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lunedì 20/06/2022 • 06:06

Fisco Corte di Giustizia UE

L’accordo puramente artificioso sottende l’abuso del diritto ai fini IVA

Secondo la Corte di Giustizia l’abuso del diritto ai fini IVA si configura ogni qual volta venga accertata l’artificiosità dell’accordo stipulato tra soggetti, in quanto volto a ottenere un vantaggio fiscale. L’abuso sarà irrilevante ai fini dell’individuazione del destinatario e del luogo della prestazione. La vicenda, rimasta incagliata sull’incompetenza della Corte (in quanto chiamata dal giudice nazionale non a interpretare la Direttiva 2006/112 bensì a decidere nel merito), è collegata al precedente caso WebMindLicenses (C-419/14).

di Matteo Dellapina - Avvocato, Cultore in Diritto Tributario presso l’Università di Pavia

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  • Tempo di lettura 1 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Fatti di causa

Una società ungherese (DuoDecad), operante nel settore della programmazione informatica, prestava assistenza tecnica ad una società portoghese che forniva servizi di intrattenimento con mezzi elettronici. In seguito ad un controllo del Fisco veniva accertato che il reale beneficiario dei servizi forniti dalla Ungherese non fosse la società portoghese ma una terza, sita anch'essa in Ungheria (la nota società WebMindLicenses Ktf.), che possedeva un know-how per la fornitura di servizi di intrattenimento con mezzi elettronici e che aveva stipulato con la portoghese un contratto di licenza per lo sfruttamento di tale know-how. Quindi l'Amministrazione fiscale recuperava a tassazione l'IVA non corrisposta, con l'applicazione di sanzioni ed interessi.

Dopo un rigetto da parte del giudice di primo grado, la questione finiva dinnanzi alla Corte superiore che decideva di sospendere la vicenda, rinviando alla Corte di giustizia a cui sottoponeva l'esame di varie questioni pregiudiziali.

Nel dettaglio, si chiede se gli art. 2, par. 1, lett. c), art. 24, par. 1 e art. 43 della Direttiva 2006/112/CE debbano interpretarsi nel senso che non fosse la società titolare di una licenza di Know-How che consente la prestazione di servizi di intrattenimento tramite mezzi elettronici a fornire effettivamente tali servizi di intrattenimento. Per cui tale società non potrebbe essere considerata quale cliente dei servizi di assistenza tecnica per quel Know-How fornito da un soggetto passivo situato in altro Stato UE, siccome in realtà è la società che concede la licenza (sita anch'essa in altro Stato membro), ad essere l'effettivo fornitore di tali servizi di intrattenimento, risultando così quest'ultima la cliente finale dell'attività di assistenza tecnica.

Quindi dalla domanda di pronuncia pregiudiziale emerge che il giudice del rinvio voglia stabilire, in seguito alla sentenza del caso WebMindLicenses (C-419/14), se sia la società portoghese oppure se, sebbene il Know-How che consente la prestazione di tali servizi di intrattenimento sia stato oggetto di un contratto di licenza tra quest'ultima e la terza, debba considerarsi quale vero prestatore di servizi di intrattenimento proprio la terza società che per l'appunto è la WebMindLicenses.

La vicenda WebMindLicenses (C-419/14)

Occorre ripercorrere brevemente la vicenda tratteggiata dalla Corte di Giustizia relativa al caso della società ungherese WebMindLicenses (“WML”) che, dopo aver stipulato un accordo di licenza con una società portoghese (per l'appunto la Lalib), metteva a disposizione di quest'ultima il Know-How che le consentisse di poter utilizzare un sito di servizi audiovisi interattivi ove gli utenti mondiali partecipano in tempo reale.  Per il Fisco ungherese il trasferimento del Know-How non corrisponde ad una vera transazione economica, ritenendo altresì che il reale “sfruttatore” fosse la WML in Ungheria. Di conseguenza veniva contestato il mancato pagamento dell'IVA relativa all'utilizzo del Know-How. La questione finita davanti al giudice europeo, articolata in diciassette domande, è stata risolta anzitutto ritenendo che per provare se un accordo di licenza nasca da una pratica abusiva, la cui finalità principale sia quella di beneficiare di una tassazione ridotta (Portogallo), è necessario che venga dimostrato che tale accordo costituisse una costruzione puramente artificiosa progettata per celare il fatto che tali servizi fossero stati forniti dalla WML in Ungheria. Ciò poteva essere provato sulla base di dati meramente oggettivi, quali l'esistenza fisica della società portoghese in termini di locali, personale e attrezzature. Contrariamente, il fatto che il manager e azionista di WML fosse l'ideatore del Know-How, il quale aveva esercitato influenza o controllo sullo sviluppo e sfruttamento, non appariva di per sé decisivo. Nemmeno rilevante risultava, a parere della CGUE, il fatto che un complesso di attività (quali le transazioni finanziarie, il personale e gli strumenti tecnici necessari per la fornitura del servizio) fossero state erogate da subappaltatori nonché le ragioni che avessero portato la stessa WML a mettere a disposizione di terzi il Know-How invece che sfruttarlo direttamente.

Inoltre, non si poteva nemmeno considerare, quale pratica abusiva, il semplice fatto che un accordo di licenza fosse stato concluso con una società sita in uno Stato UE che applicava un'aliquota IVA normale o inferiore rispetto a quella dello Stato in cui aveva sede la società concedente la licenza. In tal caso, il fatto che l'IVA fosse stata pagata in tale altro Stato UE in sintonia con la legislazione vigente, non escludeva un adeguamento dell'imposta nello Stato membro in cui era situato il luogo di effettiva residenza del prestatore. Qui il richiamo è al Regolamento (UE) n. 904/2010 del Consiglio del 7 ottobre 2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro le frodi in materia di IVA.

La decisione nel caso Duodecad (C-596/20)

Anzitutto la Corte di Giustizia ha mosso una critica aperta al giudice del rinvio, ritenendo che le questioni pregiudiziali formulate sottendano non una richiesta di interpretazione della Direttiva IVA 2006/112/CE bensì di determinare autonomamente se la terza società (WML) e non quella portoghese, debba considerarsi quale vero fornitore dei servizi di intrattenimento, con la conseguenza che il contratto di licenza concluso tra tali società costituirebbe un accordo puramente artificiale. In conseguenza di ciò la Corte si è dichiarata non competente a rispondere alle questioni pregiudiziali siccome, in sintonia con l'art. 267 TFUE è competente unicamente a pronunciarsi sull'interpretazione dei trattati e degli atti adottati dalle istituzioni dell'UE (Cfr. W.Z., C-487/19, sentenza del 6 ottobre 2021, p. 78 e 132; Omni Metal Service, C-259/05, sentenza del 21 giugno 2007 p. 17).

Ma andando oltre, ciò che risulta meritevole di interesse, è la decisione nel merito della vicenda ove la Corte ha sottolineato come la società portoghese (LALIB) non potesse considerarsi quale destinataria dei servizi se questi fossero stati forniti dalla terza (WML), cosicché il contratto di licenza tra le due risulterebbe meramente artificioso comportante l'abuso del diritto ed incidente sul rapporto contrattuale tra la prima società (DuoDecad) e la portoghese Lalib. In tal caso, ciò costituirebbe un abuso di diritto ai fini IVA.

Qui poi è stata richiamato il p. 36 della sentenza WebMindLicenses (C-419/14), ove si era sottolineato come l'accertamento di una pratica abusiva ai fini IVA richiede da un lato che le operazioni, nonostante la formale applicazione delle condizioni previste dalla Direttiva IVA e dalla norma nazionale, comportino l'ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all'obiettivo perseguito da tali disposizioni. Mentre dall'altro lato che da un insieme di elementi oggettivi risulti, quale scopo essenziale delle operazioni, l'ottenimento di un vantaggio fiscale.

Osservazioni finali

La portata della decisione della CGUE è di estremo interesse e di valenza pratica (nonostante la Corte si sia dichiarata incompetente a rispondere circa le questioni pregiudiziali), in quanto ritorna sulla vicenda WebMindLicenses (C-419/14) sottolineando come un accordo puramente artificioso, ossia privo di realtà economica, che risulti quindi creato ad hoc per ottenere un vantaggio fiscale ai fini IVA, configura una pratica di abuso del diritto. Quindi, tutti gli accordi perfezionati che risultino mancanti di una “valenza economica” e che invece sia volti ad ottenere un vantaggio fiscale, risulteranno vietati proprio perché configuranti una fattispecie abusiva.

Merita qui un richiamo alle conclusioni dell'avvocato generale Juliane Kokott (del 10 febbraio 2022) che ha ritenuto come il destinatario di una prestazione, rilevante ai fini della localizzazione della prestazione stessa, dovrà essere individuato in base al rapporto giuridico di base da cui si evinca il soggetto tenuto a sopportare l'onere correlato alla prestazione ricevuta. Sarà irrilevante ai fini dell'individuazione del destinatario e della determinazione del luogo della prestazione il fatto che sia accertata una pratica abusiva riguardante il destinatario e un terzo.

Fonte: Corte di Giustizia UE, sentenza 16 giugno 2022 C-596/20, DuoDecad

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