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lunedì 11/07/2022 • 06:00

Fisco Impatti sull’origine dei beni importati

No a rettifica fondata su indagini Olaf in presenza di certificato di origine

L'Agenzia delle dogane non può contestare l'origine dei beni importati sulla base di un'indagine a tavolino dell'Olaf, se la merce è accompagnata da un regolare certificato di origine rilasciato dall'Autorità estera competente. Ad affermarlo è la CTR Lombardia, con la sentenza n. 2422/2022

di Sara Armella - Avvocato

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  • Tempo di lettura 1 min.
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Olaf e la valenza delle indagini esterne

L'Olaf (Ufficio europeo per la lotta antifrode), è un organo della Commissione Europea competente a svolgere, in piena indipendenza, sia indagini interne che esterne, nei confronti di altri Paesi terzi. La finalità dell'Organismo antifrode europeo è quello di rilevare eventuali casi di gravi illeciti, frodi e corruzione, che potrebbero danneggiare gli interessi finanziari dell'Unione Europea. In ambito doganale, sono sempre più diffuse le indagini sull'origine dei prodotti, volte a verificare possibili attività elusive dei dazi antidumping previsti dalla Commissione UE.

Da precisare che, anche se provengono da un organo così autorevole, tali indagini possono essere poste a fondamento di una rettifica doganale soltanto se si riferiscono alle specifiche importazioni contestate dall'Agenzia delle Dogane.

È necessario quindi analizzare, caso per caso, se le conclusioni dell'Olaf sono sufficienti a giustificare una rettifica dell'origine dei prodotti importati.

Rideterminazione dell'origine doganale dei tubi in acciaio

È in tale quadro che si inserisce, da ultimo, la sentenza CTR Lombardia 9 giugno 2022 n. 2422, con la quale la Commissione Tributaria Regionale di Milano ha precisato che l'Agenzia delle dogane non può contestare l'origine doganale dei prodotti importati sulla base di una generica indagine dell'Olaf, in presenza di una valida prova dell'origine.

La decisione in commento si colloca all'interno di un ampio dibattito giurisprudenziale, relativo all'applicazione dei dazi antidumping sulle importazioni di tubi di acciaio.

Nel caso esaminato dai giudici milanesi, i beni importati, dichiarati di origine indiana, avrebbero avuto, a parere della Dogana, origine cinese, con conseguente applicazione di un dazio antidumping pari al 71,9% del valore della merce.

Come riconosciuto dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano, tuttavia, l'Ufficio non aveva fornito nessuna prova in merito alla presunta origine cinese dei tubi, limitandosi a fondare la propria rettifica esclusivamente su un Report dell'Olaf, ormai noto a diverse imprese unionali che importano tubi di acciaio dall'India.

La Commissione tributaria milanese ha quindi affermato l'importante principio secondo cui l'Agenzia delle Dogane non può motivare il proprio accertamento esclusivamente sull'esistenza di un Report dell'Olaf, essendo, invece, necessario dimostrare un concreto riferimento alle specifiche operazioni contestate, alle imprese, ai luoghi di produzione e ai flussi delle merci oggetto di importazione.

Orientamento della giurisprudenza in tema di indagini Olaf

La pronuncia in commento recepisce il già consolidato orientamento della Corte di Cassazione, che ha, ormai da tempo, riconosciuto come il mero riferimento, all'interno di un report Olaf, di un operatore estero, non è sufficiente per rettificare l'origine dei beni importati, essendo, invece, obbligatorio dimostrare una diretta connessione tra le importazioni contestate e i prodotti oggetto dell'indagine (Cass. 31 luglio 2020 n. 16469; Cass. 24 luglio 2020 n. 15864; Cass. 29 aprile 2020 n. 8337).

Da rilevare, infatti, che generalmente le conclusioni delle indagini Olaf fanno riferimento a migliaia di operazioni e a diversi soggetti ed è, pertanto, onere dell'Amministrazione dimostrare che tale documento si riferisce proprio ai prodotti oggetto di contestazione.

È necessario, infatti, che qualsiasi attività di accertamento, comprese quelle svolte da organismi internazionali, confluisca nella concreta dimostrazione, basata su riscontri oggettivi, della sussistenza dei presupposti della revisione doganale.

Tali principi sono stati riconosciuti anche dalla giurisprudenza di merito che ha recentemente chiarito come la pretesa della Dogana non possa essere fondata unicamente su un Report Olaf, quando questo non sia suffragato da nessuna prova idonea a dimostrare l'irregolarità dell'operazione contestata (CTP La Spezia 24 maggio 2022 n. 149 e CTP La Spezia 24 maggio 2022 n. 150; nello stesso senso la CTP La Spezia 29 giugno 2021 n. 130).

E invero, in casi identici a quello oggetto dalla sentenza in esame, la giurisprudenza ha riconosciuto che l'Olaf non avrebbe dovuto limitarsi a fondare la propria indagine sull'analisi di generici dati statistici, ma avrebbe, invece dovuto tracciare lo specifico percorso seguito dai beni prima dell'importazione in UE, tramite i codici identificativi della merce e i container che li trasportavano, verificando se l'origine indiana fosse compatibile con la necessaria durata dei tempi di lavorazione dei tubi in India (CTP Venezia 7 giugno 2021 n. 456 e CTP Venezia 7 giugno 2021 n. 457).

Valenza del corretto certificato di origine dei prodotti

Nel caso esaminato dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano, particolare importanza è stata attribuita all'esistenza, per ogni operazione contestata, di un certificato di origine non preferenziale, rilasciato dall'autorità preposta ad attestare il carattere originario dei beni (Camera di Commercio indiana), richiesto e regolarmente ottenuto dal fornitore.

In presenza di tale documento, infatti, l'onere di dimostrare l'origine cinese dei prodotti importati grava esclusivamente sull'Agenzia delle Dogane, la quale non può contrastare tale attestazione con il generico riferimento a indagini Olaf che non sono espressamente riferite alle importazioni contestate.

Il certificato di origine non preferenziale è, infatti, rilasciato dalle autorità competenti del Paese terzo da cui sono originari i prodotti. Come previsto dalla normativa internazionale del WCO (World Customs Organization), il certificato di origine non preferenziale di un prodotto è il documento con cui l'autorità del Paese di esportazione attesta l'origine dei beni esportati, secondo le norme applicabili.

Tale documento deve essere redatto sulla base del formulario approvato dal legislatore europeo, tramite l'apposizione di tutte le indicazioni necessarie per l'identificazione della merce a cui si riferiscono e vengono rilasciati dalle autorità pubbliche competenti, all'esito di un'approfondita valutazione (all. 22-14 e art. 57 par. 3 Reg. UE 2447/2015).

Come previsto dalla normativa doganale UE, quando l'Agenzia delle Dogane nutra “fondati dubbi” sull'esattezza delle informazioni in esso contenute, è obbligatorio attivare una richiesta di cooperazione amministrativa ai sensi dell'art. 59 Reg. UE 2447/2015, chiedendo alle autorità competenti un riscontro sulla corretta indicazione dell'origine.

Come stabilito dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano, pertanto, è compito della Dogana di importazione provare che il rilascio, da parte delle autorità doganali estere, di un certificato di origine inesatto è imputabile alla presentazione inesatta dei fatti da parte dell'esportatore, non essendo sufficiente, per rettificare l'origine dei prodotti, il mero riferimento a indagini Olaf non collegate specificamente ai beni importati.

Fonte: CTR Lombardia 9 giugno 2022 n. 2422

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