martedì 23/09/2025 • 06:00
Una riflessione sul valore strategico delle specializzazioni nella professione del commercialista e sulla necessità di un’azione sindacale capace di riconoscerle, tutelarle e valorizzarle. Il contributo, in preparazione al Convegno Nazionale UNGDCEC di Cagliari del 2 e 3 ottobre 2025, propone un modello di rappresentanza inclusivo, che tenga insieme tutte le anime della categoria — da quella classica a quelle emergenti.
In vista del Convegno Nazionale UNGDCEC di Cagliari del 2 e 3 ottobre 2025, siamo partiti con il racconto della necessità di superare uno stereotipo: quello di una professione piatta, tutta uguale, con la necessità quindi di cambiare la nostra comunicazione. L’evoluzione della nostra categoria non passa però solamente dalla comunicazione: passa anche — e soprattutto — dalla capacità di riconoscere, valorizzare e rappresentare i volti autentici della professione, perché la verità è che non esiste un solo modello di commercialista.
Oggi la professione è diventata un vero ecosistema, fatto di storie, competenze, percorsi diversi.
Ci sono colleghi che operano nell’ambito più tradizionale della fiscalità, altri nel controllo di gestione, altri ancora in ambiti come la sostenibilità, la finanza agevolata, la transizione digitale, il diritto della crisi, l’internazionalizzazione. C’è chi si occupa di start-up innovative e chi accompagna le imprese familiari da decenni, chi collabora con enti pubblici e chi presidia mercati di nicchia.
Tutto questo non è dispersione. È ricchezza. La varietà dei profili professionali non è un problema da gestire, ma un capitale da riconoscere. Ogni specializzazione è un modo diverso — ma ugualmente legittimo e prezioso — di interpretare la nostra professione, ogni percorso verticale è un linguaggio in più con cui creare valore per gli stakeholders. L’uniformità non è più un valore: il futuro appartiene agli ibridi e a chi saprà rappresentare la complessità con coerenza.
Valorizzare la pluralità non significa abbandonare le nostre fondamenta.La specializzazione classica — quella costruita sulla fiscalità, sulla contabilità, sul rapporto quotidiano con il cliente — ha sempre piena dignità. Non si tratta di contrapporre “tradizione” e “innovazione”, ma di uscire dalla logica binaria che vede un unico modo “giusto” di svolgere la professione e tutti gli altri sbagliati. Specializzarsi non vuol dire aderire a una moda, ma vuol dire scegliere più ambiti da incrociare tra loro, investirci tempo e formazione, costruirsi una reputazione e restare coerenti con i bisogni che si vogliono presidiare: crediamo fortemente che il valore venga misurato sulla profondità della preparazione e non sull’etichetta.
Da un punto di vista comunicativo, dobbiamo anche provare a liberare la parola “specializzazione” dal rischio di essere percepita come élitaria o divisiva: specializzarsi è un’opportunità di visibilità, riconoscibilità, efficacia. Ma non basta sapere di essere specializzati, bisogna anche poterlo dimostrare e vederlo riconosciuto, dentro e fuori dalla categoria. Oggi, molti colleghi che hanno costruito percorsi verticali non trovano corrispondenza nei modelli organizzativi, negli albi, nei tariffari, nella rappresentanza. Il rischio è che la professione si divida tra chi ha una specializzazione riconosciuta — spesso perché già regolata — e chi invece opera in settori nuovi, ibridi, non ancora inquadrati. Se vogliamo valorizzare davvero la pluralità, servono strumenti istituzionali, giuridici e culturali. Alcuni spunti concreti possono essere:
Non si tratta solo di creare “tessere” per nuove etichette, si tratta di rendere la professione permeabile alla realtà che cambia, di dire, con coerenza, che ogni collega ha il diritto di essere riconosciuto per il valore che crea — indipendentemente dal settore in cui opera. Tutto questo, però, non accadrà da solo. Se vogliamo dare forza alla pluralità professionale, serve una strategia chiara e lungimirante con l’obiettivo di superare una visione difensiva della professione, che si limita a contenere le spinte esterne, per passare a una visione progettuale, propositiva, moderna, perché tutto questo non è teoria, ma la nostra quotidianità. Siamo una generazione che ha imparato a costruirsi uno spazio in mercati in trasformazione, abbiamo scelto con coraggio di occuparci di materie nuove, spesso senza una mappa, abbiamo faticato a farci riconoscere, ma non abbiamo rinunciato a specializzarci.
Abbiamo quindi il dovere — oggi — di trasformare questa esperienza in azione. Oltre la maschera non significa solo cambiare il racconto esterno, vuol anche dire costruire un’identità collettiva capace di includere tutte le sue sfumature. Una professione che sa parlare con voce unica, ma con tanti accenti diversi,
che non difende la propria storia negando il presente, ma che rilegge il passato alla luce del futuro, che si dà gli strumenti per valorizzare ciascuno, senza perdere coerenza, rigore, serietà.
È questo il volto che vogliamo mostrare a Cagliari e in ogni spazio pubblico dove si parla di economia, lavoro, professioni; un volto plurale, ma riconoscibile, competente, ma aperto, specializzato, ma unito, vale a dire il volto della professione che ci somiglia di più. Ed è questo il momento di mostraci senza maschere.
Lefebvre Giuffrè è presente al Convegno Nazionale UNGDCEC, 2-3 ottobre 2025 a Cagliari. Ti aspettiamo allo Stand n. 6 per scoprire insieme le nuove soluzioni per i professionisti fiscali. |
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