
giovedì 13/11/2025 • 06:00
La società che impone l'uso della lingua inglese durante le negoziazioni sindacali, senza offrire servizi di interpretariato ma solo soluzioni di lungo termine (es. corsi di lingua), pone un limite oggettivo alla capacità negoziale dei delegati: lo ha stabilito la Cassazione con ordinanza 31 ottobre 2025 n. 28790.
La società che impone l'uso della lingua inglese durante le riunioni della Delegazione Speciale di Negoziazione (DSN) nell'ambito di un Comitato Aziendale Europeo (CAE) realizza una condotta antisindacale se ciò determina una limitazione alle capacità di comunicazione dei delegati, chiamati a rappresentare i lavoratori, e impedisce la realizzazione di quello che deve essere un dialogo paritario ed effettivo con la Società: di questo tema si è occupata la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 28790 del 31 ottobre 2025.
Il caso
Il contenzioso traeva origine dal ricorso avviato presso il Tribunale di Lucca da alcune sigle sindacali, nei confronti della società – una multinazionale della produzione della carta – al fine di far accertare l'antisindacalità della condotta tenuta da quest'ultima, che aveva imposto l'organizzazione degli incontri della DSN da remoto, con esclusivo uso della lingua inglese. La società, risultata soccombente in secondo grado, proponeva ricorso per cassazione.
La decisione
La Suprema Corte, non riscontrando alcuna criticità con riguardo all'utilizzo del sistema degli incontri tramite videoconferenza – essendo ritenuta una modalità di comunicazione "adeguata" – ha invece sindacato circa l'imposizione, da parte della società, dell'utilizzo esclusivo della lingua inglese per le riunioni sindacali, senza l'ausilio del servizio di interpretariato; tale comportamento, nello specifico, è stato qualificato dalla Suprema Corte come condotta antisindacale, in quanto ciò rappresenterebbe, nel concreto, un rifiuto all'apertura dei negoziati.
La Suprema Corte, in particolare, rileva la violazione della disciplina in tema di CAE di cui al D.Lgs. 113/2012, ricordando che:
La società avrebbe violato le norme sopra menzionate imponendo l'uso di una specifica lingua ai componenti della DSN senza investire su strumenti di ausilio “a breve termine” – ossia il servizio di interpretariato – bensì proponendo solo una soluzione “a lungo termine” (ossia, i corsi di lingua inglese), non funzionale allo scopo – previsto dalla norma – di consentire nell'immediato un sereno, trasparente ed adeguato confronto sindacale. Tale atteggiamento aziendale rappresenta, secondo la Corte, un'oggettiva limitazione alla capacità di dialogo e di confronto con i rappresentanti dei lavoratori e limita la loro capacità negoziale, perché non consente alla DSN di espletare adeguatamente il suo mandato.
In tal senso, la negoziazione verrebbe impedita perché:
Queste limitazioni determinano una vanificazione del valore costruttivo dello scambio tra le parti, lavoratori e datore di lavoro, che costituisce il fulcro della dell'intera procedura collettiva. Dunque, impedire l'utilizzo di un interprete lede, ad avviso della Corte, la garanzia "comunicativa", assai rilevante in un contesto normativo che ha per precipuo obiettivo quello di "migliorare il diritto all'informazione e alla consultazione dei lavoratori ".
Riflessi transnazionali
La decisione assume particolare rilievo in un contesto transnazionale, dove la diversità linguistica non può rappresentare un ostacolo, bensì deve essere un elemento da gestire con strumenti idonei a garantire l'uguaglianza sostanziale tra le parti.
La Corte chiarisce, inoltre, che la normativa nazionale e quella europea non impongono l'uso di una lingua specifica, ma richiedono piuttosto che la comunicazione e la negoziazione siano effettivamente garantite a tutti i membri in sede di negoziazione, anche attraverso strumenti di interpretariato. La scelta della società, volta a sostituire tale servizio con meri strumenti didattici per l'apprendimento dell'inglese, si rivela inadeguata e contraria alla ratio della disciplina, e pertanto costituisce una effettiva condotta antisindacale.
In definitiva, la Cassazione afferma un principio fondamentale, che può estendersi alla generalità dei rapporti tra le società e i sindacati: il diritto all'informazione e alla consultazione dei lavoratori, quale espressione della libertà sindacale, implica anche il diritto a una comunicazione realmente accessibile. La comunicazione è un presupposto imprescindibile per un dialogo sociale autentico e costruttivo, che non può essere in alcun modo limitata, soprattutto nei contesti aziendali con profili internazionali.
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Marco Proietti
- Avvocato in RomaRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione

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