Il dibattito sull'applicabilità del D.Lgs. n. 231/2001 agli enti non profit, che per alcuni anni ha impegnato interpreti e operatori, ha subito una svolta decisiva con la riforma del terzo settore.
Invero, anche in precedenza, nello statuire l'applicabilità della responsabilità da reato agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica, l'art. 1 del Decreto 231 lasciava poco spazio ai dubbi; e infatti la discussione verteva non tanto sulla natura giuridica, quanto sull'assenza del fine di lucro e la carenza del carattere imprenditoriale dell'attività svolta da tali enti.
Anche su questo aspetto, peraltro, si è ben presto affermata la corrente di pensiero in base alla quale la ratio del Decreto 231 non può essere ristretta al contrasto del profitto conseguito attraverso la commissione di un illecito, come dimostra l'elenco dei reati-presupposto nel quale rientrano anche fattispecie che non postulano l'esercizio dell'attività di impresa. L'obiettivo ben più ambizioso del legislatore sembra, piuttosto, essere quello di impedire l'utilizzo di strutture organizzate di qualsiasi tipo (rectius: organizzazioni pluripersonali) per finalità connesse alla perpetrazione di un reato.
E infatti, come ampiamente dimostrato negli ultimi anni, fondazioni, associazioni e cooperative sociali ben possono prestarsi a divenire strumento di frodi fiscali, truffe e malversazioni.
Anche il mondo del non profit deve, pertanto, essere ritenuto a “rischio 231”, considerate, in alcuni casi, le rilevanti conseguenze anche sociali potenzialmente derivanti dalla consumazione di un illecito in un ambito così delicato. In senso conforme si è espressa anni addietro anche una ormai nota giurisprudenza (G.I.P. Trib. Milano, 2 marzo 2011), condannando una associazione volontaria di pubblica assistenza in relazione al delitto di truffa in danno di ente pubblico.
Il ruolo fondamentale degli enti non profit nel comparto dei servizi sociali è ben noto anche all'Autorità Nazionale Anticorruzione che qualche anno fa, con la delibera n. 32/2016 ( “Linee Guida per l'affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali”), ha fornito importanti indicazioni operative alle amministrazioni aggiudicatrici e agli operatori del settore, chiamati ad operare nel rispetto della normativa vigente e dei principi che ne scaturiscono (in primis, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza). In particolare, l'ANAC ha imposto, seppur in maniera “surrettizia”, un vero e proprio obbligo di adozione del modello 231 per gli enti del terzo settore affidatari di servizi sociali.
La svolta decisiva, però, è arrivata con la L. n. 106/2016 che, nel delegare il Governo per la riforma dell'intero comparto, ha enunciato tra i principi e i criteri direttivi anche quello inerente alla necessità di disciplinare gli obblighi di controllo interno, di rendicontazione, di trasparenza e d'informazione, tenuto conto di quanto previsto dal D.Lgs. n. 231/2001. In attuazione della delega, il D.Lgs. n. 117/2017 (Codice del terzo settore), nel disciplinare il sistema dei controlli negli enti non profit, ha espressamente posto a carico dell'organo di controllo un obbligo di vigilanza riferito anche alle disposizioni del D.Lgs. n. 231/2001, qualora applicabili, nonché sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile dell'ente e sul suo concreto funzionamento.
Ne discende che anche gli enti senza fini di lucro devono intendersi coinvolti a pieno titolo nella disciplina di cui al Decreto 231, anche in ragione dell'istituzione del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS), al quale sono tenuti ad iscriversi i soggetti che beneficiano di finanziamenti pubblici, di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei, che esercitano attività in convenzione con enti pubblici, o che intendono avvalersi delle agevolazioni fiscali concesse in base al citato D.Lgs. n. 117/2017.
L'iscrizione e la permanenza all'interno del RUNTS implicano, infatti, il rispetto di una serie di requisiti e di alcuni adempimenti in termini di trasparenza e informazione: a tal fine, paiono evidenti le opportunità connesse all'adozione del modello 231.
Quale modello organizzativo per gli enti del terzo settore?
L'implementazione del modello 231 nel mondo del non profit è fortemente condizionata dalle peculiarità degli enti che lo adottano.
ETS – ENTI DEL TERZO SETTORE (art. 4, co. 1, D.Lgs. n. 117/2017)
Organizzazioni di volontariato
Associazioni di promozione sociale
Enti filantropici
Imprese sociali, incluse le cooperative sociali
Reti associative
Società di mutuo soccorso
Associazioni, riconosciute o non riconosciute
Fondazioni
Altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, iscritti nel RUNTS
Non appartengono al mondo degli ETS le amministrazioni pubbliche, le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, nonché gli enti diretti o controllati da questi, ad esclusione di quelli operanti nel settore della protezione civile (art. 4, co. 2 e 3, D.Lgs. n. 117/2017).
Il Codice del terzo settore individua specificamente anche le attività che gli ETS devono svolgere, specificando che tali soggetti “esercitano in via esclusiva o principale una o più attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale” (art. 5 D.Lgs. n. 117/2017). Si tratta di attività che possono afferire a diversi settori e ad ambiti molto ampi ed eterogenei, con la possibilità di raggiungere livelli molto significativi in termini di dimensioni e complessità organizzativa.
Muovendo da tali considerazioni, l'importanza del modello 231 per il mondo non profit appare del tutto evidente.
Sempre più spesso, peraltro, gli ETS svolgono attività che, pur qualificandosi strumentali, di fatto hanno carattere imprenditoriale e, dunque, economicamente rilevante. In tal caso l'aumento del rischio è in re ipsa, basta pensare ai rapporti con la pubblica amministrazione e ai connessi rischi di compimento di reati corruttivi. L'implementazione del modello 231 in casi come questo non è imposta coattivamente dal legislatore, il quale piuttosto si limita a suggerirne l'adozione con evidenti fini di contenimento del rischio e – al verificarsi di determinate condizioni – di esonero dalla responsabilità.
In ogni caso, a prescindere dalla valenza esimente, un modello 231 opportunamente elaborato può contribuire a rafforzare i sistemi di controllo interno.
I presidi individuati dal modello per il contenimento del rischio nell'ambito dei processi maggiormente esposti al compimento dei reati elencati dal Decreto risultano, infatti, ancor più necessari per gli enti non profit con un elevato grado di complessità nell'articolazione e nella gestione interna: la segregazione delle funzioni, l'individuazione delle responsabilità e l'adozione di adeguati protocolli e procedure assicurano il corretto funzionamento interno e, al contempo, offrono una maggiore garanzia agli interlocutori esterni, producendo effetti positivi anche in termini reputazionali.
GLI STEP DEL MODELLO 231 NEGLI ETS
RISK ASSESSMENT
Individuazione delle aree a rischio reato
PROTOCOLLI
Elaborazione di protocolli interni per governare i processi e le decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire
RISORSE FINANZIARIE
Gestione delle risorse finanziarie idonee a impedire la commissione dei reati
FLUSSI INFORMATIVI
Introduzione di obblighi informativi nei confronti dell'Organismo preposto alla vigilanza sul corretto funzionamento del modello
CODICE ETICO
Adozione di un Codice etico che definisca i principi a cui devono attenersi i destinatari del modello e renda percepibile all'esterno la mission dell'ente
SANZIONI
Individuazione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello