martedì 23/09/2025 • 06:00
Il compenso forfetario per lavoro straordinario, corrisposto per lungo tempo, perde la sua originaria funzione per assumerne una diversa e divenire un superminimo che fa parte della retribuzione ordinaria e non è riducibile unilateralmente dal datore di lavoro. A confermarlo è la Cassazione con l'ordinanza n. 24902/2025.
Nel caso in esame, la Corte d'appello territorialmente competente aveva confermato la sentenza di primo grado con cui era stato ripristinato il diritto di un lavoratore a vedersi riconosciuto dalla propria datrice di lavoro il pagamento mensile del superminimo e restituito quanto gli era stato trattenuto.
Secondo i giudici di merito le somme erogate dalla società in busta paga – apparentemente senza alcuna ragione – trovavano il loro fondamento in pregressi ordini di servizio che avevano introdotto una forfetizzazione del lavoro straordinario, consolidando nel tempo tale trattamento economico sotto forma di superminimo.
Avverso la decisione la società soccombente proponeva ricorso in cassazione, sostenendo che le somme erogate erano, in realità, compensi per lavoro straordinario.
La società contestava, altresì, che il giudice di merito si fosse pronunciato in modo improprio su una domanda di pagamento per lavoro straordinario, sebbene non esplicitamente avanzata, essendosi il lavoratore limitato a chiedere il pagamento del superminimo.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 24902/2025, rileva che il lavoratore, nel ricostruire l'origine dell'emolumento, aveva sostenuto che (i) fosse stato introdotto dalla società per compensare forfettariamente il personale le cui prestazioni non erano soggette ad una limitazione oraria e (ii) la sua corresponsione si fosse poi stabilizzata per più anni. Tant'è che l'emolumento era stato denominato "superminimo", in tal modo mantenendo inalterato il proprio valore economico e sganciandosi dalla ratio originaria della sua attribuzione.
Pertanto, il richiamo operato dalla società alla sua natura di “compenso per lavoro straordinario” era riferibile soltanto alla fase genetica ed iniziale dell'emolumento. Con il trascorrere del tempo, tale qualificazione aveva perso rilevanza, essendo la relativa voce retributiva divenuta, a tutti gli effetti, un superminimo individuale. Essa si fondava, tra l'altro, sulla sua erogazione pacifica e continuativa per oltre vent'anni; circostanza che ne aveva confermato la stabilizzazione e la definitiva estraneità rispetto a una funzione meramente compensativa dello straordinario.
Secondo la Corte di Cassazione, la sentenza impugnata risulta corretta laddove ha chiarito che il riferimento al lavoro straordinario contenuto nel ricorso introduttivo non mirava al riconoscimento di una specifica voce retributiva a tale titolo, ma era inteso unicamente a ricostruire la genesi dell'emolumento, ossia le motivazioni che avevano indotto la società a procedere alla sua forfetizzazione.
In tale contesto - continua la Corte di Cassazione - risulta pienamente condivisibile il percorso argomentativo seguito dal giudice di merito che, dopo aver attribuito carattere di stabilità all'emolumento in questione, lo abbia ritenuto pienamente assimilabile ad un superminimo individuale, e non più qualificabile come indennità per lavoro straordinario.
Si tratta di una statuizione in linea con l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale “in tema di lavoro straordinario, il compenso forfettario della prestazione resa oltre l'orario normale di lavoro accordato al lavoratore per lungo tempo, ove non sia correlato all'entità presumibile della prestazione straordinaria resa, costituisce attribuzione patrimoniale che, con il tempo, assume funzione diversa da quella originaria, tipica del compenso dello straordinario, e diviene un superminimo che fa parte della retribuzione ordinaria e non è riducibile unilateralmente dal datore di lavoro" (cfr. Cass. n. 634037/2025).
Contrariamente a quanto sostenuto dalla società nel tentativo di giustificare il proprio perdurante inadempimento, non vi è stata alcuna pronuncia su una prestazione (superminimo) non richiesta in luogo di altra (straordinario) invece domandata.
Il Giudice si è espresso su somme specificamente rivendicate a titolo di superminimo, la cui genesi è da ricondurre alla forfettizzazione di prestazioni lavorative eccedenti l'orario ordinario.
La qualificazione della somma come superminimo - sebbene derivante da prestazioni straordinarie - non muta né l'oggetto della domanda né il thema decidendum, che è rimasto incentrato su quanto effettivamente richiesto dal lavoratore.
In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposta dalla società, condannandola al pagamento delle spese di lite.
Fonte: Cass. n. 24902/2025
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