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venerdì 15/07/2022 • 10:00

Fisco Il punto della Cassazione

Reati di autoriciclaggio nell'utilizzo di criptovalute

L’autoriciclaggio può essere perpetrato anche attraverso l’utilizzo di moneta virtuale: lo ha ribadito la Cassazione nella sentenza n. 27023, confermando l’inclusione della moneta virtuale nell’ambito delle attività economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative menzionate dal codice penale (art. 648-ter.1 c.p.).

di Annalisa De Vivo - Dottore commercialista, Consulente AML/231

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  • Tempo di lettura 6 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Le valute virtuali, attese le loro caratteristiche fisiologiche, possono rappresentare un agile strumento ai fini del compimento di reati di autoriciclaggio. L'assunto trova nuovamente conferma nella Cass. 13 luglio 2022 n. 27023, avente ad oggetto il compimento del reato di autoriciclaggio attraverso il trasferimento immediato di somme appena accreditate, a mezzo disposizioni on line su conto estero, e il successivo utilizzo delle stesse per l'acquisto di valuta virtuale con impiego finale imprecisato. Trattasi, secondo la Cassazione, di una ipotesi evidente di autoriciclaggio mediante impiego di proventi illeciti in attività finanziarie idonee ad ostacolare l'identificazione della provenienza del denaro.

Vicenda

Con la pronuncia in esame la Cassazione ha rigettato un ricorso fondato essenzialmente su tre aspetti: l'incompetenza territoriale, l'insussistenza del reato di autoriciclaggio e l'esclusione dell'adeguatezza della misura degli arresti domiciliari disposta a carico del ricorrente.

Per quanto di specifico interesse in questa sede, ci si soffermerà sull'aspetto relativo alla configurabilità del reato di autoriciclaggio di cui all'art. 648-ter.1 c.p.

Al riguardo, nel ricorso per cassazione si afferma innanzi tutto che, in assenza di operazioni con fini di lucro (cioè con lo scopo di conseguire un guadagno in base alla differenza tra prezzi attuali e futuri), l'acquisto di bitcoin con denaro di provenienza illecita non potrebbe configurare autoriciclaggio, a tal fine mancando il requisito dell'impiego in attività speculativa.

Inoltre, difetterebbe il presupposto della idoneità della condotta ad ostacolare l'identificazione della provenienza illecita dei beni, in quanto nel caso di specie tutti gli acquisti sono transitati in piattaforma digitale, con trasparenza di ogni transazione. Sul punto viene specificato che nel caso di specie le vicende traslative riguardanti i bitcoin si trasformavano in blockchain, con evidenza degli accounts degli utilizzatori, e venivano registrate su un libro contabile digitale di dominio pubblico (distribuited ledger).

Infine, l'account impegnato dall'indagato consentiva comunque di individuare gli specifici bitcoin acquistati: di conseguenza, nel ricorso si evidenzia l'assenza – ai fini della configurabilità del reato di autoriciclaggio – della condotta di ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa dei beni oggetto del reato presupposto.

Sussistenza del reato di autoriciclaggio

Al fine di dirimere la questione, la Suprema Corte si sofferma innanzi tutto sulla natura delle operazioni di acquisto di moneta virtuale (bitcoin) con il denaro che costituisce il provento di una truffa. A parere del ricorrente tali operazioni non avrebbero finalità speculativa e comunque le regole del mercato di riferimento, essendo fondate su criteri di trasparenza, non consentirebbero di nascondere l'identità dell'acquirente.

Gioverà ricordare che nella vicenda in esame le somme, non appena accreditate, venivano trasferite – senza mai essere riscosse – attraverso disposizioni on line in favore di altro conto estero intestato ad una piattaforma di scambio di bitcoin, per il successivo acquisto di valuta virtuale. L'impiego finale di tale valuta risulta imprecisato e, di conseguenza, la condotta che ne emerge ha ad oggetto un impiego di profitti illeciti in operazioni di natura finanziaria, idonee a ostacolare la tracciabilità e la ricostruzione della origine delittuosa del denaro.

Sul punto, la Cassazione ricorda che è ormai pacifica, in dottrina e giurisprudenza, l'inclusione della moneta virtuale tra gli strumenti finanziari e speculativi richiamati dall'art. 648-ter.1 c.p. Al riguardo, il riferimento contenuto in tale norma alle “attività economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative” in cui il denaro, profitto del reato presupposto, può essere impiegato o trasferito, mira evidentemente ad individuare delle macro-aree accomunate dalla caratteristica dell'impiego di denaro o altre utilità che, se provenienti da delitto e delle quali il reo vuole rendere non più riconoscibile la provenienza delittuosa, determinano un inquinamento del circuito economico (Cass. pen. 7 marzo 2019 n. 13795).

In particolare, la dizione “attività speculativa” sottende molteplici attività, tutte riconducibili al perseguimento di un utile, con conseguente assunzione del rischio di considerevoli perdite. In tal senso, la BCE ha evidenziato che le valute virtuali possono essere utilizzate per scopi diversi dal pagamento e comprendere prodotti di riserva di valore a fini di risparmio e investimento. Il sistema di acquisto di bitcoin si presta ad agevolare condotte illecite in quanto garantisce un alto grado di anonimato (permissionless) senza prevedere alcun controllo sulla provenienza del denaro convertito. Al riguardo la Cassazione ricorda il vasto numero di criptovalute utilizzate nel darkweb, proprio per le loro peculiari caratteristiche e per la possibilità – quantomeno per alcune di esse – di garantire, attraverso l'uso di tecniche crittografiche avanzate, un elevato livello di privacy sia in relazione alla persona dell'utente sia in relazione all'oggetto delle compravendite.

Pertanto, pur apprezzando gli sforzi compiuti dal legislatore attraverso le modifiche apportate alla normativa di prevenzione di cui al D.Lgs. 231/2007, per effetto del recepimento della IV e della V direttiva antiriciclaggio (introduzione di una nozione di “valuta virtuale”, estensione degli obblighi antiriciclaggio agli operatori in valuta virtuale e ai prestatori di servizi di portafoglio digitale), la Corte osserva che tale nuovo meccanismo di controllo non sembra aver consentito di evitare il reato in esame. Anzi, una volta accertata la reimmissione del profitto delle truffe nel circuito dell'economia legale, la ricostruzione dell'identità del soggetto al quale riferire le singole transazioni in criptovaluta è risultata oltremodo complessa, anche perché l'account impiegato dal ricorrente faceva riferimento a false generalità dell'intestatario del conto corrente bancario di provenienza.

Fonte: Cass. 13 luglio 2022 n. 27023

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