mercoledì 08/06/2022 • 09:24
Gli obblighi di comunicazione dei datori di lavoro, in riferimento alle nuove forme organizzative e gestionali del rapporto di lavoro, sono stati adeguati ed ampliati tramite l'approvazione dello schema di decreto legislativo per l'attuazione della direttiva UE per la trasparenza e la prevedibilità delle condizioni di lavoro (Dir. UE 2019/1152), per garantire condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili e diritti minimi di informazione sulle condizioni di lavoro, cui adempiere nell'immediatezza della costituzione del rapporto di lavoro.
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Le nuove disposizioni intervengono sulla normativa esistente (D.Lgs. 152/97), che aveva dato attuazione alla precedente direttiva comunitaria in materia (Dir. CE 91/533), attuando le indicazioni provenienti dall'Unione europea tendenti a migliorare:
- l'accesso dei lavoratori alle informazioni concernenti le loro condizioni di lavoro;
- le condizioni di lavoro di tutti i lavoratori, con particolare riferimento alle tipologie di lavoro non standard, salvaguardando, allo stesso tempo, l'adattabilità e l'innovazione del mercato del lavoro;
- il rispetto delle norme in materia di condizioni di lavoro, mediante un rafforzamento delle misure di tutela a ciò preposte;
- la trasparenza nel mercato del lavoro, evitando di imporre oneri eccessivi alle imprese di qualsiasi dimensione.
L'ambito applicativo
L'ambito applicativo dei rinnovati obblighi informativi è sostanzialmente esteso a tutta la sfera del lavoro subordinato, a prescindere dalla natura pubblica o privata del rapporto, compreso il lavoro domestico, agricolo, il contratto di lavoro somministrato e quello intermittente, nonché, così come espressamente previsto, ai lavoratori marittimi e della pesca, settori per i quali è comunque fatta salva la disciplina speciale vigente.
Non contraddice questa impostazione l'estensione anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, perché questa è prevista se si tratta di prestazioni prevalentemente personali organizzate dal committente, o etero-organizzate dallo stesso, alle quali perciò si applica comunque la disciplina del rapporto di lavoro subordinato (art. 2 D.Lgs. 81/2015).
Esclusioni
Sono estranei all'applicazione della disciplina in via di introduzione, i rapporti di lavoro autonomo, ricadenti nell'ambito della disciplina di cui all'art. 2222 e s. c.c.; i rapporti di lavoro la cui durata non sia superiore a una media di 3 ore a settimana calcolate in un periodo di riferimento di quattro settimane consecutive; i rapporti di agenzia e rappresentanza commerciale.
Gli obblighi in esame non si applicano neppure ai rapporti di collaborazione prestati nell'ambito dell'impresa familiare. Restano estranei alla disciplina anche i rapporti di pubblico impiego sottratti alle regole generali del D.Lgs. 165/2001 (Magistrati, Forze dell'ordine, personale delle carriere prefettizia e diplomatica).
Sostanzialmente l'esclusione è coerente con la premessa riconduzione dei nuovi obblighi alla sfera del lavoro subordinato, alla quale è riservata la considerazione della esigenza delle tutele, mentre la sostanziale parità – presunta – nella determinazione delle condizioni contrattuali nei rapporti di lavoro autonomo, ha fatto ritenere estraneo a questa egida l'ambito del lavoro autonomo.
La comunicazione delle informazioni sul rapporto di lavoro
Lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri interviene sugli obblighi informativi già previsti dal D.Lgs. 152/97 aggiornandoli, in funzione della mutata realtà produttiva e dei nuovi tipi contrattuali. Così, oltre alle previsioni già presenti nella legislazione vigente, concernenti le informazioni fondamentali relative ai connotati del rapporto di lavoro (dati del datore, indicazione della sede di lavoro, indicazione delle mansioni, dati relativi alla retribuzione, ecc.), il nuovo art. 1 D.Lgs. 152/97, che sarà introdotto dall'art. 4 dello schema in discorso, unisce ad esempio l'obbligo di informare il lavoratore anche dei dati relativi agli altri datori in occasione di rapporti gestiti in regime di codatorialità, come ad esempio avviene nelle reti d'impresa o nelle assunzioni congiunte nelle cooperative agricole. Riguardo questo aspetto, la direttiva comunitaria rinvia in maniera generica alla normativa vigente, indicazione che lo schema di decreto legislativo ha recepito con particolare rigore, considerando che prescrive l'indicazione puntuale, al fine di garantire effettività della ricercata trasparenza e adempimento dell'obbligo informativo.
Anche la necessità dell'indicazione del luogo di lavoro, è estesa adesso alla informazione della possibilità di riconoscere al lavoratore la libertà di determinarlo, esigenza tipica della recente diffusione del ricorso a forme di lavoro agile.
L'obbligo ricomprende poi tutta una serie di informazioni essenziali all'informazione trasparente da garantire al lavoratore: periodo di prova (che non può superare i sei mesi), ferie, gestione dell'orario, preavviso, mansioni, contratto collettivo etc., fino alla indicazione degli istituti previdenziali e assicurativi destinatari dei versamenti contributivi e dei premi nell'interesse del lavoratore. A ben riflettere si tratta di informazioni che comunque già erano ritenute obbligatorie dalla normativa vigente, ma che adesso trovano una collocazione coordinata e risolvono alcuni dubbi interpretativi, come ad esempio quello relativo alla durata massima del periodo di prova.
La comunicazione deve avvenire prima dell'inizio del rapporto di lavoro, e può essere sia in formato cartaceo che elettronico. Il suo contenuto in ogni caso deve essere conservato dal datore e reso accessibile in qualsiasi momento su richiesta del lavoratore interessato.
La certezza del rapporto di lavoro e quella del diritto
Desta attenzione l'art. 10, che riconosce al lavoratore che abbia maturato un'anzianità di lavoro di almeno 6 mesi presso lo stesso datore di lavoro o committente e che abbia completato l'eventuale periodo di prova, la possibilità di chiedere che gli venga riconosciuta una forma di lavoro con condizioni "più prevedibili, sicure e stabili, se disponibile".
Il diritto, che è esercitabile anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro, a condizione che il lavoratore abbia preventivamente manifestato tale volontà entro 6 mesi dalla cessazione, impone al datore o al committente di fornire una risposta scritta motivata.
La previsione è dichiaratamente destinata a promuovere la transizione a forme di lavoro più prevedibili e sicure qualora il datore di lavoro abbia la possibilità di offrirle, ed intende limitare la durata delle forme di lavoro meno sicure, riconoscendo al lavoratore il diritto di richiedere un impiego più stabile al proprio datore di lavoro dopo un periodo di 6 mesi di servizio, anche non continuativo. In tal caso il datore di lavoro deve fornire una risposta motivata al lavoratore entro un mese, ma non è obbligato a concedere la transizione ad altra forma di lavoro. In caso di risposta negativa del datore, la disposizione prevede che il lavoratore possa presentare una nuova richiesta dopo che siano trascorsi almeno 6 mesi dalla precedente.
Premessa la condivisibilità per la promozione di forme di lavoro stabili, colpisce il meccanismo adottato, che per la genericità dei presupposti richiesti, rischia di risolversi in un mero orpello burocratico, dalla scarsa efficacia concreta, quando non occasione di contenzioso, che potenzialmente pare potersi generare disquisendo sul concetto di disponibilità o possibilità della pretesa da parte del lavoratore.
Che la certezza del diritto, e la celerità della risoluzione delle controversie, sia un interesse fondamentale da perseguire, è peraltro confermato dalla previsione dell'art. 12 dello schema di decreto legislativo, che promuove tutte le soluzioni di risoluzione alternativa delle dispute in materia di lavoro anche per le violazioni dei diritti in via di introduzione.
In linea di considerazione generale può apprezzarsi, come la legislazione vigente non risulti impreparata ai dettàmi comunitari, risolvendosi, l'intervento in esito alla nuova direttiva comunitaria, in un restyling della normativa vigente, aggiornata alle più recenti novità organizzative del lavoro subordinato, ma anche in una conferma dell'attualità dei princìpi già contenuti e disciplinati.
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