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venerdì 08/07/2022 • 06:00

Fisco Corte di Giustizia (IVA)

Acquisti intra-UE: erronea qualificazione della prima operazione

Un acquisto intracomunitario di beni è considerato effettuato nel territorio dello Stato membro anche se, nonostante sia la prima operazione di una catena, sia stato qualificato come operazione nazionale (Dyrektor Izby Skarbowey, C-696/20).

di Matteo Dellapina - Avvocato, Cultore in Diritto Tributario presso l’Università di Pavia

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  • Tempo di lettura 8 min.
  • Ascolta la news 5:03

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La Corte di Giustizia (Dyrektor Izby Skarbowey), con la sentenza C.Giust. 7 luglio 2022 C-696/20, ha sancito come un acquisto intra-UE di beni sia considerato effettuato nel territorio di tale Stato allorché tale acquisto, che si pone come la prima di una catena di operazioni successive, sia stato erroneamente qualificato come operazione nazionale dai soggetti passivi coinvolti, i quali hanno utilizzato il loro numero identificativo IVA (attribuito da tale Stato membro) e l'operazione successiva (erroneamente qualificata come intra-UE) sia stata assoggettata ad IVA in quanto acquisto intracomunitario di beni ad opera degli acquirenti degli stessi nello Stato di arrivo del trasporto. Per i giudici nazionali tale disposizione osta ad una siffatta normativa nazionale qualora l'acquisto intra-UE, che sia considerato effettuato nel territorio di tale Stato membro, sia risultante da una cessione intra di beni che non sia stata trattata come operazione esente in tale Stato.

Fatti di causa

Una società, stabilita e registrata ai fini IVA sia nei Paesi Bassi che in Polonia, agiva come operatore intermedio all'interno di una catena di cessioni aventi ad oggetto gli stessi beni, concluse tra almeno tre soggetti. Nel dettaglio, acquistava i beni per poi rivenderli ai propri clienti. In realtà però la spedizione avveniva direttamente da parte del fornitore iniziale situato in Polonia che li inviava all'ultimo soggetto della catena di cessioni.

All'atto dell'acquisto dei beni, la società utilizzava il proprio numero di identificazione IVA polacco, qualificando le operazioni come cessioni nazionali ed applicando così l'aliquota IVA del 23%. Mentre qualificava come cessioni intracomunitarie quelle effettuate ai propri clienti (IVA 0%) che a loro volta dichiaravano l'IVA applicabile all'acquisto intracomunitario.

L'ispettorato fiscale riqualificava l'operazione, ritenendo che:

  •  il trasporto avrebbe dovuto essere imputato alla prima cessione a catena, cosicché la prima operazione costituiva una cessione intracomunitaria che doveva essere dichiarata dalla contribuente come un acquisto intra-UE nello Stato membro di destinazione dei beni ove la società si sarebbe dovuta registrare;
  • le cessioni operate dalla società ai suoi clienti (in detto Stato) avrebbero dovuto essere tassate come operazioni nazionali;
  • siccome la contribuente utilizzava il numero di partiva IVA polacco, ossia attribuito da uno Stato membro diverso da quello in cui si è concluso il trasporto dei beni, l'autorità tributaria ha ritenuto che la società dovesse dichiarare l'IVA sul suo acquisto intra-UE in Polonia. I beni ricevuti dalla società dovevano poi essere fatturati con IVA al 23%, ferma restando l'indetraibilità dell'IVA a monte.

Tale decisione è stata confermata anche dal direttore dell'amministrazione tributaria. Cosicché la contribuente adiva il giudice amministrativo che condivideva le conclusioni raggiunte dalle amministrazioni, secondo cui la società non aveva correttamente qualificato entrambe le cessioni ed aveva erroneamente determinato la cessione a cui il trasporto avrebbe dovuto essere imputato.

Infine, presentato ricorso dinnanzi alla Corte Amministrativa Suprema che rilevava come l'IVA fosse stata versata in tutte le fasi della catena e pertanto non si poteva configurare un'ipotesi di frode. Inoltre, l'errata valutazione delle cessioni da parte della società aveva comportato che l'IVA fosse dovuta in Polonia, fermo restando che l'autorità polacca non risultava competente a verificare l'intera catena di cessioni. Pertanto, non poteva essere presa in considerazione l‘IVA pagata dai clienti della contribuente nello Stato membro di destinazione dei beni, comportando un onere fiscale sproporzionato per la società. Da qui il giudice del rinvio ha sospeso la vicenda, sottoponendo alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale vertente sul fatto se l'art. 41 Dir. IVA, unitamente ad i principi di neutralità e proporzionalità, ostino all'applicazione di una norma nazionale sugli acquisti intracomunitari di un soggetto passivo:

  • qualora tale acquisto sia già stato assoggettato all'imposta nel territorio dello Stato membro di arrivo della spedizione da parte degli acquirenti dei beni di tale soggetto passivo;
  • se fosse accertato che la condotta della società non costituisse una frode fiscale, ma in realtà sarebbe la diretta conseguenza di un'errata individuazione delle cessioni nelle operazioni a catena, con l'aggiunta che l'indicazione dell'IVA polacca deriverebbe dal fatto che si tratterebbe di una cessione nazionale e non intra-UE.

Conclusioni dell'Avvocato generale

L'Avvocato Generale N. Emiliou ha presentato le proprie conclusioni il 7 aprile 2022 ove ha preliminarmente ritenuto che per poter applicare l'art. 41 Dir. IVA 2006/112 sia necessario un acquisto intracomunitario. Per l'appunto, la questione se una determinata cessione all'interno di una catena possa essere qualificata in tal senso dipende dall'imputazione del trasporto. Da qui l'Avvocato generale ha scorporato le proprie conclusioni in vari punti, analizzando dapprima il tema dell'imputazione del trasporto, per poi concentrarsi sulla ratio dell'art. 41 Dir. IVA 2006/112, esaminando infine l'applicabilità dello stesso alla fattispecie di cui al procedimento principale.

Quanto al primo aspetto, l'imputazione a trasporto dovrà essere valutato alla luce della giurisprudenza propria della CGUE (Euro Tyre Holding, C-430/09; Arex CZ, C-414/17; Kuršu zeme, C-273/18; Herst, C-401/18) ove la Corte ha ritenuto che, nell'ambito di una catena di cessioni successive che hanno dato luogo ad un unico trasporto intracomunitario, questo potrà essere imputato ad una solo delle suddette cessioni che sarà pertanto l'unica esentata. Di conseguenza, per determinare a quale cessione della catena possa imputarsi il trasporto, si dovrà compiere una valutazione globale di tutte le circostanze particolari del caso in esame. In tale contesto sarà importante stabilire il momento in cui avviene il trasferimento del potere di disporre di un bene come proprietario.

Poi l'Avvocato Generale si sofferma sulla ratio dell'art. 41 Dir. IVA che risiede nel garantire l'assoggettamento ad imposta dell'acquisto intra-UE ed allo stesso tempo di evitare che si verifichi una doppia imposizione (Cffr. CGUE, X, C-536/08 e C-539/08). Quindi ricorrendo a tale meccanismo correttivo, si evita il verificarsi del fenomeno della doppia imposizione ed inoltre esso è la rappresentazione dell'obiettivo di trasferire il gettito fiscale allo Stato membro in cui avviene il consumo finale dei beni.

Per quanto invece concerne l'attribuzione del numero di partita IVA, si ritiene che essa fornisca la prova dello status fiscale del soggetto passivo ai fini dell'applicazione dell'IVA, agevolando il controllo tributario delle operazioni intra-UE (CGUE, Mecsek-Gabona, C-273/11). Ecco che se un operatore intermedio in una catena di cessioni abbia applicato il numero di identificazione IVA dello Stato membro di origine dei beni, non pregiudica l'applicabilità dell'art. 41 Dir. IVA all'acquisto effettuato da tale operatore.

Poi l'Avvocato Generale ha ritenuto, in aderenza a quanto sollevato dal giudice del rinvio e dalla Commissione ,che vi sia un onere fiscale sproporzionato, ostando all'applicazione dell'art. 41 Dir. IVA. Ma per valutare se la società sia stata gravata da ciò, sarà necessario verificare gli obblighi fiscali della stessa relativi alla prima cessione. A tale riguardo è stato considerato problematico il fatto che la norma nazionale di recepimento dell'art. 41 Dir. IVA sia stata applicata ad un acquisto intra-UE riqualificato che corrispondeva ad una cessione intra-UE riqualificata che tuttavia non era esente.

In conclusione, per l'Avvocato generale la questione dev'essere risolta ritenendo che l'art. 41 Dir. IVA non osti all'applicazione della normativa nazionale agli acquisti intra-UE di beni da parte di un soggetto passivo allorché gli acquirenti dei beni da tale soggetto abbiano applicato l'IVA all'acquisto (di tali beni) nel territorio dello Stato membro di arrivo del trasporto. Tuttavia, l'art. 41 (ed il principio di proporzionalità) ostano all'applicazione della legge nazionale agli acquisti intracomunitari di beni se da tali acquisti derivi una cessione intra-UE di beni che non sia stata trattata come esente (valutazione demandata al giudice del rinvio).

Posizione della Corte di Giustizia

Con la decisione 7 luglio 2022, la CGUE ha ritenuto che l'art. 41 Dir. IVA 2006/112 sia interpretato nel senso che non osti alla normativa di uno Stato membro ove sia previsto che un acquisto intracomunitario di beni sia considerato effettuato nel territorio di tale Stato membro allorché tale acquisto, costituente la prima di una catena di operazioni successive, sia stato erroneamente qualificato come operazione nazionale dai soggetti passivi coinvolti, i quali hanno utilizzato il loro numero di identificazione IVA attribuito da tale Stato e l'operazione successiva, erroneamente qualificata come intra-UE, è stata assoggettata ad IVA in quanto acquisto intracomunitario di beni ad opera degli acquirenti dei beni stessi nello Stato membro di arrivo del trasporto.

La Corte ha poi precisato che tale disposizione, vista alla luce dei principi di proporzionalità e di neutralità fiscale, osta tuttavia ad una normativa siffatta di uno Stato qualora l'acquisto intra-UE, considerato effettuato nel territorio dello Stato, sia risultante da una cessione intracomunitaria di beni che non è stata trattata come operazione esente in detto Stato membro.

Fonte: CGUE, sentenza 7 luglio 2022 C-696/20

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di

Renato Portale

- Dottore commercialista in Lecco

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