giovedì 07/07/2022 • 06:00
Chi fornisce informazioni false al fine di ottenere il riconoscimento del reddito di cittadinanza, o ne omette la comunicazione quando ne escluderebbe la fruizione, commette il reato di truffa. Lo ha chiarito più volte la Corte di cassazione: l'approfondimento della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro presenta un quadro organico sul tema.
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Reddito di cittadinanza
Introdotto dal d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, il reddito di cittadinanza, stando alla lettera del primo comma dell'art. 1 della premessa norma, voleva rappresentare la misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all'informazione, all'istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all'inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro. Il diritto alla percezione del reddito di cittadinanza è subordinato al possesso dei requisiti di reddito ed anagrafici (compresa la residenza nel territorio dello Stato da almeno dieci anni) che ne consentono il riconoscimento del diritto.
Questi evidentemente vengono acquisiti sulla base delle dichiarazioni e della documentazione prodotta dagli interessati che ne fanno domanda, per ottenere i benefici economici riconosciuti ai sensi dell'art. 3 del dl. n. 4/19, così come convertito dalla l.n. 26/19.
Sanzioni in caso di dichiarazioni infedeli o comportamenti omissivi
La stessa norma che ha introdotto il reddito di cittadinanza, nella consapevolezza della necessità di predisporre una vigilanza specifica per contrastare la possibilità – fisiologica – di percezioni indebite, ha introdotto, all'art. 7, un sistema sanzionatorio specifico, per effetto del quale, fatta salva la circostanza che i fatti addebitati non costituiscano più grave reato, è punito “chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute”.
La pena prevista è quella della reclusione da due a sei anni.
Parimenti, il secondo comma dell'art. 7, in caso di “omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio” prevede la pena della reclusione da uno a tre anni.
Natura delle violazioni e l'apparato punitivo
Come puntualmente spiegato dall'approfondimento del 5 luglio 2022 della Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro, la particolare gravità di questi comportamenti è tale che non di rado la Corte di cassazione, proprio in virtù dell'avvertita necessità di provvedere con rigore al contrasto alla percezione abusiva del reddito di cittadinanza, ha intravisto – e punito – le fattispecie per le quali tali comportamenti attivi o omissivi abbiano configurato un reato più grave rispetto alla declaratoria dell'art. 7, per cui come è possibile osservare “in diverse pronunce, la Corte di Cassazione ha stabilito quali condotte devono essere sussunte ora nell'una ora nell'altra norma, fermo rimanendo il fatto che l'indebita percezione del beneficio economico può altresì integrare il reato di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai sensi dell'articolo 640-bis del codice penale”.
La gravità della condotta poi, è tale da suscitare la necessità della reazione dell'ordinamento anche soltanto nei casi di pericolo della consumazione del reato, circostanza che ha consentito alla Corte di statuire che, “in presenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine alla commissione dei reati di cui all'articolo 7 del D.L. n. 4/2019, l'Autorità Giudiziaria può disporre il sequestro preventivo della “carta Rdc” al fine di evitare che, mediante la libera disponibilità di tale documento, il richiedente possa continuare a percepire indebitamente il beneficio economico.”
Giurisprudenza della Corte di cassazione
Come può evincersi dalla ricostruzione organica della giurisprudenza di legittimità resa dall'approfondimento della Fondazione Studi, la Corte di Cassazione, sulla scorta di tali premesse, ha stabilito che tale reato è punito a titolo di dolo generico (Cass.pen., Sez. III, n. 1351/2022), e che nello specifico della fattispecie di reato, “è agevole, dunque, rilevare che nei commi 1 e 2 dell'articolo 7 sono state previste fattispecie delittuose (commissive e omissive) da inquadrare nei reati di falsità in atti e personale.
Sul punto, la Corte di Cassazione ha statuito che “entrambe le fattispecie si configurano come reati di condotta e di pericolo, in quanto dirette a tutelare l'Amministrazione contro mendaci e omissioni circa l'effettiva situazione patrimoniale e reddituale da parte dei soggetti che intendono accedere o già hanno acceduto al Reddito di cittadinanza” (Cass.pen., Sez. III, n. 5309/2021).
Conseguentemente, è l'affermazione di principio che pare potersi oggettivamente ricavare, al di là, dell'individuazione in concreto delle fattispecie incriminatrici previste dai primi due commi dell'art. 7, e della loro natura rispettivamente commissiva o omissiva, ed a prescindere dalla casistica di riferimento che se ne può trarre, la fattispecie di reato de qua risponde alla necessità di “individuare nel generale “principio antielusivo”, “il quale si ricollega alla nozione di capacità contributiva ai sensi dell'art. 53 Cost., la cui ratio risponde al più generale principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., onde il disvalore del reato di condotta riflette, ben oltre al profilo del pericolo di conseguimento di un profitto ingiusto, il dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico”.
Fonte: Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Approfondimento del 5 luglio 2022
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