Lo Speciale dedicato al nuovo al Codice della crisi di impresa vuole agevolare l’attività dei professionisti chiamati a confrontarsi con le nuove disposizioni, individuando gli argomenti trattatati seguendo due diverse linee direttrici.
Alcuni contributi affrontano questioni di carattere generale che consentono di comprendere le finalità della riforma e così di orientare l’interpretazione delle singole norme.
Altri contributi sono dedicati, invece, agli istituti di carattere più innovativo introdotti (o modificati significativamente) dal Codice, fornendo approfondimenti mirati su specifiche problematiche.
Due regole fondamentali
Finalmente il codice sulla crisi d'impresa e sull'insolvenza è entrato in vigore. La novità è rilevantissima, e richiede un avvicinamento progressivo a quello che appare ed è, a tutti gli effetti, un diritto diverso dal passato. In questo articolo verifichiamo le basi del nuovo diritto.
Il settore in cui esso si inquadra è il diritto privato. Ce ne accorgiamo se consideriamo che nel codice civile si trovano, oggi, le due regole fondamentali su cui si struttura l'intero diritto dell'insolvenza.
La prima regola è sulla responsabilità patrimoniale del debitore, ossia la regola per cui il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri (art. 2740 c.c.). Per questa regola, al debito può seguire la responsabilità (patrimoniale); se il debito non è adempiuto, possono attivarsi i mezzi coattivi di realizzazione dello stesso. Il diritto dell'insolvenza presuppone dunque il concetto fondamentale di obbligazione; e i concetti connessi di debitore (individuale o collettivo, e in special modo societario); di contratto, di garanzia (nell'ottica riassuntiva della responsabilità patrimoniale).
La seconda regola, ignota alla tradizione, è sul dovere dell'imprenditore di predisporre assetti organizzativi adeguati al tempestivo rilievo delle difficoltà finanziarie economiche e patrimoniali che potrebbero compromettere la continuità aziendale e determinare la cessazione dell'imprese (art. 2086, c. 2, c.c.). Le regole – che sviluppano disposizioni già presenti nel diritto generale (cfr. art. 2381, c. 5, c.c.) – sono ribadite e puntualizzate nel codice settoriale come dovere dell'imprenditore-debitore nei confronti dei creditori (art. 3 CCI).
L'art. 2086, c. 2, c.c. prosegue disponendo l'ulteriore dovere per l'imprenditore in difficoltà di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. Si tratta degli istituti della composizione negoziata, e infine dei quadri di ristrutturazione preventiva previsti nel codice settoriale (procedure di sovraindebitamento, contratti di ristrutturazione, piano soggetto ad omologazione concordato preventivo).
Responsabilità patrimoniale e impresa
Per queste due regole il diritto dell'insolvenza del codice si presenta come uno sviluppo di due settori fondamentali del diritto privato: il diritto della responsabilità patrimoniale e il diritto dell'impresa.
Consideriamo il diritto della responsabilità patrimoniale. Il diritto dell'insolvenza si occupa non semplicemente della responsabilità patrimoniale per inadempimento, ma di quella responsabilità in caso d'insolvenza del debitore. Gli istituti sul sovraindebitamento, e in particolare sul sovraindebitamento del consumatore, realizzano uno sviluppo significativo del diritto della responsabilità patrimoniale. Oramai quel diritto è sciolto dalla rigidità che in passato lo connotava; è divenuto aperto a considerare non più semplicemente l'inadempimento del debitore o l'insolvenza del debitore-imprenditore, ma anche l'insolvenza di qualsiasi debitore. Con conseguenze rilevanti, la più vistosa delle quali è l'introduzione dei regimi esdebitativi, che segnano un limite al vincolo di destinazione alla responsabilità patrimoniale del debitore anche dei beni futuri.
Consideriamo, adesso, il diritto dell'impresa. Rispetto a questo il diritto dell'insolvenza tratta dell'insolvenza imprenditoriale e del recupero della continuità aziendale. Esattamente in quest'ultimo senso (affermatosi nel diritto positivo solo in tempi recenti) le discipline sull'insolvenza costituiscono uno dei capitoli più importanti del diritto commerciale.
Ciò è tanto più vero nella misura in cui quel diritto si riqualifica come diritto dell'impresa. Nella crisi cade in dubbio la prosecuzione dell'attività aziendale. L'idea di continuità aziendale, che è un'evoluzione dell'idea di attività d'impresa, si staglia netta davanti al nostro sguardo per contrapposizione all'idea di arresto dell'attività, e di chiusura dell'impresa.
Gli interessi protetti
La concezione tradizionale del diritto dell'insolvenza, inteso come diritto fallimentare della tradizione, pone come norma ordinante dell'intero settore l'art. 2740 c.c. sulla responsabilità patrimoniale del debitore, peraltro ormai non più concepito nella versione ridotta del debitore-imprenditore. Da ciò discende, in ogni caso, l'idea che gli interessi tutelati siano prevalentemente, se non esclusivamente, gli interessi dei creditori. Il modo più efficace di tutelare i creditori è di assicurare la razionale esecuzione sul patrimonio del debitore e la distribuzione del ricavato secondo la regola della parità di trattamento.
Tuttavia, a partire dal 2006, nel fallimento era prevista una procedura esdebitaviva, intesa a favorire il debitore, che a certe condizioni poteva liberarsi dal peso dei debiti impagati nonostante l'ultimazione della liquidazione del patrimonio. La procedura di esdebitazione indebolisce la concezione tradizionale delle procedure concorsuali liquidative. L'obiettivo non è più il soddisfacimento dei creditori, ma insieme a quello, l'esdebitazione del debitore. Su questa linea evolutiva si pongono le procedure introdotte dalla Legge 3/2012 per i debitori non assoggettabili alla liquidazione giudiziale. Queste procedure relativizzano ulteriormente la regola della responsabilità patrimoniale.
In conclusione, pur restando vero che la disciplina del fallimento, oggi liquidazione giudiziale, è ordinata secondo la direttrice dell'art. 2740 c.c., e si preoccupa soprattutto di tutelare i creditori, il finalismo di sistema si apre anche alla considerazione dell'interesse del debitore.
Sul piano del diritto d'impresa, la concezione innovativa del diritto dell'insolvenza – inteso anche come diritto della ristrutturazione del debito e dell'impresa – affianca alla norma fondamentale dell'art. 2740 c.c. quella dell'art. 2086 c.c. che, promovendo la continuità aziendale, sacrifica più decisamente il primato del credito per consentire la salvaguardia di interessi diversi ma connessi alla prosecuzione dell'attività. La disciplina dei contratti e dei concordati è ordinata secondo il criterio della continuità aziendale, posto dall'art. 2086 c.c. Anche qui si realizza una influenza sul diritto tradizionale. Infatti, nel codice l'esercizio dell'impresa nella liquidazione giudiziale non è più definito, come accadeva prima, ‘provvisorio', ma acquisisce uno statuto di normalità.
È questo un nuovo finalismo, sconosciuto al diritto positivo del passato, introdotto nell'ordinamento statunitense e poi diffusosi stabilmente negli altri sistemi. L'emersione alla consapevolezza giuridica del fenomeno economico dell'impresa, maturata negli ultimi due secoli, ha arricchito una elaborazione in precedenza sviluppatasi esclusivamente con attenzione al rapporto tra debitore e creditori, e dunque sotto il paradigma concettuale dell'obbligazione.
Possiamo valutare questo accrescimento pensando al trattamento dell'insolvenza nel diritto delle ristrutturazioni, dove il superamento dello stato di impotenza finanziaria e il ritorno al valore dell'impresa si perseguono anche attraverso la limitazione dei diritti dei creditori, se necessaria per consentire la ristrutturazione dell'attività.
Valutare l'insolvenza non più semplicemente rispetto all'interesse dei creditori, ma anche rispetto all'interesse dei debitori attenua notevolmente il rigore del sistema della responsabilità patrimoniale, consentendo la cancellazione dei debiti impagati e dunque l'intangibilità dei beni sopravvenuti nel patrimonio del debitore. Valutare l'insolvenza rispetto alla salvaguardia dell'attività (e dunque rispetto a tutti gli interessi collegati a quella salvezza), fa cadere in discussione il rimedio della liquidazione patrimoniale, e dunque la conseguenza a cui è diretto il sistema della responsabilità patrimoniale quale organizzazione della attuazione coattiva del rapporto obbligatorio.