sabato 20/09/2025 • 06:00
Il trust, benché privo di soggettività a fini civilistici, costituisce soggetto passivo dell'IRES. La normativa vigente prospetta varie incertezze e anacronismi, specie in relazione all'applicabilità del principio di trasparenza ed al rapporto con la disciplina dell'IVA e delle altre imposte.
Il trust quale soggetto passivo dell'IRES
Secondo consolidata giurisprudenza, il trust è privo di soggettività a fini civilistici e non ha capacità di essere parte di rapporti giuridici di diritto privato. Esso è un soggetto “assolutamente inesistente”, perché “non è un ente dotato di soggettività giuridica, bensì un insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato e formalmente intestati al trustee (che è l'unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, non quale legale rappresentante, ma come colui che dispone del diritto)” (Cass. 34075/2024. Conformi: Cass. 10405/2025 e Cass. 1826/2022; Cass. 2043/2017).
Con la modifica dell'art. 73 TUIR disposta dall'art. 1 c. 74 lett. a) e b) L. 296/2006, tuttavia, il legislatore ha incluso il trust tra i soggetti passivi dell'IRES, collocandolo – a seconda della tipologia – nelle categorie degli enti commerciali o non commerciali residenti o delle società e degli enti non residenti. Si tratta di determinazione perfettamente legittima, perché la soggettività di diritto tributario non coincide con quella di diritto privato ed il legislatore è libero di assoggettare ad obblighi fiscali e contributivi le organizzazioni che, pur prive di capacità nei rapporti civilistici, costituiscano centri di imputazione unitaria ed autonoma del presupposto impositivo (v. art. 8 TUID 645/58 abr.).
L'inserimento del trust tra i soggetti passivi dell'IRES lascia tuttavia aperte varie questioni che, pur non risultando attualmente oggetto di rilevanti vertenze, appaiono meritevoli di analisi.
Condizioni e limiti di applicazione del principio di trasparenza
In primo luogo, giova considerare che per la sua qualità di soggetto passivo IRES il trust è assoggettato a tutti gli obblighi strumentali di tenuta della contabilità e di presentazione della dichiarazione annuale [cfr. art. 13 DPR 600/73], ma non rappresenta per ciò stesso il contribuente obbligato al pagamento dell'imposta sul reddito prodotto. Infatti, l'art. 73 c. 2 TUIR, dispone che “Nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari […]”. In tali casi il trust costituisce un semplice “schermo” interposto, che cela l'effettivo titolare del reddito, su cui grava l'obbligo contributivo secondo il principio di trasparenza.
L'applicazione di tale regola non è priva di ambiguità. Al fine di individuare il sistema di tassazione applicabile, il modello di dichiarazione impone di specificare se il trust va qualificato come “trasparente”, “opaco” o “misto”; da tale qualificazione deriva poi l'imputazione del reddito ai beneficiari, al trust stesso, o ad entrambi. Tuttavia, è vano ricercare un criterio di astratto diritto per stabilire la categoria di appartenenza del trust, similmente a quanto avviene per le società.
Invero, le società sono “opache” o “trasparenti” per natura, in virtù delle scelte operate dal legislatore per definire i criteri di imputazione del loro reddito ed il conseguente regime fiscale in base alla loro struttura. In altri termini, esse sono soggetti “opachi” o “trasparenti” per le loro qualità intrinseche, perché il loro reddito è imputato ad esse stesse o ai soci per regola generale.
Il trust invece, in quanto tale, non è né opaco, né trasparente, e tanto meno misto. La sua qualificazione è puramente tautologia: lo rileva la Circ. AE 6 agosto 2007 n. 48/E, che ha introdotto la suddetta classificazione, secondo cui esso si considera “trasparente” se la tassazione avviene “per trasparenza”; “opaco” se è effettuata direttamente a suo carico; “opaco e trasparente” insieme, e perciò “misto”, qualora parte del reddito sia accantonata a capitale e perciò tassata a carico del trust, e parte sia invece attribuita ai beneficiari e perciò tassata per trasparenza nei loro confronti. Non si tratta perciò di stabilire quale sia la qualifica del trust per desumere il sistema di tassazione; all'opposto, la sua qualificazione dipende dal sistema di tassazione concretamente applicabile, che rappresenta l'elemento indipendente da individuare in via prioritaria, ai sensi del predetto art. 73 c. 2 TUIR ed in base agli elementi di fatto offerti dalla fattispecie.
Il problema si complica perché la norma citata, che prevede l'applicabilità del principio di trasparenza qualora “i beneficiari [,,,] siano individuati”, non offre una disciplina organica ed esaustiva. Un'interpretazione logica e costituzionalmente orientata impone di ritenere che i beneficiari del trust, ancorché individuati, non possono ritenersi obbligati al pagamento delle imposte relative ai redditi prodotti che rimangano nel suo patrimonio e non siano distribuiti, difettando il requisito della capacità contributiva. Occorre ritenere piuttosto che la norma dà applicazione alla regola contenuta nell'art. 37 c. 3 DPR 600/73, secondo cui devono essere attribuiti all'effettivo titolare i redditi che appaiono intestati ad altro soggetto; con la conseguenza che dovranno essere imputati ai beneficiari individuati e tassati a loro carico i soli redditi formalmente intestati al trust, ma ad essi spettanti nel periodo considerato secondo le norme statutarie e le determinazioni del trustee.
Di ciò dà conferma la Circ. AE 48/2007, per la quale non tutto il reddito prodotto dal trust deve essere tassato a carico dei beneficiari individuati, ma solo quello che essi abbiano diritto di percepire in base alle previsioni dell'atto costitutivo o alle determinazioni del trustee. Infatti, dopo aver delineato la figura del trust “misto”, essa afferma che il trustee, “dopo aver determinato il reddito del trust, […] indicherà la parte di esso attribuito al trust - sulla quale il trust stesso assolverà l'IRES - nonché la parte imputata per trasparenza ai beneficiari - su cui questi ultimi assolveranno le imposte sul reddito”.
In senso analogo è orientata la giurisprudenza della S. Corte, secondo cui: “Dal momento che il presupposto di applicazione dell'imposta è il possesso di redditi, per ‘beneficiario individuato' si deve intendere il beneficiario di reddito individuato, ovvero il soggetto che ha in rapporto al reddito una capacità contributiva attuale. Pertanto, occorre che il beneficiario non solo sia previamente individuato, ma che risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l'assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza” (Cass. 7973/2021).
Queste interpretazioni consentono di meglio definire la regola per definire i criteri di imputazione e di tassazione del reddito, che rimangono però affidati a fatti e circostanze poco obiettivi e largamente influenzati da scelte soggettive.
La soggettività tributaria ai fini dell'IVA e delle altre imposte indirette
Altro tema rilevante è quello del rapporto con la disciplina delle altre imposte. Al riguardo si ritiene che il riconoscimento della qualità di soggetto passivo IRES del trust, specie quale ente commerciale, dovrebbe logicamente comportare l'attribuzione di un'analoga soggettività ai fini IVA con riguardo alle operazioni compiute nell'esercizio dell'attività. In questo senso depongono le istruzioni di prassi dell'Agenzia, che nella Circ. AE 48/2007 afferma che: “il trust residente dovrà necessariamente dotarsi di un proprio codice fiscale e, qualora eserciti attività commerciale, di una propria partita IVA”.
In senso contrario è tuttavia orientata la giurisprudenza, nel presupposto che il conferimento della soggettività a fini IRES ha carattere eccezionale e non si estende oltre i confini delle II.DD. Secondo la S. Corte, “il riconoscimento, ex art. 73 c. 1 TUIR del trust quale soggetto passivo Ires (…), benché privo di soggettività giuridica di tipo civilistico, non comporta una sua capacità generalizzata ad essere soggetto passivo anche di altri tributi, atteso che tale eventuale applicazione estensiva contrasterebbe con il divieto, posto dall'art. 14 delle preleggi, di interpretazione analogica delle norme eccezionali” (Cass. 3986/2021). Per queste ragioni, si è tradizionalmente affermato che le altre imposte indirette (quali imposte ipotecarie e catastali; registro; successione e donazione), se ed in quanto dovute, sono a carico non del trust, ma (a seconda dei casi) del disponente o del trustee (cfr. Cass. 22187/2022; Cass. 7973/2021; Cass. 3986/2021), analogamente a quanto avviene per l'IMU e gli altri tributi locali (cfr. Cass. 10405/2025; Cass. 16550/2019).
Con Cass. 20808/2021 e Cass. 17563/2021 questo indirizzo è stato esteso anche all'IVA, con l'anacronistico effetto di scindere i rapporti fiscali relativi alle medesime operazioni, compiute nell'esercizio della stessa attività, con riferimento ai diversi tributi di cui costituiscono il presupposto. La materia appare perciò meritevole di attenta revisione, nella prospettiva di conseguire una disciplina più organica e coerente.
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Carlo Bertoncello
- Dottore Commercialista e Partner Bertoncello BPARimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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