giovedì 12/12/2024 • 06:00
Il Decreto Milleproroghe 2024 ha previsto la proroga fino al 31 dicembre 2025 della possibilità, qualora non siano state previste causali dai Contratti Collettivi, di ricorrere al contratto a termine anche oltre i 12 mesi, per effetto di una causale individuata dalle parti a fronte di esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva.
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La novella del Decreto Milleproroghe si inserisce nel solco della più recente evoluzione normativa della disciplina sui contratti di lavoro a tempo determinato (artt. 19-29, D.Lgs. 81/2015), che persegue (nuovamente) un uso più accessibile dell'istituto, agendo su vari versanti promozionali tra cui, soprattutto, quello delle clausole appositive del termine di durata al contratto (c.d. causali giustificative).
Il regime (residuale) della a-causalità
Come risaputo, la codificazione della regola della causale autorizzatoria del contratto a termine è frutto di una lunga evoluzione legislativa culminata, nel 2018, con la creazione di un sistema ibrido che – accanto alla possibilità di non indicare ragioni che giustifichino la clausola del termine (c.d. a-causalità), quando la durata del primo contratto non sia superiore a dodici mesi – ha previsto che, in caso di un suo superamento, è necessario indicare specifiche condizioni, quali erano quelle dettate dal c.d. Decreto Dignità (DL 87/2018, art. 1):a) «esigenze temporanee ed oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori»; b) «esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell'attività ordinaria».
Le evidenti difficoltà nella gestione di siffatte causali, unite alla constatazione che il ricorso a tale tipologia contrattuale non può essere sostanzialmente negato all'azienda ogniqualvolta si renda necessario rinnovare l'originario contratto o superare una durata di dodici mesi, hanno spinto il legislatore a intervenire nuovamente su questa materia.
L'art. 24 del DL 48/2023, convertito dalla legge 8/2023, ha lasciato immutata la prima parte del comma 1 dell'art. 19 cit., confermando la possibilità di ricorrere liberamente alle assunzioni a termine senza dover indicare motivazioni specifiche, purché il contratto singolo o complessivamente stipulato tra le stesse parti non superi i dodici mesi, limitandosi a precisare che, ai fini del calcolo temporale, «si tiene conto esclusivamente dei contratti stipulati a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto» (con conseguente sterilizzazione dei periodi pregressi).
Le ragioni che giustificano la clausola del termine
Una modifica di particolare rilievo ha riguardato, invece, le causali.
Le condizioni previste dalle lettere a) e b) sono state abolite, e sostituite con una formula che individua la contrattazione collettiva quale fonte per la definizione delle causali giustificative.
Secondo la nuova lett. a) del primo comma dell'art. 19 cit., «i contratti collettivi di cui all'art. 51» del medesimo decreto possono stabilire «i casi» in cui è consentito stipulare contratti a termine con una durata, singola o cumulativa, superiore a dodici mesi. Il rinvio alla fonte negoziale risulta particolarmente significativo dal momento che l'art. 51 cit. estende questa facoltà sia ai contratti collettivi nazionali, sia a quelli territoriali e aziendali, con il solo requisito della rappresentatività delle organizzazioni sindacali firmatarie.
La nuova normativa, dunque, supera la rigidità delle causali esclusivamente di fonte legislativa, affidando alla fonte pattizia un ruolo cruciale, giustificato dalla sua vicinanza ai destinatari della disciplina. La contrattazione collettiva, in particolare quella aziendale, potrà affrontare le criticità organizzative dell'azienda e permettere la stipula di contratti a termine di durata superiore ai dodici mesi (anche cumulativa), rispondendo efficacemente alle esigenze di flessibilità in entrata.
È evidente che l'apertura alla contrattazione collettiva rappresenta una solida base per una maggiore tenuta delle causali in sede di eventuale controllo giurisdizionale ex post. La fonte pattizia, specie se aziendale, può infatti definire con precisione le condizioni che giustifichino l'uso del contratto a tempo determinato, riducendo il rischio di contestazioni da parte del lavoratore.
Inoltre, l'attuale disciplina, rispetto a quella precedente, semplifica ulteriormente la materia, eliminando l'obbligo di indicare «specifiche esigenze» e richiedendo più genericamente «casi.
Va segnalato, infine, che la contrattazione collettiva nazionale sta rispondendo alle indicazioni del legislatore, definendo i casi per il ricorso ai contratti a tempo determinato. Ne sono esempi settori da sempre caratterizzati da una necessità di flessibilità contrattuale, quali il Commercio, il Terziario Distribuzione e Servizi, il Turismo e l'Alimentare, che propongono “casi” mirati per le loro esigenze produttive.
La valorizzazione del contratto collettivo applicato in azienda
Nell'attesa che la contrattazione collettiva prevista dall'art. 51 cit. definisca i casi in cui è possibile stipulare contratti a termine con durata superiore ai 12 mesi, la nuova lett. b) del primo comma dell'art. 19 cit. stabilisce che tale funzione possa essere svolta dai «contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il ((31 dicembre 2024)), per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti».
Riguardo alla prima ipotesi, va osservato che, sebbene la terminologia utilizzata dal legislatore chiarisca l'intento di privilegiare il contratto collettivo aziendale come fonte sussidiaria rispetto a quella collettiva riconosciuta in via primaria dalla lett. a) del comma 1 dell'art. 19 cit., altrettanta chiarezza non si riscontra sull'identificazione dei soggetti sindacali abilitati a negoziare.
Il Ministero del Lavoro (con CIRC 9 ottobre 2023, n. 9) ha chiarito che si tratti delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, come indicato dall'art. 51 cit., ma questa interpretazione può apparire discutibile per due motivi: il primo, di ordine logico, è che tale previsione sarebbe una ripetizione inutile di quanto già stabilito dalla lett. a) del medesimo comma dell'art. 19 cit.; il secondo, legato all'interpretazione letterale, è che l'art. 51 si applica in caso di riferimento generico ai “contratti collettivi” (come indicato dal testo introduttivo “salvo diversa previsione”), mentre qui la lett. b) fa riferimento specifico ai contratti “applicati in azienda”.
In conclusione, si può ritenere possibile, a regime, una duplice modalità di contrattazione aziendale, qualora il datore di lavoro non applichi contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative e riconosca come interlocutori sindacati presenti in azienda ma privi del requisito comparativo.
La valorizzazione provvisoria del contratto individuale e la proroga al 31 dicembre 2025
Quanto alla seconda ipotesi tracciata dalla lett. b) cit., ossia il contratto individuale, questa rappresenta una soluzione temporanea per rendere operativo il nuovo modello normativo.
Il legislatore ha inteso consentire, in attesa che le parti sociali si adattino alla nuova normativa recependo la delega fornita dal legislatore, l'utilizzo di contratti a termine con durata superiore ai 12 mesi, purché le parti stipulanti (lavoratore e datore di lavoro) indichino motivazioni di natura tecnica, organizzativa o produttiva che ne giustifichino l'apposizione.
Tale possibilità – e cioè ricorrere ad una causale scaturita da esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti stipulanti il contratto a termine – era stata inizialmente prevista fino al 30 aprile 2024, per poi essere prorogata al 31 dicembre 2024 dal decreto Milleproroghe relativo all'anno 2024. Con il nuovo Milleproroghe 2025, viene adesso prorogata fino al 31 dicembre 2025, consentendo così alle parti del contratto di lavoro a tempo determinato di poter continuare ad utilizzare proprie casistiche fino a tale data.
Va ricordato, tuttavia, che la formula adottata richiama la clausola generale dell'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, e appare dunque cruciale che, nell'ambito dell'autonomia negoziale individuale, vengano individuate causali basate su elementi di oggettiva temporaneità, in conformità con gli orientamenti giurisprudenziali consolidati rispetto alla normativa del 2001. Secondo tali orientamenti, infatti, il datore di lavoro deve specificare con chiarezza e precisione le circostanze che giustificano la prestazione temporanea, evidenziando il collegamento diretto tra la durata del contratto e le esigenze produttive e organizzative, nonché l'impiego del lavoratore esclusivamente nell'ambito della ragione indicata (cfr. Cass. n. 30805/2021).
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