lunedì 11/07/2022 • 06:00
La Corte di Giustizia Europea è recentemente intervenuta sulla questione di una lavoratrice austriaca che dal 1987 al 1993, per sue esigenze personali, si è trasferita in altri paesi europei senza svolgere attività lavorativa, autonoma o subordinata, dando alla luce due figli.
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La Corte di Giustizia Europea con Sentenza 07/07/2022, causa n. C-576/20 è intervenuta sulla questione di una lavoratrice austriaca che durante tale periodo la cittadina austriaca ha soltanto accudito i propri figli per poi ritornare nel proprio paese di origine nell'anno 1993 e riprendere a lavorare sino alla fine del 2017, anno in cui la stessa ha maturato il diritto alla pensione di vecchiaia austriaca.
La questione nasce dal fatto che, benché la legislazione austriaca preveda il riconoscimento di periodi figurativi per i periodi durante i quali i lavoratori cessino la propria attività lavorativa per accudire i figli, il calcolo della pensione di vecchiaia effettuato dell'ente previdenziale austriaco non ha tenuto conto del periodo di cura trascorso all'estero e ciò, a parere della Corte Europea, per una errata interpretazione del regolamento europeo relativo all'armonizzazione e coordinamento dei sistemi previdenziali europei.
Le decisioni dei giudici austriaci
Come accade in questioni di incertezza sull'interpretazione di norme o regolamenti comunitari è la Corte di Giustizia Europea che è chiamata a pronunciarsi laddove le Corti dei singoli stati abbiano difficoltà interpretative.
Nela caso in questione, la cittadina austriaca aveva proposto ricorso al giudice del lavoro del suo paese affinché le venissero riconosciuti i periodi di cura dei figli da lei maturati in Belgio e in Ungheria tra il 5 dicembre 1987 e il 31 dicembre 1991.
Questi periodi dovevano essere presi in considerazione, in quanto periodi assimilati, ai fini del calcolo dell'importo della sua pensione austriaca di vecchiaia, pena la violazione dell'articolo 21 TFUE, come già interpretato in passato dalla giurisprudenza della Corte Europea.
L'Articolo 21 del TFUE (trattato sul funzionamento dell'Unione europea) stabilisce che:
1. Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi.
2. Quando un'azione dell'Unione risulti necessaria per raggiungere questo obiettivo e salvo che i trattati non abbiano previsto poteri di azione a tal fine, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono adottare disposizioni intese a facilitare l'esercizio dei diritti di cui al paragrafo 1.
3. Agli stessi fini enunciati al paragrafo 1 e salvo che i trattati non abbiano previsto poteri di azione a tale scopo, il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, può adottare misure relative alla sicurezza sociale o alla protezione sociale. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo.
Il giudice di primo grado ha, però, respinto il ricorso “in quanto la ricorrente nel procedimento principale non soddisfaceva i requisiti affinché i periodi di cura della prole maturati in altri Stati membri potessero essere assimilati a periodi di assicurazione ai sensi dell'articolo 44 del regolamento n. 987/2009 e della normativa austriaca ad esso afferente”.
Anche il conseguente ricorso in appello da parte dell'interessata non ha sortito alcun effetto.
La causa è, pertanto, arrivata ai giudici del rinvio (la Suprema Corte Austriaca), i quali hanno sostenuto inizialmente: ”che le condizioni previste dall'articolo 44, paragrafo 2, di quest'ultimo regolamento ai fini della presa inconsiderazione, da parte dell'ente pensionistico, dei periodi di cura dei figli, maturati dalla ricorrente nel procedimento principale in Belgio e in Ungheria, non siano soddisfatte, giacché, alla data di inizio del primo periodo di cura dei figli, vale a dire nel dicembre 1987, la ricorrente nel procedimento principale non svolgeva alcuna attività subordinata o autonoma in Austria.
Poiché, però, il giudice del rinvio rileva che: “gli Stati membri in cui la ricorrente nel procedimento principale ha maturato i periodi di cura dei figli prevedono, in linea di principio, la presa inconsiderazione di periodi siffatti. In tale contesto detto giudice si chiede, nell'ipotesi in cui l'articolo 44 del regolamento n. 987/2009 sia applicabile nella fattispecie”.
A seguito di tale incertezza, il giudice della Suprema Corte Austriaca decide di sospendere la causa e di interpellare la Corte di Giustizia Europea circa la corretta interpretazione dell'articolo 44 del regolamento n 987/2009.
Regolamento europeo n 987 del 16 settembre 2009
Articolo 44 del regolamento 987/2009 (Presa in considerazione dei periodi di cura dei figli)
1. Ai fini del presente articolo, per «periodo di cura dei figli» s'intende qualsiasi periodo accreditato sotto la legislazione pensionistica di uno Stato membro o che fornisce un'integrazione pensionistica espressamente per il fatto che una persona abbia cresciuto un figlio, indipendentemente dalle modalità di calcolo di tali periodi e a prescindere dal fatto che essi siano maturati all'epoca della cura del figlio o siano riconosciuti retroattivamente.
2. Qualora, in base alla legislazione dello Stato membro competente ai sensi del titolo II del regolamento di base, non siano presi in considerazione i periodi dedicati alla cura dei figli, l'istituzione dello Stato membro la cui legislazione era applicabile ai sensi del titolo II del regolamento di base alla persona interessata in quanto esercitava un'attività subordinata o autonoma alla data a decorrere dalla quale, secondo tale legislazione, si è iniziato a prendere in considerazione il periodo dedicato alla cura del figlio in questione, rimane responsabile della presa in considerazione di tale periodo come periodo dedicato alla cura dei figli secondo la propria legislazione, come se il figlio in questione fosse stato cresciuto nel suo territorio.
3. Il paragrafo 2 non trova applicazione se la persona interessata è o diventa soggetta alla legislazione di un altro Stato membro per il fatto che vi eserciti un'attività subordinata o autonoma.
I giudici austriaci nelle loro sentenze hanno dato un'interpretazione restrittiva di tale norma.
Hanno, infatti, considerato come elemento essenziale per poter valutare i periodi di cura esteri aver esercitato in Austria, al momento dell'inizio del periodo di cura, un'attività lavorativa.
Secondo i Giudici della Corte Europea: “se i lavoratori migranti, a seguito dell'esercizio del loro diritto alla libera circolazione, dovessero essere privati dei vantaggi previdenziali garantiti loro dalle leggi di uno Stato membro, una conseguenza del genere potrebbe dissuaderli dall'esercitare il loro diritto alla libera circolazione e costituirebbe , pertanto, un ostacolo a tale libertà . Ne consegue che l'obiettivo di garantire il rispetto del principio della libera circolazione, come sancito dall'articolo 21 TFUE, prevale altresì nell'ambito dei regolamenti nn. 883/2004 e 987/2009 ”.
Nel caso in questione, la lavoratrice austriaca ha sempre versato i propri contributi previdenziali all'ente pensionistico austriaco prima e dopo il suo trasferimento nei paesi esteri, dove non ha mai lavorato e, pertanto, esiste un collegamento tra i periodi di cura dei figli e i periodi di assicurazione maturati in Austria.
D'altronde, se tali periodi non dovessero essere utili al conseguimento della pensione di vecchiaia ci troveremmo davanti al paradosso che una normativa nazionale sia penalizzante per i propri cittadini solo per aver esercitato la loro libertà di circolazione e di soggiorno in un altro Stato membro.
Con tali motivazioni, la Corte Europea ha stabilito il principio in base al quale i periodi di cura dei figli debbano essere riconosciuti utili ai fini del calcolo della pensione presso lo stato membro ove il lavoratore abbia sempre versato in via esclusiva la propria contribuzione, prima e dopo il suo trasferimento in altri stati dell'Unione, anche se dovesse mancare il requisito previsto dal comma 2 dell'art.44 del reg. 987/2009.
La situazione italiana
La sentenza della Corte Europea è di fatto coincidente con la presentazione del Disegno di Legge S. 847 del 3 luglio 2022.
Il DDL 84 ha proprio come obiettivo quello di armonizzare la nostra normativa previdenziale con quella dei principali paesi europei, garantendo anche ai genitori italiani - che lascino il lavoro per accudire i propri figli – un periodo di contribuzione figurativa.
Attualmente nel nostro paese chi lascia temporaneamente il lavoro per accudire i figli si vedrà penalizzato, ricevendo un assegno pensionistico più basso dei propri vicini europei con legislazioni previdenziali più moderne.
Come è facile immaginare chi è maggiormente penalizzato da questa situazione sono le lavoratrici madri che molte volte sono costrette, se non a lasciare il lavoro, a scegliere modalità di lavoro più flessibili come il part-time o lavori di tipo atipico con conseguenze negative sulle proprie pensioni.
La proposta che è stata presentata al Senato, che ci riserveremo di approfondire se dovesse effettivamente diventare legge, prevede che:
1. Ai fini dei trattamenti pensionistici degli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria e alle forme sostitutive ed esclusive della medesima determinati con i sistemi contributivo, retributivo e misto e conseguiti dopo la data di entrata in vigore della presente legge, sono riconosciuti alle madri, a prescindere dall'assenza o meno dal lavoro al momento del verificarsi dell'evento della maternità o dell'adozione, i seguenti periodi di accredito figurativo:
a) due anni di contribuzione figurativa per la nascita o per l'adozione di un figlio;
b) un anno di contribuzione figurativa per la nascita o per l'adozione di ogni figlio successivo al primo.
2. I benefici di cui al comma 1 si applicano alle maternità e alle adozioni successive alla data di entrata in vigore della presente legge e non sono cumulabili con altri periodi di contribuzione figurativa riconosciuti in ragione della maternità; in tale caso è data facoltà alla madre di optare tra essi; tali benefici sono inoltre riconosciuti anche se la madre risulta inoccupata al momento del parto o dell'adozione e anche in assenza di una anzianità contributiva.
Non si tratta certo dei quattro anni di contribuzione figurativa previsti dall'Austria, ma è un primo passo verso il giusto riconoscimento e dell'importanza che nelle società moderne deve avere la maternità e la cura dei figli.
Fonte: Corte di Giustizia UE, Sentenza 07/07/2022, causa n. C-576/20
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