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martedì 03/06/2025 • 06:00

Lavoro Dalla Cassazione

Recesso per mancato superamento della prova: natura recettizia

Il recesso per mancato superamento della prova, pur essendo ad nutum, è atto recettizio e deve essere comunicato al lavoratore entro il termine di prova; in mancanza, l'assunzione diventa definitiva. Lo ha chiarito la Cass. 11576/2025.

di Elena Cannone - Avvocato

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  • Tempo di lettura 8 min.
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Nel caso in esame, un lavoratore impugnava giudizialmente il recesso intimato dalla sua datrice di lavoro per mancato superamento del periodo di prova.

In particolare, il lavoratore eccepiva di essere stato assunto con contratto di lavoro a tempo determinato, decorrente dal 10 giugno 2019 al 31 dicembre 2019, a cui era accluso un periodo di prova di trenta giorni e di avere ricevuto il 19 luglio 2019 la comunicazione di recesso datata 15 luglio 2019.

Il lavoratore chiedeva al Tribunale di dichiarare illegittimo il recesso in quanto intimato dopo la scadenza del periodo di prova, avendo lavorato nelle prime due settimane anche nelle giornate di sabato. Pertanto, al 19 luglio 2019 (data di ricezione della lettera) aveva già svolto 32 giorni di lavoro effettivo.

L'adito Tribunale, in fase sommaria, rigettava l'impugnativa del licenziamento mentre dichiarava inammissibile l'opposizione ex L. 92/2012.

La Corte di appello territorialmente competente, con propria sentenza e in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava inefficace il recesso, in quanto portato a conoscenza del lavoratore dopo la scadenza del periodo di prova (il 19 luglio 2019), quando la società aveva provveduto alla consegna a mano del plico, constatato il mancato buon esito del precedente tentativo di invio tramite servizio postale.

La società veniva così condannata al risarcimento del danno nei confronti del lavoratore commisurato alle retribuzioni dovute dal 20 luglio 2019 alla scadenza del contratto originariamente prevista (oltre accessori e spese di lite), non essendo stata fornita alcuna prova che il lavoratore avesse svolto altra attività lavorativa nelle more.

Avverso la sentenza di secondo grado ricorreva in cassazione la società, affidandosi a 5 motivi, a cui resisteva con controricorso il lavoratore.

La decisione della Corte di Cassazione

Con la pronuncia n. 11576/2025 in commento la Corte di Cassazione osserva che il recesso unilaterale dal rapporto di lavoro per mancato superamento della prova rientra nell'alveo del recesso ad nutum ex art. 2096 c.c. e, pertanto, è sottratto all'ordinaria disciplina di controllo delle ragioni del licenziamento (cfr. Cass. 1180/2017).

La Corte di Cassazione precisa, tuttavia, che si tratta pur sempre di un recesso. A tal proposito richiama la sentenza n. 189/1990 della Corte Costituzionale, la quale ha chiarito che tale recesso può risultare illegittimo, tra l'altro, quando la prova è stata superata con esito positivo. Infatti, ai sensi dell'art. 2096 c. 4 c.c., compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva.

Trattandosi di un licenziamento, seppure discrezionale e senza obbligo di fornire alcuna motivazione, il recesso è soggetto agli artt. 1334 e 1335 c.c. ed è, quindi, considerato un atto unilaterale recettizio. Pertanto, grava sul datore di lavoro l'onere di dimostrare che la relativa comunicazione sia stata effettivamente ricevuta dal lavoratore prima della scadenza ovvero che sia stata recapitata al suo indirizzo, da intendersi come luogo rientrante nella sua sfera di dominio e di controllo (cfr. Cass. 19524/2019).

Calando questi principi nel caso di specie, secondo la Corte di Cassazione, i giudici di merito hanno correttamente sottolineato la rilevanza del momento in cui l'atto negoziale giunge nella sfera giuridica del lavoratore, producendo in tal momento i suoi effetti. E, attraverso un accertamento di fatto adeguatamente motivato e insindacabile in sede di legittimità, i giudici di merito hanno ritenuto, da un lato, assente la prova del rilascio dell'avviso e, dall'altro, ancor prima, non provato che il plico sia stato effettivamente recapitato dall'operatore postale all'indirizzo del lavoratore.

Ciò è emerso in un contesto probatorio in cui mancava la specifica attestazione da parte dell'operatore postale ovvero una richiesta, da parte del mittente, di un duplicato dell'atto spedito, da cui desumere quanto sostenuto dalla società.

La Corte distrettuale si è così limitata ad un esame puntuale dei dati processuali, senza dover ricorrere ad un procedimento logico deduttivo. E, in tale contesto, l'estratto del sistema informato del sito internet di Poste Italiane spa, che riportava la dicitura “in consegna” alla data del 17 luglio 2019, è stato considerato non idoneo a dimostrare il tentativo di consegna “asseritamente effettuato in data 17.7.2019”.

Secondo la Corte di Cassazione, dalle argomentazioni formulate nell'impugnata sentenza risulta evidente l'iter logico-giuridico che ha condotto la Corte distrettuale a ritenere non provata, alla data del 17 luglio 2019, né la consegna del plico né l'effettivo tentativo di consegna mediante la successiva compilazione dell'avviso di giacenza.

Infine, a fronte di una approfondita analisi delle risultanze istruttorie, ritenute non idonee a provare i fatti, non può invocarsi, in sede di legittimità, la mancata applicazione di un ragionamento presuntivo da porre a base della decisione. Le due circostanze eccepite risultano, infatti, prive di decisività rispetto al fatto storico accertato in sentenza: nei giorni 18 e 19 luglio 2019 il lavoratore aveva, comunque, reso la propria prestazione lavorativa, svolgendo così trentadue giorni di lavoro effettivo, ossia un numero di giorni superiori ai trenta previsti in contratto per la prova. Ne deriva, dunque, l'illegittimità del recesso intimato.

In conclusione, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso presentato dalla società, condannandola al pagamento delle spese di lite.

Fonte: Cass. 2 maggio 2025 n. 11576

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