma ci permette di affermare che il Giudice ha il dovere di decidere sia in merito all'an che al quantum. L'inosservanza del dovere a lui imposto comporta il più grave vizio di “omissione di pronuncia”. Tale vizio si configura nella forma più grave con la mancata decisione, ovvero deposito di un provvedimento. Nella forma meno grave (ma sempre viziante il provvedimento) può verificarsi l'omissione parziale di pronuncia, allorquando il Giudice ometta di decidere su una o alcune delle domande proposte, in merito ad eccezioni o questioni dedotte. Va subito evidenziato come la formale assenza di una determinata statuizione in un provvedimento non comporti automaticamente una omissione parziale di pronuncia (Cass. 21 luglio 2006 n. 16788). Da questo assunto, si evidenzia che debba escludersi il vizio di omessa decisione anche nel caso in cui il dispositivo possa essere integrato facendo riferimento alla parte motivo della sentenza emessa (Cass. 8 luglio 2010 n. 16152). Orbene, posto che l'art. 32, c. 5, L. 183/2010 indica tassativamente il numero delle indennità da riconoscere in favore del lavoratore in caso di accertamento giudiziale di un rapporto di lavoro quale a tempo indeterminato, nel caso della sentenza in oggetto possiamo sicuramente far riferimento all'insieme dei principi sanciti dalla Suprema Corte suindicati. Conclusioni Quanto su esposto ci permette di poter affermare che, in caso di conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato (L. 183/2010) il Giudice, pur non confinando il provvedimento al vizio di omessa motivazione, dovrà tassativamente indicare il numero di mensilità a titolo di indennità che intende riconoscere in favore del lavoratore secondo i parametri di legge (anzianità di sevizio, dimensione dell'azienda). Fonte: Cass. 20 luglio 2022 n. 22782
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