Battibecchi su una riforma non spiegata
Le prese di posizione di alcune associazioni forensi e le repliche del consiglio nazionale dei dottori commercialisti contengono entrambe argomentazioni di una certa sensatezza.
Esse si controbilanciano a vicenda e quindi è facile prevedere che sul punto avrà la meglio, comprensibilmente, la forza d’inerzia dell’esistente; quest’ultimo, tra l’altro, coinvolge anche consulenti del lavoro ed altre categorie professionali abilitate al patrocinio davanti alle commissioni. È facile prevedere che la potenza di fuoco politico-sociale comparata, in relazione alla posta in gioco, tra le varie categorie coinvolte, porterà al mantenimento dello status quo.
Vale però la pena di prendere lo spunto da quest’episodio secondario per rilevare la complessiva inopportunità della riforma in itinere.
Non perché la riforma sia fatta male, cioè per suoi difetti intriseci, ma perché si può riformare solo ciò per cui esistono adeguate spiegazioni sociali, condizione che attualmente non sussiste per il ruolo del giudice nella funzione tributaria.
Tutti i lavori della riforma si sono concentrati su chi dovesse fare il giudice tributario senza chiedersi cosa dovesse fare il giudice in questa materia.
Facile prevedere, quindi, che dopo la riforma, con tutti i suoi costi transattivi, il giudice, chiunque esso sia, e chiunque patrocini davanti ad esso, continuerà a fare quello che faceva prima; continuerà quindi l’ibrida attuale amministrazione per sentenza su cui gli uffici tributari scaricano il peso delle decisioni, con la relativa assunzione di responsabilità.
Il rito processuale è destinato a cambiare pochissimo, e quindi non si riesce a comprendere il fuoco di fila di espressioni enfatiche con cui l’Unione nazionale avvocati tributaristi (Uncat) evoca il giusto processo, l’art. 111 della Costituzione, il processo tributario come pilastro di un sistema democratico, pari dignità delle giurisdizioni, per attribuire agli avvocati l’esclusiva della rappresentanza non solo in Cassazione, ma anche nelle commissioni provinciali e regionali.
Ma cerchiamo di vedere in base a quali argomenti gli avvocati si attribuiscono, testualmente, l’esclusiva di una particolare e specifica preparazione tale da garantire al cittadino il miglior approccio alla Giustizia, garantendone i diritti sotto tutti i profili, e ciò nel rispetto dell’obbligo deontologico di indipendenza che è proprio e solo dell’avvocatura. I comunicati stampa forensi non lo dicono, ma è sensato ipotizzare che gli avvocati rivendichino a sé stessi quest’esclusiva per la loro maggior sensibilità giuridica e padronanza del rito processuale.
Rapporti tra contenuto e procedura nel processo
Questo pone in evidenza una strutturale dialettica, presente in ogni processo, tra forma e sostanza, cioè tra aspetti contenutistici della materia trattata, come lavoro, famiglia, infortunistica stradale, sanità, urbanistica etc., e aspetti giuridico-procedurali.
È chiaro che a nessuno viene in mente una competenza degli ingegneri nei processi per incidenti stradali, dei medici nei processi per infortuni o malattie, degli architetti in quelli urbanistici, degli psicologi in quelli di separazione familiare, etc.
A queste ed altre figure professionali si addice la posizione di consulente tecnico, ma è del tutto normale la prevalenza dell’avvocato, che padroneggia tutti gli aspetti generali del diritto e del rito.
Sul processo tributario, però, ci sono discorsi specifici da fare, di cui al punto seguente.
Processo tributario tra forma giuridica e oggetto economico
Le polemiche sopra indicate, comprese le risposte dei dottori commercialisti, non colgono le particolarità del processo all’interno della funzione tributaria, né il ruolo delle rispettive attività professionali nel settore. La parte assolutamente prevalente dei contenziosi tributari riguardano infatti le imposte, cioè la particolare categoria di tributo che richiede la determinazione di concetti economicamente rilevanti, cioè i noti presupposti economici d’imposta, cioè reddito, nelle sue componenti di ricavi e di costi, consumo e patrimonio.
Si addice di più ai commercialisti questo oggetto economico della funzione tributaria, che non comporta rinvii all’economia, generale o aziendale, ma richiede riflessioni giuridiche oggi del tutto carenti.
In tale sede ho anche ribadito la matrice amministrativistica del diritto tributario, riguardante cioè una funzione non giurisdizionale, che fisiologicamente dovrebbe risolversi (e nella maggior parte dei paesi sviluppati di fatto si risolve) in contraddittorio con gli uffici pubblici, e dove il controllo giurisdizionale resta meramente potenziale, svolgendosi su rare questioni di principio.
Di questo c’è poca consapevolezza nell’accademia del diritto tributario, e non ce n’è affatto nella pubblicistica professionale, irreparabilmente ripiegata sui tecnicismi di un eterno aggiornamento del nulla. Basta invece un minimo di cultura spazio-temporale per rendersi conto che le rimostranze contro il cattivo esercizio della funzione tributaria si sono indirizzate in prima battuta alle gerarchie politico-amministrative, che eventualmente delegano organi di contenzioso amministrativo da esse dipendenti, senza bisogno di un giudice.
E’ una tradizione secolare della determinazione delle imposte, in cui bisognava dare uno sfogo alle rimostranze connesse alle diverse determinazioni, all’epoca valutative (c.d. estimazione) dei suddetti presupposti economici. Solo in circoscritti assetti pluralisti il sistema di controlli e contrappesi delle società complesse, talvolta denominato “stato di diritto”, si spinge ad un giudice delle pubbliche funzioni gerarchicamente indipendente dalla politica, esattamente com’è da noi oggi il giudice amministrativo. Invece di guardare a quel modello, basato sull’impugnazione annullamento, e rinvio agli uffici amministrativi, il processo tributario tradizionalmente guarda a un’impugnazione merito che ridetermina il presupposto economico d’imposta.
Su questa cornice è naturale che il dottore commercialista, normalmente molto più coinvolto dell’avvocato nell’assistenza di routine ai contribuenti, spieghi direttamente la questione economica al giudice.
Le suddette associazioni degli avvocati sembrano vivere in un irreale fisco fai da te, dove arriva un controllo e il contribuente decide se andare dall’avvocato o dal commercialista.
Nel mondo reale, invece, ogni cliente è già assistito da un commercialista, edotto delle questioni su cui si inserisce la contestazione dell’ufficio, e della loro giuridicità.
Non si dimentichi, infatti, che il commercialista è laureato in Economia, dove sono sostenuti molti esami di diritto, ed ha sostenuto un esame di stato che ne ha verificato il retroterra giuridico.
Sono questi tre fattori:
il retroterra giuridico-economico
la consuetudine professionale con la materia
la consuetudine professionale, spesso, con i clienti
a rendere fuori luogo la proposta degli avvocati, almeno nell’attuale stato del processo tributario.
Se invece fosse adottato uno schema amministrativistico di impugnazione annullamento, senza rideterminazione giurisdizionale dell’imposta, ma con rinvio agli uffici tributari, dove il commercialista potrebbe nuovamente intervenire, l‘esclusiva per gli avvocati avrebbe più senso.
Ma nessuno ne parla, a cominciare dall’UNCAT.