Un consorzio con attività esterna ha citato in giudizio due società consorziate chiedendo la loro condanna alla restituzione di una serie di somme corrisposte a titolo di “eccedenze premi sede” nell'ambito di un esercizio sociale.
Tali somme non potevano essere erogate, in quanto lo statuto vieta la distribuzione di utili alle consorziate; nè potevano essere considerate come ristorni, poiché nell'atto costitutivo nulla era stabilito sull'argomento.
Si precisa che il consorzio aveva quale scopo la stipulazione di contratti quadro per l'industria, finalizzati all'acquisto di prodotti a favore delle società consorziate. I “premi sede” erano somme riconosciute dai fornitori della grande industria al consorzio per l'attività di intermediazione con le consorziate.
La Corte d'Appello, in riforma della sentenza del Tribunale, ha condannato le società consorziate alla restituzione di quanto ricevuto dal consorzio, le quali hanno, poi, proposto ricorso in Cassazione.
Qualificazione giuridica della pretesa
Un primo motivo di gravame è l'errato inquadramento dell'azione proposta dal consorzio. Secondo le consorziate, infatti, l'attore non avrebbe avuto interesse ad agire per ottenere l'illegittimità, l'invalidità e nullità dell'erogazione delle somme di denaro, bensì l'annullamento o la nullità degli atti che sono il presupposto del pagamento.
Secondo la Suprema Corte, invece, spetta al giudice la qualificazione giuridica della domanda; la Corte d'appello, ha considerato l'azione come indebito oggettivo, in quanto il giudizio avviato dal consorzio ha avuto, fin dall'inizio, lo scopo di ottenere la restituzione di quanto pagato. Ciò sul presupposto che i pagamenti non erano assistiti da una delibera dell'assemblea che giustificasse la loro erogazione.
Delibera per l'attribuzione dei ristorni
Il consorzio aveva distribuito tali “eccedenze premi sede” a titolo di ristorno alle imprese consorziate; tuttavia, i pagamenti non scaturivano da alcuna delibera dell'assemblea dei soci.
Dall'analisi della documentazione e dei bilanci emerge che l'assemblea aveva approvato l'intera posta contabile che conteneva la determinazione amministrativa della distribuzione dei ristorni nell'ambito del bilancio di esercizio.
La Corte di Cassazione rileva come dalla semplice approvazione del bilancio nel suo complesso non può desumersi anche l'approvazione della distribuzione delle somme a titolo di ristorno, contenute all'interno di una posta specifica e non evidenziate.
I Giudici hanno, infatti, escluso che le consorziate potessero essere a conoscenza dell'effettiva distribuzione di tali ristorni in modo consapevole; ciò è dimostrato dal fatto che l'assemblea ha deliberato in modo espresso solo la destinazione dell'avanzo di gestione a riserva straordinaria e non anche quella dei ristorni.
Differenza tra utile e avanzo di gestione
I premi sede erogati al consorzio dai fornitori della grande industria sono proventi derivanti dalle prestazioni di servizi e calcolati sul fatturato generale di tutte le società consorziate: essi hanno quale scopo quello di coprire i costi di gestione del consorzio.
La Corte di Cassazione ha inteso valutare se tali “eccedenze dei premi sede”, derivanti dalla differenza dei premi stessi con i costi di funzionamento del consorzio, costituiscano degli utili.
In generale, è possibile affermare che l'utile è il risultato economico dell'attività aziendale; l'utile e l'avanzo di gestione non sono diversi, in quanto costituiscono la differenza positiva tra entrate e uscite nell'ambito di un esercizio.
Nelle società lucrative tale differenza è chiamata utile e misura, per l'appunto, l'utilità per i soci creata nell'ambito dell'esercizio, mentre negli enti non lucrativi è denominata avanzo di gestione e non costituisce una ricchezza per i soci.
I consorzi, in virtù del loro carattere mutualistico, dovrebbero realizzare il pareggio tra ricavi e costi, senza determinare alcun utile o avanzo di gestione; tuttavia, non è escluso che possa verificarsi la chiusura di un risultato d'esercizio in positivo e che, quindi, un consorzio possa produrre, nella sostanza, utili. In tal caso, vi era il divieto per il Consorzio, sulla base dello statuto, di distribuire l'utile determinatosi tra le imprese consorziate.
Qualificazione dei ristorni
Il ristorno rappresenta la possibilità di attribuire un rimborso ai soci di una parte del prezzo pagato per i beni e servizi acquistati dalla cooperativa, nell'ambito delle cooperative di consumo, oppure quale integrazione della retribuzione per le prestazioni lavorative effettuate dal socio, nelle cooperative di produzione e lavoro.
Tale forma di rimborso ai soci è prevista per le cooperative dagli artt. 2524 e 2545 sexies c.c. e, secondo la Corte, è ipotizzabile un'applicazione analogica anche per i consorzi che hanno finalità mutualistiche.
I ristorni si distinguono dagli utili in quanto non rappresentano una remunerazione del capitale, ma costituiscono lo strumento per attribuire ai soci il vantaggio mutualistico derivante dai rapporti di scambio tra la cooperativa e il socio.
Le eccedenze dei premi sede non possono essere assimilate ai ristorni, in quanto non riguardano i vantaggi derivanti dai rapporti di scambio intervenuti tra il consorzio e le consorziate, bensì benefici riconosciuti al consorzio per l'attività di promozione svolta dalle aziende fornitrici delle consorziate.
Conclusioni
La sentenza, al di là del caso specifico, puntualizza alcuni concetti. Innanzitutto, i consorzi con attività esterna, sebbene caratterizzati da finalità mutualistiche, possono realizzare utili di esercizio.
Altra precisazione interessante riguarda l'utile di esercizio e l'avanzo di gestione, non diversi nella sostanza, in quanto entrambe le definizioni rappresentano la differenza positiva tra ricavi e costi nell'ambito di un esercizio.
Infine, può essere applicata la tecnica del ristorno, in via analogica, anche ai consorzi con finalità mutualistiche, sebbene il legislatore abbia previsto le norme solo per le cooperative, purché ciò sia stabilito dall'atto costitutivo.