giovedì 24/04/2025 • 06:00
L'ordinanza della Cassazione n. 9919/2025, non senza qualche perplessità, ha affermato che la detrazione, anche in assenza di una condotta frodatoria o abusiva, è preclusa se il cessionario sapeva che il cedente è in stato di illiquidità e che non avrebbe versato l'imposta all'Erario.
Evasione “lecita” ed evasione “illecita”
La giurisprudenza comunitaria, con un orientamento consolidato, ha affermato che la lotta contro le frodi, l'evasione fiscale e gli eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla Direttiva n. 2006/112/CE, con la conseguenza che spetta alle Autorità fiscali e ai giudici nazionali negare il diritto alla detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che il medesimo è stato esercitato in modo fraudolento o abusivo.
Tale situazione, secondo la Corte europea, si verifica non solo nelle ipotesi di frode e di abuso del diritto, ma anche quando il cessionario/committente sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, avrebbe partecipato ad un'operazione che si iscriveva in un'evasione dell'IVA commessa dal cedente/prestatore, indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio in sede di utilizzo, a valle, dei beni/servizi acquistati a monte.
In particolare, è possibile negare al cessionario/committente il diritto di detrazione qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che detto soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni/servizi posti a fondamento di tale diritto, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, avrebbe partecipato ad un'operazione che si iscriveva in un'evasione dell'IVA commessa dal cedente/prestatore o da un altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di cessioni o prestazioni (si veda, per esempio, la sent. 6 dicembre 2012, causa C-285/11).
La Corte ha, invece, escluso la possibilità, per l'Amministrazione finanziaria, di negare la detrazione semplicemente perché il cessionario/committente sapeva o avrebbe dovuto sapere che il cedente/prestatore era in stato di insolvenza e che avrebbe avuto difficoltà a versare l'imposta allo Stato, mettendo quindi in luce che, al di fuori dei casi di frode o di abuso, ai quale è riconducibile anche, come sopra esposto, l'evasione “illecita”, il cessionario/committente può detrarre l'IVA addebita in via di rivalsa dal cedente/prestatore anche se quest'ultimo non l'ha corrisposta all'Erario in una situazione come quella considerata, in cui il cedente/prestatore, in assenza di una condotta fraudolenta o abusiva del cedente/prestatore, si trovava in difficoltà finanziaria, oppure in stato di insolvenza, e tale circostanza poteva comportare che il cedente/prestatore non avrebbe versato o non sarebbe stato in grado di versare l'imposta all'Erario (evasione “lecita”).
In proposito, è significativa la sentenza di cui alla causa C-227/21 del 15 settembre 2022, con la quale la Corte ha escluso che l'Amministrazione finanziaria possa negare il diritto alla detrazione esercitato dal cessionario/committente che sapesse o dovesse sapere che il cedente/prestatore non avrebbe versato l'imposta all'Erario, essendo sottoposto ad una procedura di risanamento aziendale dovuta al proprio stato in insolvenza.
La situazione di difficoltà finanziaria affrontata dal cedente/prestatore, anche se conosciuta dal cessionario/committente, non consente di ritenere che quest'ultimo abbia partecipato ad una frode IVA o commesso un abuso di diritto, con la conseguenza che il rischio che l'insolvenza comporta per l'effettivo versamento dell'imposta ricade esclusivamente sull'Erario e non può essere, quindi, ribaltato sul cessionario/committente.
Infatti, il cedente/prestatore non rientra in una situazione di frode se ha regolarmente adempiuto ai propri obblighi dichiarativi, ma non è stato in grado di versare l'imposta a causa del proprio dissesto finanziario (sent. 2 maggio 2018, causa C‑574/15). Se, quindi, tale operatore non ha commesso una frode non si può ritenere che il cessionario/committente sapesse o avrebbe dovuto sapere di partecipare, con l'acquisto, ad una frode IVA.
Nel caso considerato, deve essere esclusa anche l'esistenza di un eventuale abuso di diritto da parte del cessionario/committente, che in base al diritto comunitario precluderebbe l'esercizio della detrazione dell'imposta assolta in relazione ad operazioni che non sono poste in essere nell'ambito di una normale attività commerciale, ma al solo fine di fruire indebitamente di un vantaggio fiscale.
Ordinanza n. 9919/2025
Dai fatti di causa relativi all'ordinanza n. 9919/2025 non sembrano evincersi elementi specifici per ritenere integrata l'evasione “illecita” del cedente, idonea, in quanto tale, a precludere l'esercizio della detrazione dell'IVA da parte del cessionario.
La detrazione viene negata nel presupposto che la cessionaria fosse a conoscenza della situazione di illiquidità della società cedente e della conoscenza o doverosa conoscibilità dell'omesso versamento dell'imposta applicata in rivalsa.
Nel caso di specie, la società cedente era partecipata dal marito della cessionaria e dal cognato e, inoltre, la stessa società aveva costantemente e ripetutamente omesso di versare l'IVA per importi penalmente rilevanti.
Per i giudici di legittimità, i rapporti familiari tra la cessionaria e i soci (marito e cognato della cessionaria) della società cedente, così come i consolidati rapporti commerciali tra cedente e cessionario, sono, di per sé, idonei a suffragare la conoscenza o, quanto meno, la conoscibilità dell'evasione d'imposta generata, a monte, dalla società cedente.
Tuttavia, come affermato dalla Corte di giustizia UE nella causa C-227/21, in assenza di una condotta fraudolente o abusiva della società cedente, esplicitamente esclusa dai giudici di merito, la situazione di insolvenza affrontata dalla società cedente, benché conosciuta dalla cessionaria, non consente di ritenere che quest'ultima abbia partecipato ad una frode IVA o commesso un abuso di diritto. In particolare, la società cedente, benché abbia omessa di versare l'IVA, non rientra in una situazione di frode se ha regolarmente adempiuto ai propri obblighi dichiarativi, ma non è stata in grado di versare l'imposta a causa del proprio dissesto finanziario.
In definitiva, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di legittimità, dovrebbe essere irrilevante, in assenza di una condotta fraudolenta o abusiva, la circostanza che la cessionaria sapeva che la società cedente, trovandosi in una situazione di illiquidità, non avrebbe versato all'Erario l'imposta a debito indicata in fattura.
Fonte: Cass. 16 aprile 2025 n. 9919
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Gabriele Damascelli
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