mercoledì 08/06/2022 • 09:05
Gli algoritmi, ovvero i “neuroni” dell’intelligenza artificiale, sono ormai la moderna espressione di una società estremamente “liquida”, influenzando, spesso anche inconsapevolmente, le nostre scelte e le nostre vite. Il pericolo di distorsioni cognitive causate dal pregiudizio (c.d. bias), anche nelle forme più evolute basate sul machine learning, induce a parlare di algocrazia, vale a dire la supremazia degli algoritmi sull’uomo. Rispetto ad un quadro normativo al momento assente (la tecnica è sempre più veloce del diritto), nel tentativo di collocare le problematiche sul binario di una intelligenza artificiale antropocentrica (secondo l’indirizzo della UE), l’algoretica può rappresentare un antidoto all’algocrazia?
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L'intelligenza artificiale (Artificial intelligence - AI) e gli algoritmi sono sempre più indiscussi protagonisti delle nostre vite e delle nostre scelte, molto spesso in maniera inconsapevole. In particolare, gli algoritmi sono strumenti invisibili che regolano le attività sui social network e sui motori di ricerca, le mappe di navigazione stradale, il traffico ai semafori, gli autovelox, la giustizia predittiva, l'assistenza sanitaria e gran parte del settore economico, dall'andamento dei mercati al calcolo dei prezzi o, ancora, ai sistemi di efficientamento delle decisioni in ambito commerciale e finanziario.
Il potere degli algoritmi sta nella loro capacità di aiutare l'uomo a risolvere problemi, perché permettono di arrivare a soluzioni più oggettive e più efficienti in tempi minori, motivo per cui, secondo il parere di Alessandro Curioni (vicepresidente di IBM Europe), non utilizzarli sarebbe un grave errore. Un utilizzo necessario, quindi, pur nella consapevolezza che gli algoritmi possono essere deviati, introducendo nel data set parametri modificati (ovvero coppie di input-output), con alterazioni anche impercettibili, ma che portano l'algoritmo a sviluppare distorsioni cognitive causate dal pregiudizio (c.d. bias), che, da un lato, sono difficili da indentificare e, dall'altro, possono produrre conseguenze estremamente pericolose.
Ecco, dunque, che si può arrivare a parlare di algocrazia. Un termine con il quale viene indicata (rectius additata) la supremazia degli algoritmi sull'uomo, ovvero un sistema di governance che utilizza la programmazione e gli algoritmi per la gestione della nostra socialità, dell'economia, della politica, dell'arte e, in generale, di tutte le varie manifestazioni umane. Un predominio maneggiato da coloro che generano e controllano gli algoritmi, ne conoscono i segreti, hanno la possibilità di modificarli e con essi possono interagire in via esclusiva. Una riflessione che non viene meno anche nel caso in cui gli algoritmi, o loro parti, siano sottoposti ad un processo di miglioramento basato sull'apprendimento automatico (c.d. machine learning), supervisionato o meno che sia. Tralasciando, perché dichiaro la mia incompetenza, le problematiche aggiuntive legate alla raccolta e alla gestione dei dati in ottica GDPR.
Abbiamo parlato all'inizio di scelte, le nostre scelte. Anche gli algoritmi scelgono, spesso sostituendosi all'umano. Ma allora qual è la differenza tra noi e loro? La risposta, ovvero l'elemento che ci differenzia, non può che essere l'etica. Il giudizio etico deve allora diventare anche computabile ed eseguibile dalla macchina. Questa è la lucida analisi di Paolo Benanti (frate francescano e docente di Teologia morale e bioetica presso la Pontificia Università Gregoriana), secondo il quale “l'algoretica diventa quella declinazione tra computabilità e criterio etico che ha bisogno di essere inclusa all'interno dei codici per poter dare alla macchina dei guard rail, all'interno dei quali potersi muovere evitando scelte di un certo tipo”.
Lo strato superiore rappresentato dall'algoretica deve essere dunque grattato da mani operose, affinché frammenti se ne distacchino e, diventando anche essi codici numerici, possano germogliare negli strati inferiori popolati dagli algoritmi. Quanto appena detto è indispensabile per collocare le nuove tecnologie in una prospettiva umanistica ed etica. Diversamente opinando, come sostenuto efficacemente da Monsignor Vincenzo Paglia (Presidente della Pontificia accademia per la vita), il rischio potrebbe essere quello di cambiamenti così radicali da mettere in forse la stessa dimensione umana.
Pertanto, l'algoretica può (se non deve) diventare la risposta all'algocrazia, anche precedendo l'inquadramento normativo - a tutt'oggi assente - rispetto a molti dei fenomeni cui abbiamo accennato. D'altronde, è un dato di fatto che il legislatore (non solo quello italiano, a dire il vero) non sempre è capace di intervenire alla stessa velocità del processo di sviluppo tecnologico, rendendo quindi necessario un intervento successivo. L'algoretica come processo che anticipa le norme, si è detto, ma anche un presidio continuo allorquando una cornice legislativa dovesse riuscire a regolamentare efficacemente strumenti così complessi e, al contempo, sfuggenti. Una circostanza, quest'ultima, nella quale non si ripone eccessiva fiducia, considerata la crescente incapacità dimostrata dal legislatore nel fare (ri)specchiare la realtà dei fatti nelle norme che dovrebbero regolarla.
Un vuoto normativo che non è sfuggito all'occhio dell'Unione europea, che, con la comunicazione COM(2018) 237 (Artificial Intelligence for Europe), ha lanciato un significativo programma di sviluppo, noto come “European AI Strategy”, animato da un approccio trasversale di tipo tecnologico, etico, legale e socio-economico, nonché dalla promozione di interventi coesi tra i vari Paesi, nella convinzione, del tutto condivisibile, che solo in questo modo le risposte possano essere più efficaci rispetto ad interventi slegati e isolati.
Il richiamato programma di sviluppo unionale si avvita perfettamente sul concetto di intelligenza artificiale antropocentrica (c.d. human-centric approach). Infatti, l'intelligenza artificiale deve essere intesa non come uno strumento fine a sé stesso, quanto piuttosto un mezzo propedeutico allo sviluppo e al benessere del genere umano. In questa cornice, si inseriscono ad opera della Commissione europea, da un lato, la costituzione nel 2018 di un Gruppo di esperti negli “Orientamenti etici per un'IA affidabile” e, dall'altro, la pubblicazione nel 2020 del Libro Bianco sull'Intelligenza Artificiale – Un approccio europeo all'eccellenza e alla fiducia.
Proprio al fine di poter ottenere un'intelligenza artificiale affidabile, nella ormai diffusa consapevolezza che gli algoritmi rivestono una fondamentale importanza dal punto di vista tanto giuridico quanto (soprattutto) etico, il Gruppo di esperti ha affiancato ad una proposta di tipo tecnico, mirata ad una maggiore trasparenza rispetto alle finalità, ai vincoli, ai requisiti e alle decisioni del sistema, una ulteriore raccomandazione di tipo organizzativo. Si tratta della proposta basata sull'utilizzo di figure professionali provenienti da contesti, culture e discipline diverse, come forma di garanzia per una più eterogenea e attendibile stratificazione delle opinioni.
In questa prospettiva, un ruolo fondamentale può essere svolto anche dai dottori commercialisti, la cui cultura e preparazione rappresentano un ponte nella riscoperta di un nuovo umanesimo laico tra sfera giuridica e sfera economica delle molteplici vicende del nostro tempo. Mai, come in questo caso specifico, la sinergia con altre professionalità e sensibilità non è però solo opportuna, ma strettamente necessaria.
In conclusione, l'applicazione dell'algoretica sarà sufficiente per esorcizzare i pericoli legati all'algocrazia? Può essere un antidoto o, piuttosto, rischia di essere solo un processo tautologico, posto che i principi etici applicati agli algoritmi dovranno essere pur sempre codificati e gestiti da uomini? Si potrebbe sostenere, volendo banalizzare, che il filtro dell'etica sarebbe sufficiente esistesse a monte, ovvero solo rispetto agli algocrati, risultando inefficace qualsiasi intervento successivo a valle. Non può essere questa però l'unica risposta. Occorre, invece, un ragionamento più complesso, nel cui perimetro all'algoretica deve essere riconosciuto un ruolo fondamentale.
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