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lunedì 25/07/2022 • 12:14

Fisco Chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate

Le note di variazione IVA tra risoluzione per inadempimento e procedura esecutiva

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello n. 386, aggiunge un ulteriore tassello alla prassi in tema di note di variazione IVA, in relazione a particolari casistiche. Tale documento va però letto alla luce dei precedenti interventi e con essi coordinato, tra cui il principio di diritto n. 11/2021.

di Matteo Dellapina - Avvocato, Cultore in Diritto Tributario presso l’Università di Pavia

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  • Tempo di lettura 8 min.
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Diritto alla variazione in diminuzione

In seguito all'emissione della fattura o alla registrazione del corrispettivo possono sopravvenire delle modifiche alla base imponibile o all'imposta, conseguenti a nuovi accordi delle parti, al realizzarsi di clausole già previste in origine, oppure a modifiche legislative o all'ordinaria patologia del contratto prevista dal diritto civile (risoluzione, annullamento, rescissione, ecc.), oppure alla rilevazione di errori commessi durante la fase di fatturazione. Ecco che, in caso di variazione dell'imponibile, il contribuente che intenda procedere alla rettifica dell'operazione, sia in aumento che in diminuzione dovrà applicare l'art. 26 DPR 633/72.

Tale disposizione trova il proprio fondamento nell'art. 90 Dir. IVA 2006/112/UE secondo cui «In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l'operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri». Tale regola potrà così essere derogata dagli stessi Stati “in caso di non pagamento totale o parziale” (art. 90 par. 2 Dir. IVA 2006/112/UE). Così la riduzione dell'originaria base imponibile e, conseguentemente, della relativa imposta, prevista dall'art. 90 par. 1 Dir. IVA 2006/112/UE è espressione del principio fondamentale del sistema IVA, secondo cui la base imponibile è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto, ed il cui corollario consiste nel fatto che l'Erario non possa riscuotere a titolo di IVA un importo superiore rispetto a quanto percepito dal soggetto passivo (Si segnala sul punto quanto deciso dalla sentenza della C.Giust. UE 26 gennaio 2012 C-588/10, Kraft Foods Polska SA e Di Maura, C-246/16). Così la norma nazionale disciplina in via congiunta la riduzione dell'imponibile e dell'imposta, mentre l'art. 90 Dir. IVA 2006/112/UE tratta la riduzione della sola base imponibile. La riduzione così della sola imposta, inquadrata nel sistema delle detrazioni, è invece stabilita dall'art. 185 Dir. IVA 2006/112/UE.

Quindi l'art. 26 prevede che mentre le variazioni della base imponibile o dell'imposta in aumento siano obbligatorie – e la loro omissione comporta l'applicazione di sanzioni alla stregua della mancata fatturazione di operazioni imponibili – le variazioni in diminuzione costituiscono un “diritto” del soggetto, limitato ad alcune fattispecie espressamente previste, il quale, avendo già corrisposto il tributo in misura superiore rispetto a quella dovuta ha la facoltà (e non l'obbligo) di recuperare la differenza mediante una variazione in diminuzione (cfr. Risp. AE 14 luglio 2020 n. 216). Tuttavia, se l'emittente la fattura si avvalga di tale diritto, il cessionario o committente avrà l'obbligo di effettuare analoga variazione in aumento dell'imposta dovuta (o, in alternativa, in diminuzione di quella detraibile). A livello pratico, se il cedente o prestatore si avvalga del diritto di diminuire l'imposta a debito o aumentare quella a credito, l'altra parte dovrà, allo stesso tempo, aumentare l'IVA a debito o diminuire quella a credito.

Ora, in relazione agli eventi previsti dall'art. 26 c. 2 DPR 633/72, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che non sia necessario un formale atto di accertamento (negoziale o giudiziale) del verificarsi dell'anzidetta causa risolutiva (Cass. 8 novembre 2002 n. 15696 e Cass. 17 giugno 1996 n. 5568).

Inoltre (Cass. 19 aprile 2022 n. 12468), la risoluzione contrattuale relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, il prestatore ha facoltà di variare in diminuzione la base imponibile in relazione alle prestazioni eseguite e non remunerate antecedentemente alla risoluzione per inadempimento unilaterale dell'altra parte.

Emissione di note di variazione

Con la Risp. 20 luglio 2022 n. 386, l'Agenzia delle Entrate è ritornata su un tema molto attuale e oggetto, nel recente passato, di interventi normativi e di prassi, quale proprio l'emissione delle note di variazione ex art. 26 DPR 633/72, in seguito al verificarsi di particolari situazioni. Nel caso affrontato, un contribuente esegue forniture di merci a favore dei propri soci che gestiscono a loro volta uno o più punti vendita associati (per il tramite di società di capitali o di persone), emettendo ad ogni vendita una regolare fattura. In caso di crediti insoluti, veniva prima inviata una diffida ad adempiere (in caso di inadempimento grave ed ingente, si invocava la risoluzione contrattuale), a cui seguiva l'avvio di una azione monitoria di recupero delle somme dovute. In considerazione di ciò, il contribuente chiede di sapere (tra le altre vicende) quale sia la corretta operatività, da seguire ai fini IVA, in caso di risoluzione unilaterale del contratto con prestazioni continuative e periodiche.

A parere delle Entrate la fattispecie rientrante nel contratto di somministrazione periodica di cose, disciplinato dall'art. 1559 c.c., comporta che in caso di avveramento della condizione prevista dalla clausola risolutiva espressa apposta al contratto, quale il mancato pagamento (art. 1456 c.c.) o la scadenza del termine intimato per iscritto alla parte inadempiente (art. 1454 c.c.), determini la risoluzione del contratto con effetti ex tunc, ossia a decorrere dalla prima fattura rimasta insoluta (Risp. AE 11 agosto 2020 n. 261). Verificatosi il presupposto per operare la variazione, l'esercizio del diritto alla detrazione dell'imposta resta subordinato alle condizioni imposte dall'art. 19 DPR 633/72.

Di recente, con la Circ. AE 29 dicembre 2021 n. 20/E, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che l'emissione tempestiva di una nota di variazione, ossia entro il termine ordinario della dichiarazione annuale IVA relativa all'anno in cui si sono verificati i presupposti per operare la variazione in diminuzione, l'imposta detratta confluirà nella relativa liquidazione periodica o, al più tardi, nella dichiarazione annuale IVA di riferimento. Per l'Ufficio rileva, ai fini della detrazione, anche il momento di emissione della nota di variazione che rappresenta il presupposto formale necessario per l'esercizio in concreto del diritto (Risp. AE  24 giugno 2020 n. 192 e Cass. 8 gennaio 2021 n. 119).

È bene rammentare che la possibilità di invocare la risoluzione per inadempimento, giudiziale o di diritto, che consenta quindi una variazione in diminuzione ex art. 26 c. da 2 a 9 DPR 633/72, rappresenta una facoltà riconosciuta al creditore il quale potrà rinunciarvi, scegliendo, nell'ipotesi di avvio di una procedura concorsuale o esecutiva, di operare la variazione in diminuzione prevista dal nuovo c. 3-bis.

Infine, l'Agenzia ha sottolineato come la risoluzione per inadempimento (giudiziale o di diritto) o l'avvio della procedura esecutiva sono due percorsi tra loro alternativi ai fini di operare la variazione in diminuzione, essendo il primo una facoltà riconosciuta al creditore che non intenda procedere esecutivamente per il recupero del proprio credito, ritenendo l'iniziativa poco proficua.

Così se il creditore deciderà di avviare un'azione esecutiva, rinuncerà al suo diritto di invocare la risoluzione contrattuale quale presupposto per l'emissione della nota di credito, dovendo attendere l'esito infruttuoso della procedura.

La variazione per clausola risolutiva espressa

Qui si innesta poi il principio di diritto n. 11 pubblicato dall'Agenzia delle Entrate il 6 agosto 2021, ove è stato vagliato il tema della variazione in diminuzione dell'imponibile in caso di risoluzione dell'operazione, senza distinguere tra giudiziale o di diritto.

Per l'appunto, il verificarsi della condizione contemplata da una clausola risolutiva espressa apposta al contratto, quale il mancato pagamento (art. 1456 c.c.) o l'inutile decorso del congruo termine intimato per iscritto alla parte inadempiente (art. 1454 c.c.), può costituire il presupposto legittimante l'emissione di una nota di variazione ex art. 26 c. 2 DPR 633/72.

Qui l'aspetto peculiare riguarda il caso dell'emissione di una nota di variazione da parte dell'adempiente dopo la contestazione, in sede giudiziale, dei presupposti per l'attivazione della clausola risolutiva espressa.

Per l'Agenzia (in conformità a Cass. 17 giugno 1996 n. 5568 e Cass. 17 maggio 2022 n. 15696), in presenza dell'attivazione di una clausola risolutiva espressa, in dipendenza della quale venga meno in tutto o in parte un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, sarà considerata legittima l'emissione di una nota di variazione anche in presenza di una contestazione in sede giudiziale dei presupposti per l'attivazione della clausola risolutiva espressa, senza che sia necessario attendere un formale atto di accertamento negoziale o giudiziale del verificarsi dell'anzidetta causa risolutiva.

In conclusione, ne deriveranno i seguenti obblighi:

  • il cessionario o committente che abbia già registrato l'operazione ex art. 25 DPR 633/72 dovrà registrare a sua volta la variazione secondo l'art. 23 o 24, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell'importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa;
  • il cedente o prestatore dovrà emettere la nota di debito qualora l'eventuale e successivo accertamento giudiziale risulti favorevole alla controparte.

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Alessandro Albano

- Avvocato, Studio Gnudi A.P. - Professore a contratto in Diritto tributario, Università  degli Studi di Bologna

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