lunedì 05/05/2025 • 06:00
Nel 2024, in Italia si è registrato un lieve calo (-0,8%) dei lavoratori da remoto, ma tornare al periodo pre-pandemico è impossibile: ecco tutti gli strumenti che aziende e istituzioni dovrebbero adottare per una corretta gestione del rapporto di lavoro svolto non in presenza.
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La domanda è lecita, considerato che molte aziende in Italia e all'estero hanno iniziato una vera e propria battaglia contro il lavoro non in presenza. Sul presupposto, il più delle volte errato, che un richiamo al lavoro solo in sede contribuisca a migliorare la produzione e l'attività all'interno delle organizzazioni.
In realtà, l'obiettivo sembra più essere collegato alla necessità di riappropriarsi di una certa qual forma di controllo – sulle persone più che sulla prestazione lavorativa – senza tenere nella dovuta considerazione la permanenza – anche dopo la pandemia - di un bisogno di flessibilità da parte di chi lavora.
Tra l'altro, in base agli ultimi dati dell'Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, il lavoro agile, nella sua forma tradizionale – uno o due giorni a settimana - ovvero nella sua componente evoluta, ossia nella forma del lavoro ibrido – parte in sede e parte da remoto – risulta essere ancora una modalità di lavoro adottata da molte aziende e, soprattutto, richiesta dalle persone.
Nel 2024 si contano in Italia circa 3,55 milioni di smart worker. Un dato che viene segnalato essere molto vicino ai 3,58 milioni del 2023 con un lieve calo quindi (-0,8%) dovuto anche al venir meno delle agevolazioni e delle semplificazioni in favore dei lavoratori fragili.
Il lavoro agile – o smart working – nella sua forma più lineare, ossia previsto come modello organizzativo di natura negoziale finalizzato a definire la cornice giuridica e regolamentare di riferimento entro la quale far confluire conciliazione vita-lavoro e produttività (artt. 18-23 L. 81/2017) è indicato dallo stesso Osservatorio del Politecnico in lieve crescita per il 2025 (+5%), anche se in misura maggiore nelle grandi imprese, sempre più convinte dei vantaggi organizzativi ma anche economici legati all'adozione di questa modalità di lavoro.
E qui entra in gioco una considerazione ancora più rilevante per i detrattori di tale modalità di lavoro, ossia che è ormai impossibile tornare indietro al periodo pre-pandemico nonostante le molte voci – anche istituzionali – che si stanno sollevando da alcuni mesi sulle criticità del lavoro da remoto, anche nelle sue diverse componenti più o meno ibride.
Perché le nuove generazioni ricercano con sempre maggiore insistenza proprio questa modalità di lavoro, tanto da non voler prendere nemmeno in considerazione offerte di lavoro che non prevedano forme di flessibilità. E non è solo il lavoro da remoto ad essere ricercato dalle nuove generazioni, quanto piuttosto la possibilità di accedere a forme di flessibilità che consentano loro di muoversi in modo fluido nel mercato del lavoro cogliendo quelle opportunità che siano più rispondenti alle loro aspirazioni ed aspettative.
Perché la conciliazione vita-lavoro è un'esigenza reale e non deve essere intesa come un capriccio, stando anche ai dati che su questo fronte vengono periodicamente diffusi. Il lavoro, infatti, pur mantenendo centralità nella vita di ciascuno, dopo la pandemia ha visto ridimensionato il proprio ruolo in funzione di alcune variabili che sono divenute sempre più importanti. Le ultime ricerche evidenziano come nella gerarchia dei valori esistano oggi quattro dimensioni: alla famiglia è riservato l'89,5%; alla cura della propria salute l'86,5%; al farsi una cultura l'82,7%; al tempo libero l'80,9%. Al lavoro è invece riservata una percentuale pari al 69,4% (D. Marini, I. Lovato Merin, Il posto del lavoro, Milano 2024).
Di questo cambio di prospettiva è bene che le aziende (ma anche le istituzioni) imparino ad averne piena consapevolezza, perché assecondare il desiderio di flessibilità degli individui si configura come un'opportunità di crescita – in termini di valore – per le organizzazioni.
Opportunità colta da molte aziende le quali, invece di liquidare il desiderio di flessibilità giudicandolo una forma di riduzione dell'impegno lavorativo, sono state in grado di valorizzarlo con l'ascolto delle persone e con l'adozione partecipata di modelli organizzativi incentrati anche su una diversa gestione dell'orario di lavoro. Si tratta di quelle forme di lavoro ibrido a settimana corta, che costituiscono oggi l'evoluzione più lineare della stessa disciplina del lavoro agile. Ma che sono adottabili solo da organizzazioni già mature in termini di organizzazione flessibile del lavoro.
Esistono infatti strumenti di gestione del rapporto di lavoro che, correttamente combinati partendo proprio dalla valutazione delle esigenze dell'organizzazione e dall'ascolto delle persone, consentono di sperimentare nuovi modelli organizzativi, al di là del lavoro agile o in abbinamento con esso (artt. 18-23 L. 81/2017).
Il primo e più importante strumento di gestione è costituito dalla disciplina di legge in materia di orario di lavoro (D.Lgs. 66/2003). Strumento attraverso il quale si sta procedendo – con accordi sindacali di livello aziendale - verso l'introduzione di forme sperimentali di riduzione dell'orario di lavoro sposando gli obiettivi della settimana corta. I modelli fondati su una diversa articolazione dell'orario di lavoro – possibili attraverso la contrattazione collettiva per disciplina di legge e perché in alcuni casi derogatori rispetto alla disciplina del CCNL di riferimento, anche con riferimento all'uso delle ferie e dei permessi – si caratterizzano infatti per il fatto di definire ampie forme di flessibilità che consentono la riduzione dell'orario di lavoro in periodi definiti.
Gli esempi sono molteplici, da Lavazza, che ha concentrato la riduzione dell'orario di lavoro nel periodo estivo, all'ultimo accordo SIAE che ha definito una sorta di orario multi-periodale, aumentando le ore settimanali in alcuni mesi dell'anno e riducendolo in altri mesi secondo un'articolazione di tipo “stagionale”. Ma può entrare in gioco anche la rimodulazione dei turni di lavoro, come fatto ad esempio da Lamborghini e Luxottica con gli accordi più noti sottoscritti nel 2023.
In definitiva, se con la disciplina del lavoro agile abbiamo iniziato a familiarizzare con una nuova modalità di lavoro, sarebbe un vero peccato non cogliere le opportunità che questa disciplina ci offre oggi per muoversi verso nuovi modelli organizzativi. La flessibilità non deve essere un lusso, ma un modo per rendere al lavoro il posto che gli spetta nella scala dei valori.
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