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giovedì 15/05/2025 • 06:00

Fisco DALLA CASSAZIONE

Responsabilità del professionista per i casi di indebita compensazione

La sentenza della Cassazione penale 5 maggio 2025 n. 16532 offre l'occasione di una riflessione sul tema della responsabilità del professionista per concorso nel reato di indebita compensazione di crediti inesistenti ex art. 10 quater D.Lgs. 74/2000.

di Alessandro De Stefano - Avvocato e Professore di diritto tributario presso l’Università Europea di Roma

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L'ipotesi del concorso nel reato di indebita compensazione

Con sentenza del 5 maggio 2025, n. 16532, la Terza Sezione Penale della Cassazione ha annullato con rinvio una decisione della Corte di Appello di Milano che, a conferma della sentenza di primo grado, aveva affermato la responsabilità di un revisore contabile per concorso nel reato di compensazione di crediti inesistenti, ex art. 10 quater D.Lgs. 74/2000, per aver certificato le spese che avevano originato i crediti per attività di ricerca e sviluppo risultati inesistenti ed indebitamente compensati ai sensi dell'art. 3 DL 145/2013 (come sostituito dall'art. 1 c. 35 L. 190/2014, e poi variamente modificato ed integrato da varie norme successive). La pronuncia di annullamento ed il rinvio ad altro giudice per un nuovo esame sono giustificati da vizi motivazionali, non avendo i giudici a quibus congruamente considerato alcune situazioni di fatto (e, in particolare, la circostanza che la certificazione dei crediti da parte del revisore sarebbe avvenuta in un momento successivo a quello della loro utilizzazione), che incidono sul nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e la consumazione dell'illecito.

La sentenza della S. Corte, pur non contenendo rilevanti affermazioni di principio, offre l'occasione per una riflessione sul tema della responsabilità del professionista, che abbia fornito attività di assistenza o effettuato attività di certificazione dei crediti, per il reato di indebita compensazione commesso dal contribuente. Infatti, essa pone in evidenza che il reato di indebita compensazione costituisce un reato “proprio” del soggetto obbligato al versamento dell'imposta, che si perfeziona nel momento di presentazione di un modello di pagamento f/24 recante la compensazione di un credito “non spettante” o “inesistente” per un importo superiore ad € 50.000,00 (in tal senso, cfr. Cass. pen., 23027/2020; 4958/2019); tuttavia, l'illecito “può realizzarsi mediante l'intervento in concorso di un soggetto terzo, quale l'intermediario professionale, di cui il contribuente si avvalga”, e che “è dunque certamente configurabile il concorso dell' extraneus nel reato proprio, nel caso in cui questi rivesta un ruolo nell'operazione”

In verità, la configurabilità del concorso del professionista nel reato di indebita compensazione, come in ogni altro reato fiscale, risulta pacifica nella giurisprudenza della S. Corte, che ha costantemente affermato che la partecipazione si può manifestare in forme differenziate ed atipiche e si può realizzare attraverso qualsiasi forma di contributo, di carattere sia materiale che psichico, che consenta o semplicemente agevoli il compimento dell'illecito. Nondimeno, di tale contributo “deve essere fornita idonea prova, anche in via logica o indiziaria, mediante elementi dotati di sicura attitudine rappresentativa che involgano sia il rapporto di causalità materiale tra condotta ed evento che il sostrato psicologico dell'azione” (Cass. pen., 156/2022. V. pure Cass. pen., 44939/2021; 1999/2018).

Il concorso materiale nell'illecito

Il concorso materiale assume forme necessariamente diverse in rapporto alle diverse attività di cui il professionista può essere incaricato: può consistere nell'espletamento dell'attività di assistenza fiscale e nella trasmissione della dichiarazione infedele per conto del contribuente in qualità di intermediario, nelle forme prescritte dall'art. 3 DPR 322/98, o nello svolgimento di attività prodromiche che costituiscano condizione dell'evento, come l'apposizione del visto di conformità sulle dichiarazioni del contribuente o la certificazione di fatti e circostanze che generano crediti di imposta di vario genere, in applicazione delle svariate norme agevolative che prevedono la concessione di bonus fiscali, da utilizzare esclusivamente in compensazione delle imposte dovute (come quelli per attività di ricerca e sviluppo, di cui si occupa la sentenza a cui si fa riferimento).

In tutte queste ipotesi, è difficile negare che il professionista fornisca un apporto causale alla consumazione dell'illecito: o perché compie, per conto del proprio assistito, l'azione che integra il fatto delittuoso (come avviene nel caso in cui presenti l'altrui dichiarazione, recante la compensazione indebita), o perché realizza i presupposti voluti dalla legge per poter fruire del credito di imposta da utilizzare in compensazione (come avviene nei casi di apposizione del visto di conformità sulla dichiarazione o di certificazione dei requisiti che generano il beneficio fiscale). Tuttavia, la citata sentenza della Cassazione n. 16532/2025 avverte che il giudice è sempre tenuto ad esaminare questa circostanza, non potendosi escludere la sussistenza di fatti, apparentemente eccezionali, che determinano l'interruzione del nesso causale o ne escludano l'esistenza (come sembra avvenuto nel caso di specie, per il fatto che la certificazione sarebbe avvenuta “dopo” l'avvenuta presentazione del mod. f/24 contenente l'indebita compensazione).

L'elemento psicologico del reato

Nella sentenza in esame non vengono in rilievo i profili riguardanti l'elemento psicologico del reato, che pure appaiono normalmente i più complessi e delicati nella materia. Sul punto, può tuttavia soccorrere l'altrettanto recente sentenza n. 37640/2024 resa dalla stessa sezione della S. Corte in data 11 aprile 2024, secondo cui: “l'elemento soggettivo richiesto per la sussistenza del delitto di indebita compensazione è il dolo, dovendo il soggetto tenuto al versamento delle imposte essere consapevole di portare in compensazione crediti ‘non spettanti' ovvero crediti ‘inesistenti'; tale consapevolezza deve essere presente anche in capo a terzi soggetti che abbiano collaborato nella vicenda - come, ad esempio, il professionista - per potersi sostenere che anche costoro concorrano nel reato” (nello stesso senso, cfr. Cass., 44859/2019).

In questa prospettiva, tra le ipotesi estreme dell'esistenza di prove manifeste di un pactum sceleris o, all'opposto, della totale estraneità del professionista al disegno illecito, si ravvisa un'ampia varietà di situazioni, che richiedono attenta ponderazione da parte del giudice. Ed invero:

  1. secondo la comune esperienza, occorre ritenere che il professionista sappia che il credito da lui attestato potrà essere utilizzato in compensazione;
  2. la responsabilità del professionista deve essere ordinariamente parametrata alla natura della prestazione a lui affidata ed al grado di diligenza richiesto, considerando che le discipline di settore distinguono gli incarichi di natura tecnica da quelli di natura contabile e che, tra questi ultimi, si distinguono le ipotesi di controllo della formale corrispondenza dei dati dichiarati alla documentazione di supporto (cd. visto leggero) da quelle di verifica dell'avvenuto rispetto della disciplina sostanziale applicabile (cd. visto pesante). Di norma, il professionista non può essere ritenuto responsabile per fatti e circostanze che non emergano dai controlli a lui demandati e diligentemente effettuati;
  3. la negligenza nello svolgimento dell'attività professionale e la violazione delle regole deontologiche non sono sufficienti ad integrare l'ipotesi del dolo, che implica la consapevolezza dell'illiceità dell'operazione e la volontà di concorrere alla sua consumazione (in tal senso, Cass. pen. 37640/2024, cit.);
  4. secondo la giurisprudenza, l'elemento psicologico si configura anche nel caso di “dolo eventuale”, allorché il professionista non abbia certezza dell'illiceità del fatto o della sua verificazione, ma assuma tuttavia il consapevole rischio di pervenire a questi risultati (cfr. Cass. pen. 286/2025, nonché 156/2022, cit.).

Nel contesto di queste problematiche, è necessario ricercare il giusto punto di equilibrio tra affidamento di un ruolo di garanzia per il corretto svolgimento del rapporto giuridico di imposta e prospettazione del concorso in un fatto illecito nell'esercizio delle funzioni affidate.

Fonte: Cass. pen. 5 maggio 2025 n. 16532

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