sabato 22/02/2025 • 06:00
Occorre riportare al centro del dibattito fiscale il tema degli effetti delle leggi tributarie sulla parità di genere, poiché - è dimostrato - esiste un nesso sostanziale tra tassazione e disuguaglianze socio-economiche legate al genere. Come le misure fiscali possono incidere sulla parità di genere?
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Il 13 gennaio 2025 la sottocommissione per le questioni fiscali (FISC) della Commissione per i problemi economici e monetari (ECON) del Parlamento europeo ha tenuto un'audizione pubblica dal titolo "Impact of taxation on gender equality in the European Union”. Tramite l'audizione pubblica, il FISC ha inteso, da un lato, analizzare le politiche fiscali in atto nei singoli Stati membri che possono diventare un ostacolo alla promozione dell'uguaglianza di genere e le modalità per affrontare tale ostacolo; dall'altro, esaminare le misure fiscali che possono servire come migliori pratiche per promuovere la parità di genere e valutare se le politiche fiscali a livello europeo possano contribuire al raggiungimento di tale obiettivo. L'impegno dell'Unione europea, che dà seguito anche alla Risoluzione “Uguaglianza di genere e politiche fiscali nell'Unione europea” approvata dal Parlamento europeo il 15 gennaio 2019 (2018/2095(INI)), si inserisce nel solco dell'azione di indagine sulla relazione tra i sistemi fiscali e la parità di genere da parte delle più importanti istituzioni internazionali, tra cui il G20, che dal 2021 ha inserito il perseguimento della parità di genere tra le priorità dell'agenda fiscale internazionale. Come le misure fiscali possono incidere sulla parità di genere: lo stato dell'arte Dall'audizione è emerso che nei sistemi fiscali di diversi Stati membri persistono discriminazioni nei confronti delle donne e la loro esistenza rappresenta un ostacolo al raggiungimento dell'Obiettivo di Sviluppo Sostenibile n. 5 “Raggiungere l'uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”, assunto quale impegno primario da parte di tutti i governi sottoscrittori dell'Agenda 2030 dell'ONU. In particolare, i dati raccolti attestano che i divari di genere presenti nell'Unione europea riguardano gli ambiti occupazionale, pensionistico e retributivo. Per l'Italia, la conferma di tali dati sul Gender Pay Gap arriva dal rapporto “La struttura delle retribuzioni in Italia- anno 2022” pubblicato dall'ISTAT il 20 gennaio 2025 e dal report dell'Osservatorio INPS sul monitoraggio dei flussi di pensioni pubblicato il 23 gennaio 2025. Nel corso dell'audizione è stata ribadita l'urgenza di esaminare da una prospettiva di genere anche le politiche fiscali, in quanto le stesse possono determinare discriminazioni di genere. Se è vero che quasi nessun ordinamento europeo determina discriminazioni esplicite, che si riscontrano allorché una norma preveda un trattamento fiscale differente tra uomini e donne (è, ad esempio, previsto uno sgravio fiscale maggiore nei confronti di un uomo sposato rispetto a una donna sposata), la questione cambia in tema di discriminazioni implicite, che possono verificarsi quando una norma interagisce con modelli di comportamento o con dinamiche economiche (quali il reddito) e determina impatti differenti rispetto al genere del contribuente (ad esempio, a causa delle differenze tra i livelli retributivi o nella partecipazione alla forza lavoro tra uomini e donne). Talune politiche fiscali attualmente adottate dagli Stati membri comportano – più o meno direttamente – discriminazioni di genere. Sono stati riportati svariati esempi di discriminazione nel settore della tassazione delle persone fisiche, che derivano da differenze impositive legate alla natura del reddito (ad esempio, i redditi di capitale, che sono maggiormente percepiti dagli uomini rispetto alle donne, sono frequentemente soggetti a una tassazione più contenuta) oppure da modelli impositivi basati sul reddito familiare, in cui i redditi dei familiari si sommano, che hanno l'effetto indiretto di disincentivare l'offerta di lavoro femminile. Tuttavia, sebbene le stime numeriche siano a tutt'oggi limitate, impatti significativi sulla (dis)parità di genere derivano, a ben vedere, dalle politiche attuate in merito alla tassazione delle società. Posto che in molti Stati membri le donne sono coinvolte in maniera decisamente diversa rispetto agli uomini nelle imprese in termini tanto di azionariato e rappresentanza nei Consigli di amministrazione quanto nella gestione diretta di imprese (e ciò è vero tanto maggiori sono le dimensioni delle imprese), le politiche che vanno nella direzione di ridurre la tassazione sulle società e sui dividendi, introdurre deduzioni legate ai bonus percepiti dai manager o, ancora, incentivi fiscali riconosciuti alle imprese / agli imprenditori, con maggiore probabilità vanno a beneficio degli uomini. Nel settore imposte indirette, infine, oltre a un generale aumento negli Stati membri dell'imposizione ai fini IVA, che influisce sulla distribuzione del reddito, si registra – ad esempio – in molti Stati membri il mancato riconoscimento di aliquote IVA ridotte per beni destinati all'igiene femminile. Come le misure fiscali possono incidere sulla parità di genere: le soluzioni suggerite Nel corso dell'audizione è stato opportunamente ricordato che la natura progressiva dei sistemi di tassazione sul reddito delle persone fisiche favorisce la riduzione dei divari salariali. Evidentemente, l'introduzione di regimi di tassazione “piatta” (c.d. flat tax), basati cioè sull'applicazione di un'aliquota percentuale fissa sul reddito, sortisce l'effetto opposto. È stata poi ribadita la necessità di calcolare imposte, esenzioni e benefici fiscali solo su base individuale, oltre a evitare il ricorso a detrazioni e incentivi fiscali per gruppi di contribuenti, poiché conferiscono maggiori benefici fiscali ai soggetti che percepiscono redditi più alti, di nuovo, perlopiù di sesso maschile. Ma, oltre alle politiche strettamente fiscali, secondo la sottocommissione FISC, al fine di raggiungere la parità di genere, è preferibile finanziare programmi di spesa diretta a migliorare i servizi pubblici come l'assistenza agli anziani, l'educazione dell'infanzia e i congedi parentali, attività di cui si occupano maggiormente le donne. L'iniziativa del Parlamento europeo è da accogliere con grande favore, e potrebbe (dovrebbe?) contribuire ad alimentare un'appropriata riflessione in Italia. Il nostro Paese, invero, non sembra stia andando nella direzione suggerita dalla sottocommissione se guardiamo, da un lato, al prolificare di regimi di c.d. flat tax , che amplificano i divari salariali, dall'altro, ai recenti tagli alle detrazioni fiscali introdotti dalla Legge di Bilancio 2025, che hanno d'altra parte impattato negativamente sulle misure di favore a supporto del welfare “privato”, restringendone in maniera significativa il campo di applicazione. Effetti indiretti di tale portata potrebbero essere prevenuti e limitati qualora si intervenisse a monte del processo di formulazione delle norme, come peraltro suggerito durante l'audizione del FISC, prevedendo che – nell'ambito dell'analisi delle iniziative legislative di natura fiscale – la verifica della coerenza e dell'incidenza delle proposte normative sulle leggi vigenti sia sempre integrata anche dalla valutazione dell'impatto di genere, cioè dalla verifica degli effetti delle norme sulle disuguaglianze di genere. ...
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Paolo Patrizio
- Avvocato - Professore - Università internazionale della Pace delle Nazioni UniteRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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