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lunedì 03/03/2025 • 06:00

Fisco Dalla Cassazione

Sanzioni per omesso versamento e infedele dichiarazione: non cumulabilità

Con la recente ordinanza n. 4187/2025 la Cassazione ha ribadito il principio di diritto (già enunciato con riferimento all'IVA) secondo cui la sanzione per infedele dichiarazione delle imposte dirette assorbe quella per la consequenziale violazione di insufficiente versamento.

di Alessandro De Stefano - Avvocato e Professore di diritto tributario presso l’Università Europea di Roma

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  • Tempo di lettura 1 min.
  • Ascolta la news 5:03

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La questione controversa Con l'ordinanza n. 4187 del 18 febbraio 2025, la Cassazione è ritornata sul rapporto tra la violazione di infedele dichiarazione, punita con la sanzione amministrativa del 90% (ora 70%) della maggiore imposta dovuta ex artt. 1 c. 2 e 5 c. 4 D.Lgs. 471/97, e quella di omesso versamento, punita con la sanzione amministrativa del 30% (ora 25%) ai sensi dell'art. 13 c. 1 D.Lgs 471/97. La decisione si riferisce al caso di una società che, avendo liquidato nella dichiarazione originaria un'IRES di importo inferiore al dovuto, ha presentato una dichiarazione integrativa, versando la maggiore imposta e la sanzione per la violazione di infedele dichiarazione, ridotta secondo le regole sul ravvedimento operoso; a seguito del controllo automatizzato, l'Ufficio ha tuttavia rilevato l'omesso versamento di acconti correlati al maggiore imponibile dichiarato integrativamente, e ha iscritto a ruolo l'ulteriore sanzione per insufficiente versamento. Nel conseguente contenzioso, la società ha sostenuto che: a) aveva regolarmente provveduto al versamento degli acconti applicando il metodo storico; b) la sanzione di omesso versamento è comunque assorbita da quella di infedele dichiarazione. I giudici di merito hanno disatteso le tesi della contribuente e confermato la pretesa dell'Ufficio. L'ordinanza della Corte non offre elementi per comprendere l'esito della prima eccezione che, avendo carattere decisivo ed assorbente, richiedeva un approfondito esame dei fatti da parte dei primi giudici; e invero, se fosse vero che gli acconti erano stati calcolati e versati con il metodo storico, la congruità del versamento avrebbe dovuto essere verificata in rapporto ai tributi versati nell'anno precedente, e sarebbero mancate le condizioni per irrogare una sanzione in base al maggior imponibile dichiarato integrativamente per il periodo di imposta a cui gli acconti si riferiscono. Il principio di diritto La pronuncia in esame si concentra sulla questione di diritto prospettata dalla ricorrente. In riforma della decisione dei giudici di appello, essa afferma che la violazione di infedele dichiarazione assorbe quella di omesso versamento di cui all'art. 13 c. 1 D.Lgs. 471/97, e che le due sanzioni non sono perciò cumulabili. La pronuncia non ha carattere di novità. Essa estende all'IRES i principi già affermati dalla S. Corte con sentenza n. 27963/2020 con riferimento all'uguale fattispecie della presentazione di una dichiarazione IVA infedele. Secondo tale statuizione, “laddove il mancato versamento […]  sia diretta conseguenza della omessa indicazione nella dichiarazione dell'importo dell'imposta effettivamente dovuto, tale comportamento integra dichiarazione infedele, per la quale è prevista la sanzione ben più grave di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 471 del 1997, che copre non solo la violazione formale dell'infedele dichiarazione, ossia di una dichiarazione errata, recante un importo inferiore a quello realmente dovuto, ma anche il conseguente ed inevitabile mancato versamento dell'imposta effettivamente dovuta, non potendo ovviamente, in tal caso, la parte contribuente provvedere materialmente al versamento dell'importo corretto, atteso che il pagamento corrisponde al dato indicato nella stessa dichiarazione. Ciò comporta che la sanzione meno favorevole prevista dall'art. 5 del D.Lgs. n. 471 del 1997 assorbe anche l'omesso versamento dell'imposta ed osta all'applicazione di quella prevista dall'art. 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997” (nello stesso senso, v. pure Cass. 7436/2023; Cass., 483/2022). Si tratta di una soluzione di indubbia esattezza, che fa applicazione del principio di specialità affermato dall'art. 9 L. 689/81 per le violazioni amministrative, comprese quelle finanziarie e tributarie (in tal senso, cfr. Cass. 18416/2024). Per esso, "quando uno stesso fatto è punito... da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale". Orbene, tra le norme sanzionatorie considerate sussiste un evidente rapporto da genus a species: l'art. 13 c. 1 D.Lgs. 471/97 si riferisce, in via generale, alle ipotesi di omesso o insufficiente versamento; ma quando tale fatto costituisce conseguenza di un'omessa o infedele dichiarazione, si configura un quid pluris, che implica l'applicabilità della disposizione speciale, prevista per la violazione più grave. Di ciò dà conferma la giurisprudenza secondo cui la sanzione di cui all'art. 13 c. 1 D.Lgs. 471/97 si riferisce ai soli casi di omissione o di ritardo dell'imposta già liquidata, e non si estende alle ipotesi di violazioni incidenti sulla determinazione dell'imponibile (Cass. 10631/2024; Cass. 24785/2021). Considerazioni ulteriori La vicenda merita qualche considerazione aggiuntiva. Giova infatti interrogarsi su taluni profili che attengono al rapporto tra amministrazione finanziaria e contribuente e all'effettività della tutela giurisdizionale offerta dall'ordinamento in situazioni di tal genere. In primo luogo, desta perplessità il fatto che il controllo automatizzato faccia emergere simili ipotetiche violazioni, senza apparentemente considerare né gli effettivi criteri di calcolo delle somme dovute, né i principi di diritto concretamente applicabili. È verosimile che i programmi operativi che governano il sistema informatico di controllo non riflettono in modo adeguato la complessità della normativa vigente e forniscano perciò risultati non corretti sotto il profilo giuridico. Ciò dovrebbe stimolare una più sensibile attività di verifica da parte dei competenti Uffici finanziari, onde evitare che le pretese fiscali siano fondate sul solo esito dell'elaborazione computerizzata, anziché sulla giusta applicazione delle norme di diritto. Un'ulteriore questione riguarda l'equazione, che pure emerge dalla vicenda in esame, tra esito del controllo automatizzato e iscrizione a ruolo delle maggiori somme pretese a titolo di sanzione, con conseguente potestà di riscuotere immediatamente in via coattiva l'importo in contestazione, che potrà essere recuperato solo a seguito dell'annullamento giurisdizionale del titolo esecutivo (che nel caso di specie è intervenuto dopo quasi 15 anni dalla sua formazione). Questo modus operandi non sembra legittimo, alla luce del principio di diritto secondo cui la potestà di iscrivere a ruolo le somme risultanti dal controllo automatizzato, ai sensi dell'art. 14 DPR 602/73, è limitato ai tributi (e relativi accessori) che risultano dovuti ictu oculi a seguito del riscontro cartolare (in tal senso, cfr. Cass. 8462/2024; Cass. 24747/2020; Cass. 4360/2017) e non si estende ai casi (come quello in esame) che implichino valutazioni giuridiche. Ne consegue che, nonostante alcuni arresti giurisprudenziali di segno contrario (cfr. Cass. 18214/2021) l'iscrizione a ruolo non può surrogare l'adozione di un regolare atto di irrogazione di sanzioni, debitamente motivato. Si ritiene che l'equità fiscale richieda un più attento approccio a queste tematiche. Fonte: Cass. 18 febbraio 2025 n. 4187 ...

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