I fondi bilaterali
La Riforma, contenuta nella legge di Bilancio 2022, punta a costruire a fianco del sistema “tradizionale” di tutele del settore industriale un regime parallelo per tutti gli altri datori di lavoro, che faccia perno sulla bilateralità, cioè sulla gestione condivisa delle rappresentanze delle aziende e dei lavoratori.
Il nuovo modello di protezione universale punta tutto sul ruolo futuro dei fondi bilaterali.
La Riforma stabilisce, infatti, che entro il 31 dicembre 2022 le organizzazioni sindacali e imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale stipulino accordi e contratti collettivi, anche intersettoriali, per la costituzione di fondi di solidarietà bilaterali per i datori di lavoro che non rientrano nell'ambito di applicazione della CIGO, con la finalità di assicurare ai lavoratori una tutela in costanza di rapporto di lavoro nei casi di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa per le causali ordinarie e straordinarie.
In sostanza, la Riforma punta a creare un sistema “parallelo” a quello di CIGO e CIGS che intervenga per le medesime causali, per una durata minima non inferiore e nella stessa misura. Qualora i nuovi fondi bilaterali non vengano costituiti entro la fine del 2022, a decorrere dal 1° gennaio 2023 i datori di lavoro del relativo settore confluiranno nel FIS.
Anche i fondi di solidarietà bilaterali già costituiti, compresi i fondi alternativi (agenzie per il lavoro e artigianato) e i territoriali istituiti nelle province autonome di Trento e Bolzano, dovranno adeguare le proprie prestazioni a quelle di CIGO e CIGS, sia in termini di durata in base alle causali invocate, sia in termini di misura e massimale.
Nel modello riformato i fondi bilaterali dovranno assicurare tutele “lunghe” pari a quelle di CIGO e CIGS: esaurita l'esultanza, è forse utile chiedersi come potranno essere finanziate e a partire da quando.
Il funzionamento dei fondi è governato dall'art. 35 del testo unico del 2015 che fissa l'obbligo di bilancio in pareggio e il divieto di erogare prestazioni in carenza di disponibilità.
Ciò significa che, fino a quando i fondi bilaterali non avranno messo da parte risorse sufficienti, non potranno che erogare prestazioni limitate.
Il vero rischio è che, fatta eccezione per i fondi settoriali e territoriali già esistenti, che adegueranno i loro statuti e le loro prestazioni ai nuovi parametri di legge, difficilmente vedranno la luce entro fine anno nuovi fondi di settore o intersettoriali. Infatti, il rischio per un nuovo fondo è quello della partenza al buio, cioè dell'impossibilità di garantire a tutte le aziende che ne avessero bisogno, le tutele richieste. Una soluzione potrebbe essere l'intervento del FIS in caso di insufficienza delle risorse raccolte dal fondo bilaterale rispetto alle prestazioni richieste, almeno nel periodo di avvio dell'attività. Se non ci sarà un intervento normativo incisivo, il FIS continuerà ad essere il principale fondo di integrazione salariale del nostro Paese, con datori di lavoro, o peggio interi settori economici, nella posizione di “pagatori netti” e altri in quella di “fruitori netti”. Un tale assetto porterebbe ad un'applicazione distorta del principio solidaristico su cui si fonda il modello italiano degli ammortizzatori con l'effetto di una profonda iniquità.
Stop alla CIGS per cessazione e sperimentazione del nuovo accordo di transizione occupazionale
Che la Cassa integrazione per cessazione di attività (rectius per crisi dovuta a cessazione) avesse i giorni contati lo sapevamo da tempo: come giustificare una tutela in assenza di prospettive di ripresa dell'attività economica e quindi di continuità, almeno parziale, dell'occupazione? Nessun alibi per le attività decotte: dal 2016 l'ammortizzatore appropriato per i lavoratori sarebbe stato in questo caso l'indennità di disoccupazione, estesa e potenziata, la NASPI. In questa prospettiva a decretarne la fine era stato proprio il D.Lgs. n.148/2015, che aveva tuttavia differito il commiato al 1° gennaio 2016. Solo una breve parentesi senza CIGS per cessazione, perché già nel 2018 il c.d. Decreto Genova (DL n. 109/2018) la introdusse nuovamente e da quel momento in poi fu confermata e rifinanziata senza soluzione di continuità fino alla fine 2022.
Tuttavia, dal prossimo anno potrebbe venire definitivamente soppiantata dalla nuova, più versatile, CIGS per accordo di transizione occupazionale introdotta dalla legge di Bilancio 2022 con l'inserimento dell'art. 22 ter nell'impianto del D.Lgs. n.148/2015.
Questa nuova tipologia di CIGS ha una sola finalità dichiarata: sostenere le transizioni occupazionali all'esito dell'intervento straordinario di integrazione salariale per le causali di crisi e riorganizzazione, concedendo un ulteriore intervento di integrazione salariale straordinaria finalizzato al recupero occupazionale dei lavoratori a rischio di esubero, pari a un massimo di 12 mesi complessivi non ulteriormente prorogabili. Fino ad un anno in più di CIGS, rispetto al limite ordinario di 24 mesi nel quinquennio al solo scopo di organizzare azioni finalizzate alla rioccupazione o all'autoimpiego dei lavoratori, quali formazione e riqualificazione professionale, evidentemente non realizzate nelle precedenti annualità di CIGS.
Resta tuttavia un preciso vincolo normativo: l'azienda può accedere a questa tipologia di CIGS solo se ha esaurito gli altri ammortizzatori sociali per crisi o riorganizzazione. In soccorso alle imprese sono venuti il Ministero del Lavoro e l'INPS affermando in via interpretativa che l'impossibilità di fare ricorso ai trattamenti di CIGS, oltre che riguardare i limiti di durata complessiva dei trattamenti, può scaturire anche da aspetti di tipo “oggettivo” che precludono all'azienda di ricorrere alle misure di intervento straordinario tipizzate nel D.Lgs. n. 148/2015. È il caso, in particolare, del vincolo per il quale “una nuova autorizzazione non può essere concessa prima che sia decorso un periodo pari a due terzi di quello relativo alla precedente autorizzazione”, oppure dell'ipotesi in cui l'impresa non abbia neanche i requisiti per accedere alla proroga CIGS prevista dall'art. 22-bis D.Lgs. n.148/2015, in quanto non “presenti interventi correttivi complessi volti a garantire la continuità aziendale e la salvaguardia occupazionale” (Circ. Min Lav. 18 marzo 2022 n.6; Mess. INPS 31 marzo 2022 n.1459).
Quale incoraggiamento alle iniziative di autoimpiego?
Alla soluzione delle grandi criticità sopra sinteticamente descritte si frappongono molti ostacoli, di ordine normativo ed economico. Ma ve n'è una che si scontra con la logica e il buon senso.
Si tratta della previsione contenuta nel nuovo comma 2 dell'art. 8 che disciplina la compatibilità dell'integrazione salariale con lo svolgimento dell'attività lavorativa. La disposizione prevede che
“Il lavoratore che svolga attività di lavoro subordinato di durata superiore a sei mesi nonché di lavoro autonomo durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate. Qualora il lavoratore svolga attività di lavoro subordinato a tempo determinato pari o inferiore a sei mesi, il trattamento è sospeso per la durata del rapporto di lavoro.”.
In sintesi, che cosa accade se durante il periodo di integrazione salariale (assegno del FIS, di CIG o di CIGS) accetto un contratto di lavoro part time come cameriere nel week end?
se il contratto è superiore a 6 mesi, perdo soltanto le giornate di trattamento INPS coincidenti con quelle del mio lavoro part time, quindi potenzialmente nemmeno una se in azienda lavoravo su 5 giorni;
se disgraziatamente accetto un contratto di durata fino a 6 mesi perdo l'intero trattamento INPS per la durata del mio rapporto part time.
Volendo escludere che la ratio della norma sia quella di disincentivare i lavori di breve durata, propenderei per classificare questa criticità come svista.
Sullo stesso argomento in corso di pubblicazione “Ammortizzatori sociali, Strumenti di rilancio" il nuovo libro del dott. Massimo Brisciani e Marcella de Trizio per Giuffrè Francis Lefebvre.
Il volume esamina nel dettaglio la nuova riforma degli ammortizzatori, che introduce dal 2022 il principio della protezione universale di tutti i lavoratori, ma con tutele differenziate in base al settore e alla dimensione occupazionale dell’ambito di appartenenza.