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sabato 23/07/2022 • 06:00

Mondo Digitale Cybersquatting

Web3.0: una nuova sfida per i titolari di nomi e marchi celebri

Cosa si intende per cybersquatting e cosa può fare il titolare di un marchio se scopre che un'altra persona ha registrato il suo marchio come nome a dominio .eth, .crypto o .blockchain?

di Ilaria Carli - Avvocato, senior counsel di WST Law & Tax Firm

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  • Tempo di lettura 1 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Prima di rispondere alla domanda, facciamo un passo indietro per dire che il cybersquatting è l'attività che consiste nella registrazione e/o uso di un nome a dominio che comprende, in tutto o in parte, un nome o un marchio, per lo più celebri, senza il consenso del titolare.

Casi di cybersquatting

La pratica è connotata da mala fede poiché lo scopo è quello di usare il nome a dominio, ed il sito web ad esso associato, al fine di sfruttare la notorietà del nome o del marchio oppure di vendere il nome a dominio al titolare del nome o del marchio ad un prezzo esorbitante. Numerosi sono i casi di cybersquatting che hanno coinvolto nomi di celebrità, come Madonna, Paris Hilton, Jennifer Lopez, e marchi famosi, come Microsoft e Harrods.  

Il cybersquatter sfrutta il fatto che l'assegnazione dei nomi a dominio avviene sulla base di un criterio di priorità temporale (first come-first served), senza che venga svolta alcuna verifica circa la titolarità, in capo al soggetto che chiede la registrazione, del diritto ad usare il nome o il marchio compreso all'interno del nome a dominio.  

Il fenomeno, che ha visto la sua nascita alla fine degli anni '90 e che ha avuto il suo apice nella prima metà degli anni 2000 in concomitanza con l'espandersi della popolarità di Internet, costituisce un'attività illecita, che viene sanzionata nella maggior parte degli ordinamenti. Nell'ordinamento italiano, ad esempio, il titolare di un marchio registrato può invocare la tutela dell'art. 20 co. 1 c.p.i. qualora si verifichi un rischio di confusione sull'origine dei prodotti o servizi promossi o venduti sul sito web, ovvero, laddove si tratti di marchio dotato di rinomanza, anche in assenza di confusione, ottenendo, fra l'altro, un ordine di inibitoria dell'uso del nome a dominio e financo un ordine di riassegnazione del dominio al titolare del marchio.

Assegnazione degli indirizzi IP

Inoltre, l'ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), l'ente che ha la responsabilità di gestire il sistema dei nomi a dominio, assegnando gli indirizzi IP (Internet Protocol) secondo il sistema tecnico di conversione denominato Domain Name System (DNS), ha adottato nel 1999 una procedura arbitrale specificatamente destinata alla risoluzione delle controversie in materia di nomi a dominio, l'UDRP (Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy).

Il sistema è molto efficace poiché le procedure di riassegnazione, che sono amministrate da enti internazionali (ad esempio l'Arbitration and Mediation Center di WIPO – World Intellectual Property Organization) oppure nazionali (ad esempio EURID per il ccTLD .eu, gli enti accreditati presso il Registro.it per il ccTLD .it), sono strutturate in modo da garantire efficienza e costi contenuti.

Dalla sua costituzione nel 2000, sono state avviate presso il WIPO Arbitration and Mediation Center circa 56.000 procedure, il che ha peraltro portato a sviluppare una cospicua giurisprudenza, consultabile on line, che sostituisce un valido strumento per la gestione e la risoluzione dei casi di conflitti tra marchi e nomi a dominio.

Ma sin qui abbiamo raccontato il web2.0.

Web 3.0

Nel web3.0, una forma evoluta e decentralizzata di Internet, è stata sviluppata una nuova tipologia di nomi a dominio: i blockchain domain names, cioè nomi a dominio che, come dice la parola, sono registrabili sulla blockchain. Le estensioni di questi domini ammiccano al mondo delle nuove tecnologie: le più diffuse sono .nft, .cripto, .blockchain e .eth.

I blockchain domain names assomigliano ai nomi a dominio tradizionali e, come questi, costituiscono la versione leggibile dall'uomo di un indirizzo leggibile solo dalle macchine; essi, tuttavia, sono basati su un'architettura completamente diversa da quella alla base dei “cugini” del web2.0, caratterizzata in particolare dalla immodificabilità e dalla decentralizzazione. I nuovi nomi a dominio, infatti, non puntano agli indirizzi IP utilizzando il DNS amministrato da ICANN, ma fanno riferimento agli indirizzi crittografici (crypto addresses), cioè lunghe stringhe univoche di numeri e caratteri, che individuano i wallet, i portafogli crittografici utilizzati per inviare/ricevere beni elettronici, come criptovaluta e NFT.

Come avvenne nei primi anni 2000, la nascita di questi nuovi nomi a dominio ha costituito terreno fertile per la proliferazione di atti di cybersquatting (o tokensquatting, come da alcuni più propriamente chiamato). .eth è stato uno dei primi blockchain domain names ad essere lanciato: è registrabile sulla rete Ethereum,  che ha costruito un sistema decentralizzato di assegnazione dei nomi, alternativo al DNS, denominato Ethereum Name Service (ENS). Sebbene Ethereum abbia adottato dei meccanismi volti ad evitare operazioni di cybersquatting, uno studio realizzato dalla Beijing University of Posts and Telecommunications ha rilevato che, prendendo in considerazione i 100 mila marchi più famosi, sulla base delle rilevazioni di Alexa, più di 15,179 ENS .eth domain names erano registrati da squatters; per esempio, domini quali google.eth, mcdonalds.eth, redbull.eth, ​​huawei.eth sarebbero stati registrati da uno stesso indirizzo crittografico, rendendo probabile, secondo le analisi condotte dagli studiosi cinesi, che la registrazione dei domini in questione non sia avvenuta con l'autorizzazione del titolare dei relativi marchi.

Venendo alla domanda inziale.

Come difendersi dai cybersquatters nel web.3.0?

Poiché, i blockchain domain names non sono al momento regolati da ICANN, non è possibile ottenere la riassegnazione del nome a domino mendiate l'attivazione delle procedure di UDRP.

Il ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria, d'altro canto, potrebbe non costituire una valida alternativa, sia per i costi (e in talune giurisdizioni anche i tempi) connessi a tale soluzione, ma anche per la difficoltà di individuare l'identità del titolare del portafoglio cui il nome di dominio è associato. Il proprietario del portafoglio, infatti, è identificato solo da una stringa di 64 numeri casuali, rendendo ancor più difficile di ciò che accade con i nomi a dominio tradizionali, l'individuazione del soggetto giuridico cui appartiene il portafoglio in questione.  

Al momento, dunque, il rimedio più efficace è quello di rivolgersi a soggetti intermediari, vale a dire le piattaforme di scambio all'interno delle quali vengono offerti in vendita i nomi a dominio su blockchain, facendo leva sulla loro responsabilità quali intermediari. La maggior parte delle principali piattaforme di scambio (tra queste, OpenSea, Rarible e Nifty Gateway), peraltro, ha attivato delle procedure di notice & take down finalizzate alla rimozione di contenuti che violano diritti di proprietà intellettuale. Di recente, ad esempio, la Recording Industry Association of America, Inc. (RIAA), la società che rappresenta le major discografiche americane, ha ottenuto, a seguito dell'invio di una lettera di diffida, la rimozione di 68 blockchain domain names (tra cui “universalmusic.eth” e “atlanticrecords.eth”) che contenevano in tutto o in parte marchi di titolarità della RIAA o delle case discografiche da essa rappresentate.

In alternativa, i titolari di nomi e marchi celebri potrebbero prevenire l'illecito, registrando il proprio nome o marchio come blockchain domain names in una o più delle nuove estensioni disponibili. I prezzi delle transazioni, tuttavia, non rendono questa soluzione alla portata di tutti i portafogli, crittografici e non.

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