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martedì 07/01/2025 • 06:00

Lavoro Collegato Lavoro

Periodo di prova nei contratti a termine: criteri univoci per la durata

Il Collegato Lavoro interviene in maniera netta rispetto al periodo di prova nei contratti a termine. La nuova disciplina integra quanto in materia disposto nel Decreto Trasparenza, stabilendo limiti minimi e massimi di durata, riducendo conseguentemente il ruolo precedentemente assegnato alla contrattazione collettiva.

di Marco Micaroni - Responsabile Relazioni Industriali di Autostrade per l'Italia s.p.a.

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Tra le principali novità del Collegato Lavoro, l'art. 13 ridefinisce la disciplina del periodo di prova nei contratti a termine.

La nuova normativa si muove nella scia della Direttiva UE 2019/1152 del 20 giugno 2019 relativa all'obbligo generale di fornire al lavoratore informazioni chiare e trasparenti sulle condizioni del suo contratto di lavoro, recepita in Italia dal D.Lgs. 104/2022, il c.d. Decreto Trasparenza.

Con l'introduzione delle nuove disposizioni, in estrema sintesi, il legislatore intende intervenire su una precedente regolamentazione ritenuta troppo generica e foriera di possibili contenziosi.

Cos'è il patto di prova?

In linea generale, la condizione attraverso la quale le due parti in un contratto possono decidere “la reciproca convenienza” a rendere definitivo il rapporto di lavoro solo dopo un determinato periodo è una delle classiche definizioni dell'istituto del patto di prova.

Il riferimento normativo è presente nell'art. 2096 c.c.: l'assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto, l'imprenditore e il dipendente sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova, durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto senza obbligo di preavviso o di indennità, compiuto il periodo di prova, l'assunzione diventa definitiva (se siamo all'interno di un contratto a tempo indeterminato) e il servizio prestato si computa nell'anzianità del prestatore di lavoro.

Il periodo di prova è spesso utilizzato anche per le assunzioni a termine, per ovvie esigenze gestionali: il datore di lavoro può valutare le competenze e l'idoneità del lavoratore rispetto alla posizione assegnata, e quest'ultimo verificare in concreto le condizioni del suo lavoro.

La precedente normativa

L'art. 7, comma 2, D.lgs. 104/2022 – prima delle novità introdotte – stabiliva che nel rapporto a tempo determinato “il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell'impiego. In caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova”.

Durata predeterminata

L'art. 13 del Collegato lavoro integra l'art.7 del Decreto Trasparenza, così precisa la Nota INL del 30 dicembre 2024.

In sostanza viene introdotta una durata predeterminata ex lege dei limiti minimi e massimi del periodo di prova nei rapporti di lavoro a tempo determinato.

Fatta salva una previsione più favorevole nei CCNL, la durata del patto di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro.

In ogni caso, la legge precisa:

  1. per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni;
  2. per i rapporti di lavoro aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi, la durata del periodo di prova non può essere superiore a trenta giorni.

Ridotti i margini della contrattazione collettiva

Le ampie deleghe finora assegnate alla contrattazione collettiva vengono sicuramente ridotte: minori sono i margini lasciati alle parti sociali, molti contratti di fatto non saranno più applicabili, soprattutto in relazione a quanto molto spesso previsto in termini di durata per le mansioni più complesse.

La norma prevede che il calcolo numerico previsto per legge sia subordinato a eventuali disposizioni “più favorevoli” della contrattazione collettiva, ma il concetto rischia di poter essere interpretabile in varie maniere.

Ad una prima lettura, per esempio, la contrattazione collettiva non sembra autorizzata a superare i limiti massimi della durata del periodo di prova, in quanto l'eventuale ampliamento difficilmente potrà essere considerato come “più favorevole” per il lavoratore.

Un altro punto critico può essere rappresentato nel caso di contratti a termine di durata superiore ai 12 mesi, casistica non prevista dal legislatore: sarà possibile individuare un patto di prova superiore ai 30 giorni senza correre rischi di nullità (e se sì, di quanto), con tutte le conseguenze del caso?

L'art. 13 del Collegato Lavoro chiarisce sicuramente meglio il concetto di proporzionalità del periodo di prova nei contratti a termine previsto dalla direttiva europea in materia e dal Decreto Trasparenza, in qualche modo riempendo un precedente “vuoto normativo” che poteva essere portatore di controversie legali; massima attenzione però, da un punto di vista applicativo e gestionale, dovrà essere posta rispetto a come la nuova disposizione incide sulle clausole previste dai vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro e alla predisposizione dei nuovi contratti individuali di lavoro.

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a cura di

redazione Memento

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di

Emilio Rocchini

- Professore a contratto di Diritto del Lavoro presso l'Università  degli Studi Link Campus University

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