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sabato 10/05/2025 • 06:00

Fisco DALLA CASSAZIONE

Stock options: la tassazione proporzionale all'attività lavorativa svolta in Italia

Nel caso in cui l'assegnazione di diritti di opzione su azioni sia effettuata in favore di lavoratore non residente nello Stato italiano, il relativo reddito deve essere tassato per la sola parte che costituisce la remunerazione dell'attività lavorativa svolta nel territorio dello Stato (Cass. 23 aprile 2025 n. 10606).

di Marco Nessi - Dottore Commercialista e Revisore Legale

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Assegnazione di diritti di opzione su azioni effettuata in favore di lavoratore non residente

Il caso in esame ha riguardato un cittadino ceco, dipendente di una società di diritto ceco, distaccato presso la consociata italiana nel periodo compreso tra il 1° novembre 2014 e il 30 giugno 2015. Durante il suo impiego in Italia, il contribuente beneficiava di un piano di incentivazione (deliberato dalla società italiana) che prevedeva l'assegnazione gratuita di azioni della casa madre al termine di un periodo di maturazione (vesting period) quadriennale, decorrente dal 22 aprile 2011 al 22 aprile 2015. Al termine di questo periodo, il contribuente acquisiva 400 azioni del Gruppo per un valore normale di 69.838 euro.

Questo importo veniva interamente sottoposto a tassazione in Italia quale reddito di lavoro dipendente prodotto nell'anno 2015.

Successivamente, veniva chiesto il rimborso delle ritenute in eccesso operate dal sostituto d'imposta, nella considerazione che, durante il quadriennio di maturazione del diritto all'assegnazione delle azioni, l'attività lavorativa era stata prestata in Italia per un tempo corrispondente solo all'11,84% del totale (viceversa, la base imponibile del corrispettivo in natura percepito era stata erroneamente calcolata sull'intero valore normale delle azioni, anziché sulla sola parte commisurata ai giorni di lavoro prestati in Italia). A seguito del silenzio-rifiuto all'istanza, il contribuente innescava il relativo contenzioso dinanzi alla CTP di Pescara, che accoglieva il ricorso riconoscendo il diritto al rimborso della somma di 28.038,53 euro. La decisione veniva confermata anche in sede d'appello. A fronte di quanto sopra, l'Agenzia delle Entrate proponeva quindi ricorso per Cassazione, sulla base dei seguenti motivi principali:

  • violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 23 e 51 TUIR e dell'art. 15 della Convenzione tra Italia e Repubblica cecoslovacca (in quanto il reddito costituito dal valore delle azioni doveva essere interamente sottoposto a tassazione in Italia);
  • violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul motivo di appello relativo alla disciplina convenzionale.

La Corte di Cassazione ha respinto entrambi i motivi di ricorso, confermando l'orientamento delle Commissioni Tributarie di merito. Per quanto riguarda il primo motivo, la Suprema Corte ha chiarito che:

  • l'art. 51 c. 1 TUIR recepisce una nozione omnicomprensiva di reddito di lavoro dipendente, includendo anche i corrispettivi in natura come le assegnazioni di titoli e diritti;
  • in virtù del combinato disposto degli artt. 3 c. 1 e 23 c. 1 lett. c) TUIR, i soggetti non residenti sono sottoposti alla potestà impositiva italiana limitatamente ai redditi prodotti nel territorio nazionale, in base al criterio della territorialità della fonte del reddito;
  • l'art. 15, paragrafo 1, della Convenzione bilaterale tra Italia e Repubblica Ceca contro le doppie imposizioni prevede che il soggetto residente in uno dei due Stati contraenti soggiace alla potestà impositiva dell'altro Stato soltanto qualora svolga in esso attività di lavoro dipendente;
  • il Commentario all'art. 15 del modello OCSE, pur non avendo valore normativo, costituisce una forma di "soft law" che funge da strumento di indirizzo nell'interpretazione delle convenzioni internazionali  (secondo il Commentario, il beneficio attribuibile all'opzione su azioni dovrebbe essere considerato derivante da un determinato Paese in proporzione al numero dei giorni durante i quali l'attività dipendente è stata esercitata in quel Paese rispetto al numero totale dei giorni del vesting period);
  • anche la prassi dell'Agenzia delle Entrate (Circ. AE 23 maggio 2017 n. 17/E) conferma l'applicazione del principio di proporzionalità.

Quanto al secondo motivo, la Corte ha ritenuto non sussistente l'ipotesi di un'omessa pronuncia, bensì implicito rigetto del motivo di appello, poiché la CTR aveva correttamente interpretato l'art. 15 della Convenzione, che prevede la potestà impositiva concorrente, e non esclusiva, dello Stato della fonte.

Osservazioni

La sentenza rappresenta un importante precedente in materia di tassazione delle stock options assegnate a lavoratori non residenti, avendo stabilito la necessità di applicare un principio della proporzionalità tra il periodo di lavoro svolto in Italia e il periodo complessivo di maturazione del diritto all'esercizio dell'opzione. Questo approccio è coerente con il principio di territorialità che informa il sistema fiscale italiano e con le disposizioni delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. La decisione della Cassazione offre inoltre chiarezza operativa ai sostituti d'imposta che devono applicare le ritenute su tali forme di remunerazione, in quanto evidenzia la necessità di considerare non solo il momento dell'assegnazione delle azioni, ma anche il periodo di maturazione del diritto e la proporzione dell'attività lavorativa svolta nel territorio italiano durante tale periodo.

Fonte: Cass. 23 aprile 2025 n. 10606

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