martedì 12/07/2022 • 13:28
La Corte Costituzionale ritiene inammissibili le questioni di legittimità costituzionale richieste dai titolari di pensione di elevato importo, i quali rivendicano l’integralità del trattamento di quiescenza senza la decurtazione stabilita dalla Legge di Bilancio 2019.
redazione Memento
I giudizi principali alla base delle questioni di legittimità hanno ad oggetto la domanda proposta nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro dell'economia e delle finanze e dell'INPS da titolari di pensione di elevato importo, i quali rivendicano l'integralità del trattamento di quiescenza, senza la decurtazione stabilita dalla Legge di Bilancio 2019. La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, ha, infatti, sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, c. 261-268, L. 145/2018 (Legge di Bilancio 2019), in riferimento agli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 Cost., relativamente all'intervento di decurtazione percentuale per un quinquennio dell'ammontare lordo annuo dei trattamenti pensionistici di elevato importo ivi previsti, ovvero quelli di ammontare superiore a € 100.000 lordi su base annua. Il prelievo introdotto, ritenuto forzoso e di abnorme durata, oltre che ingiustificatamente selettivo, violerebbe i principi costituzionali di ragionevolezza, di affidamento, di uguaglianza e di adeguatezza del trattamento previdenziale nonché quello di capacità contributiva. Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in entrambi i giudizi per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, e l'INPS, negli stessi costituitosi, hanno chiesto di dichiarare le questioni inammissibili o manifestamente infondate, in virtù della precedente sentenza della Corte Costituzionale (C.Cost. 9 novembre 2020 n. 234), con la quale la stessa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, c. 261, L. 145/2018, per violazione degli artt. 3, 23, 36 e 38 Cost., nella parte in cui stabilisce la riduzione degli assegni per la durata di cinque anni, anziché per la durata di tre anni. Cosa prevede la Legge di Bilancio 2019? La Legge di Bilancio 2019 (art. 1, c. 261, L. 145/2018) prevede, per i trattamenti pensionistici diretti di importo complessivo superiore a € 100.000 lordi su base annua, la riduzione, per la durata di cinque anni, nella misura del: 15 % per la parte eccedente tale importo fino a € 130.000; 25 % per la parte eccedente € 130.000 fino a € 200.000; 30 % per la parte eccedente € 200.000 fino a € 350.000; 35 % per la parte eccedente € 350.000 fino a € 500.000; 40 % per la parte eccedente € 500.000. Nei successivi commi (art. 1, c. 262-268, L. 145/2018), la Legge contiene alcune disposizioni particolari concernenti tale riduzione, tra le quali le previsioni per cui: la stessa non si applica comunque alle pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo; le somme risparmiate restano accantonate presso gli enti previdenziali in un Fondo risparmio sui trattamenti pensionistici di importo elevato; nonostante la riduzione, l'importo complessivo del trattamento non può comunque essere inferiore a € 100.000 lordi su base annua. Il precedente della Corte Costituzionale Con la sentenza del 2020 (C.Cost. 9 novembre 2020 n. 234), la Corte ha qualificato la decurtazione in esame non come prelievo tributario, ma come misura di solidarietà endoprevidenziale, in quanto i risparmi di spesa che ne conseguono non sono acquisiti al bilancio statale, ma accantonati in fondi previdenziali. La nuova decisione: il principio solidaristico alla base della decurtazione Alla luce della precedente giurisprudenza, quindi, la Corte ritiene che lo scrutinio di legittimità costituzionale non debba riferirsi al principio di universalità dell'imposizione tributaria (art. 53 Cost.), ma alla ragionevolezza della prestazione patrimoniale imposta (art. 23 Cost.), nella prospettiva del canone solidaristico (art. 2 Cost). L'incidenza della decurtazione sulle posizioni individuali è temperata sia dalla progressività delle aliquote sugli scaglioni, sia dalla clausola di salvaguardia. La misura in esame ha anche una funzione di riequilibrio intergenerazionale. Ne viene esclusa l'applicazione alle pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo, di regola riservate ai lavoratori più giovani, e di importo inferiore a quelle liquidate con il metodo retributivo o misto: rileva, pertanto, la connessione teleologica tra la misura in questione e gli obiettivi di ricambio generazionale nel mercato del lavoro. La Corte ritiene altresì che, sebbene non con riferimento al prelievo in sé, ragionevole e solidaristicamente orientato, gli artt. 3, 23, 36 e 38 Cost. siano stati tuttavia violati dalla durata ultratriennale del prelievo, che eccede la proiezione temporale della sperimentazione di “Quota 100” e lo stesso orizzonte triennale del bilancio di previsione. In conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Corte Costituzionale nel 2020, il prelievo in questione è cessato a far data dal 31 dicembre 2021. Pertanto, per quanto concerne la durata quinquennale della decurtazione, le questioni al vaglio della Corte devono essere dichiarate manifestamente inammissibili, poiché essa è già stata ricondotta a legittimità costituzionale, con limitazione al triennio. Per quanto riguarda la riduzione degli assegni nei limiti della durata triennale, atteso che non vi sono argomenti nuovi da valutare rispetto a quelli giudicati nella sentenza del 2020, la Corte ritiene che le questioni debbano essere dichiarate manifestamente infondate. Fonte: C.Cost. 11 luglio 2022 n. 172
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