giovedì 09/06/2022 • 14:55
Per i carichi affidati all’agente della riscossione, in caso di definizione agevolata, il giudizio rimane sospeso fino alla scadenza del termine dilatorio correlato alla modalità solutoria prescelta dal contribuente, salvo che intervengano istanze di revoca. La mancata presentazione della dichiarazione in cui il contribuente sceglie come effettuare il pagamento e in cui indica la pendenza di giudizi, comporta chiaramente la mancata corresponsione delle somme dovute, ma nessuna illegittimità costituzionale.
redazione Memento
In caso di definizione agevolata dei carichi affidati all'agente della riscossione, il giudizio resta sospeso fino alla scadenza del termine dilatorio correlato alla modalità solutoria prescelta dal contribuente debitore, salvo che intervengano istanze di revoca. La CTR Calabria ha sollevato questioni di legittimità costituzionale con riferimento all'art. 3 c. 5 e 6 DL 119/2018. Il primo comma in questione prevede che il debitore, per aderire alla procedura di definizione agevolata dei carichi, deve manifestare all'agente di riscossione la sua volontà tramite apposita dichiarazione entro il 30 aprile 2019, con le modalità e in conformità alla modulistica che lo stesso agente ha pubblicato sul proprio sito internet; in tale dichiarazione il debitore deve anche scegliere il numero di rate in cui desidera effettuare il pagamento, entro il limite massimo di 18. Il c. 6 prevede che nella dichiarazione di cui al c. 5 il debitore indichi l'eventuale pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi in essa ricompresi e assuma l'impegno a rinunciare agli stessi, che, dietro presentazione di copia della dichiarazione e nelle more del pagamento delle somme dovute, sono sospesi dal giudice. L'estinzione del giudizio è subordinata al perfezionamento della definizione e alla produzione, nello stesso, della documentazione attestante i pagamenti effettuati; in caso contrario, il giudice revoca la sospensione su istanza di una delle parti. Secondo la CTR Calabria i citati commi, subordinando l'estinzione del giudizio alla prova dell'integrale corresponsione delle somme dovute per il perfezionamento della definizione agevolata, ma condizionando, in caso contrario, la revoca della sospensione del giudizio alla richiesta di parte e alla presentazione della sola dichiarazione, determinano, in caso di mancato perfezionamento della procedura, una paralisi infinita del processo. La conseguenza risulta essere una compromissione di vari principi costituzionali, tra cui quello di tutela dei crediti erariali e delle pubbliche finanze (artt. 53,81 e 97 c. 1 Cost.) e quello di garanzia del giusto processo (art. 111 Cost.). Dai commi in questione discenderebbe anche una ingiustificata disparità di trattamento tra i casi in cui un credito tributario sia stato affidato all'agente della riscossione e quelli in cui lo stesso credito sia fatto valere in giudizio dall'amministrazione titolare che, a differenza del primo, è obbligata a esigerne l'adempimento (artt. 3 Cost.). La Corte ricorda che la durata della sospensione è sempre commisurata al termine finale per l'adempimento, che viene scelto dal debitore tra quelli prefissati dall'art. 3 c. 2 DL 119/2018. Nonostante le innumerevoli proroghe finora disposte in materia a seguito del Covid-19, il termine massimo di rateizzazione (18) non è stato modificato. È, quindi, evidente che se il contribuente, come nel caso in questione, opta per il pagamento rateizzato anziché per quello in un'unica soluzione, non può ancora essersi verificata l'integrale corresponsione delle somme dovute, pertanto le disposizioni impugnate non trovano applicazione in quanto le sollevate illegittimità costituzionali risultano meramente ipotetiche e premature. Nessun versamento poteva essere fatto in attesa della definizione rateale del carico tributario controverso. Fonte: Corte Costituzionale, Sentenza 7 giugno 2022 n. 141
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