
mercoledì 24/12/2025 • 06:00
Le sacche di intermediazione illecita di manodopera, dentro le quali si nascondono i fenomeni più gravi di sfruttamento dei lavoratori, presentano modalità operative sempre più sofisticate, attraverso le quali vengono aggirate le norme a tutela delle condizioni dei lavoratori coinvolti.
Contesto giuridico e sociale di riferimento
Le sacche di intermediazione illecita di manodopera, dentro le quali si nascondono i fenomeni più gravi di sfruttamento dei lavoratori, presentano modalità operative sempre più sofisticate, attraverso le quali vengono aggirate le norme a tutela delle condizioni dei lavoratori coinvolti. Il fenomeno, inizialmente comune nel settore edile e della logistica, più recentemente ha visto coinvolti ambiti che si consideravano d'eccellenza anche per questi aspetti, come quello della moda.
Dal punto di vista giuslavoristico, tale illecito si configura quando l'appaltatore o il subappaltatore risultano privi di una reale autonomia organizzativa e la loro attività, sostanzialmente estranea ad una forma imprenditoriale, si risolve in una fornitura di forza lavoro, senza assunzione di un effettivo rischio di impresa, in violazione dei requisiti sostanziali dell'appalto, che è la figura contrattuale utilizzata per dissimulare le irregolarità.
Talvolta, anche quando l'esercizio dell'attività d'impresa risulta effettivo, le condizioni dei lavoratori sono tali da violare in ogni caso le prescrizioni in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, nonché quelle di equità del trattamento giuridico ed economico imposto dalla legge per tutti i lavoratori coinvolti in una filiera di appalto.
In simili contesti, la distorsione dell'istituto dell'appalto si manifesta sotto diverse forme, tutte comunque significativamente gravi: dalla cessione di lavoratori tra società solo formalmente diverse – spesso cooperative – che applicano contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni sindacali non rappresentative, sino alla sistematica evasione contributiva e fiscale.
A tali fenomeni si accompagnano, pressoché sistematicamente, ulteriori violazioni quali lavoro nero, superamento sistematico dei limiti di orario, condizioni di sfruttamento che, nei casi più gravi, realizzano condotte riconducibili al caporalato.
Intervento repressivo dell'autorità giudiziaria
Negli ultimi anni sono stati numerosi gli interventi, anche eclatanti, delle Procure della Repubblica, INPS, INAIL e INL, che hanno intensificato l'attività di controllo sulla legittimità degli appalti e dei subappalti, facendo ricorso anche a strumenti di particolare impatto, come sequestri preventivi e misure di prevenzione patrimoniali. È di questi giorni l'ennesima operazione da parte della Procura di Milano, che vede coinvolti alcuni tra i marchi più famosi della moda e dalla maggiore reputazione dei loro brand. Alcuni, nel recente passato, sono stati destinatari della misura di prevenzione dell'amministrazione giudiziaria, ritenuti partecipi – anche solo colposamente – di schemi di sfruttamento fondati sull'esternalizzazione di fasi produttive a condizioni non conformi alla normativa, con conseguente riduzione dei costi e alterazione della concorrenza. Tale approccio, sebbene efficace sotto il profilo repressivo, ha tuttavia evidenziato criticità sistemiche, legate alla selettività dell'azione penale e al rischio di disparità di trattamento tra operatori economici.
In ogni occasione in cui viene accertata l'illiceità dell'appalto e, quindi, l'irregolarità dei rapporti di lavoro e la violazione dei diritti dei lavoratori coinvolti, le conseguenze non si riducono esclusivamente all'ambito giuslavoristico, con la costituzione del rapporto di lavoro in capo alla committente, la tenutezza di questa in via solidale e sanzioni amministrative – ma investono pure profili fiscali e penali, con contestazioni ex art. 603-bis c.p. per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, oltre alle pretese di ristoro dei lavoratori, di natura retributiva e contributiva.
Dalla repressione alla prevenzione
In questo contesto si colloca la scelta del legislatore di affiancare all'azione repressiva una vera e propria legislazione di prevenzione. Sono diversi gli esempi che possono dare atto di tale intenzione dichiarata.
Al tradizionale regime di solidarietà che vede impegnato i committenti con gli appaltatori e subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto (art. 29, co.1, d.lgs. 276/2003), si aggiunge la generale garanzia, che prescinde dalla illiceità dell'appalto, che impone che al personale impiegato nell'appalto di opere o servizi e nel subappalto sia riconosciuto un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l'attività oggetto dell'appalto e del subappalto (art. 29, co. 1-bis, d.lgs. 276/2003), nell'ottica di una misura appunto di prevenzione, di garanzia di condizioni identiche per i lavoratori coinvolti in una filiera di appalti, prima ancora ed a prescindere dalla sussistenza di motivi di illegittimità dei rapporti contrattuali e della genuinità delle imprese coinvolte.
Quando invece il regime dell'appalto è accertato essere in frode alla legge, perché risulta privo dei requisiti tipici che dimostrano l'organizzazione imprenditoriale e l'assunzione del conseguente rischio, sia l'utilizzatore che il somministratore (di fatto, quindi illecito) sono puniti con la pena dell'arresto fino a un mese o dell'ammenda di euro 60 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda è aumentata fino al sestuplo (art. 18, co. 5-bis, d.lgs. 276/2003).
Nei casi di maggiore gravità, quando si accerta il reclutamento di manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, o comunque la sua utilizzazione, assunzione o impiego, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno, si configura il reato di caporalato, punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, salvo che il fatto non costituisca reato più grave. La norma del Codice penale individua le Condizioni che consentono di delineare la configurazione del caporalato:
Costituiscono aggravante specifica e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà: il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre; che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa; l'aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.
Decreto sicurezza sul lavoro
Nella consapevolezza della insufficienza del solo momento repressivo, comunque necessario ai fini di interesse generale della garanzia della cogenza effettiva delle norme poste a tutela delle condizioni dei lavoratori, il legislatore ha introdotto norme promozionali dei comportamenti virtuosi. Con l'art. 29 del d.l. n. 19/2024, convertito con modificazioni dalla legge n. 56/2024, è stata introdotta la c.d. “white list”, per effetto della quale, all'esito di accertamenti ispettivi in materia di lavoro e di legislazione sociale, ivi compresa la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, in caso non emergano violazioni o irregolarità, l'Ispettorato nazionale del lavoro rilascia un attestato e iscrive, previo assenso, il datore di lavoro in un apposito elenco informatico consultabile pubblicamente, tramite il sito internet istituzionale del medesimo Ispettorato, e denominato «Lista di conformità INL», nel rispetto delle disposizioni di cui al regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016.
A seguito del rilascio dell'attestato, e sempre che non intervengano nuovi accertamenti di illeciti, per un periodo di dodici mesi dalla data di iscrizione nella Lista di conformità INL, il datore di lavoro è considerato a basso rischio di irregolarità e l'Ispettorato nazionale del lavoro, nell'orientare la propria attività di vigilanza, può non procedere a ulteriori verifiche nelle materie oggetto degli accertamenti che hanno determinato l'iscrizione nella Lista di conformità INL, fatte sempre salve le verifiche in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, le eventuali richieste di intervento, nonché le attività di indagine disposte dall'autorità giudiziaria.
Con il “decreto sicurezza” (art. 3, d.l. 159/2025), l'Ispettorato nazionale del lavoro è sollecitato, nell'orientare la propria attività di vigilanza per il rilascio dell'attestato di cui sopra, di disporre in via prioritaria i controlli di competenza nei confronti dei datori di lavoro che svolgono la propria attività in regime di subappalto, pubblico o privato. Ciò al fine, evidente, di prevenire, a prescindere da eventuali sospetti, possibili criticità nell'ambito di una organizzazione come quella delle filiere degli appalti che, fisiologicamente, produce effetti di parcellizzazione dei centri di imputazione ed atomizzazione delle responsabilità, per cui il recupero alla legalità di quelle aree e, ancor prima, il loro controllo diffuso e preventivo, per dissolvere il dubbio di eventuali illeceità, risulta opportuno nell'ambito di un fenomeno oggettivamente attuale ed arginabile attraverso innanzi tutto un'opera di precauzione, da accompagnare al doveroso e classico corollari di controlli ed apparato sanzionatorio.
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Pasquale Staropoli
- AvvocatoRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione

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