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lunedì 09/12/2024 • 06:00

Lavoro VERSIONE ITALIANA

Il contratto a tempo determinato: uno strumento contrattuale di flessibilità

Il contratto a tempo determinato ha acquisito nell’ultimo decennio una sua autonoma valenza quale forma contrattuale di primo ingresso al lavoro. È ciò, al di là della finalità propria, originaria, di tale istituto. Questa probabilmente è la funzione primaria che l’ordinamento ha riservato a tale tipologia contrattuale con il sistema della a-causalità.

di Fabiola Giornetta - Consulente del lavoro - Ceccato & Tormen Partners

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  • Tempo di lettura 6 min.
  • Ascolta la news 5:03

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L'originaria disciplina di legge introdotta nel 2015 confermava già alcune caratteristiche proprie di tale istituto (già previste dal D.Lgs. n. 368/2001 attuativo della Direttiva 1999/70/CE) ma presentava quella fondamentale apertura verso il criterio della a-causalità che era già stata introdotta nell'ordinamento giuridico nel 2012, con la Legge Fornero. Se tale apertura dava il segno da un lato di una maggiore libertà nel ricorso a tale forma di contratto, necessaria per dare concreta risposta alla domanda di maggiore flessibilità da parte del mondo imprenditoriale, dall'altro ha di fatto creato le premesse per un progressivo inasprimento negli ultimi anni del requisito causale per i contratti di durata superiore ai 12 mesi, attraendovi anche le esigenze di proroga e di rinnovo (sempre oltre i 12 mesi). Ciò ha altresì fornito l'occasione per riproporre in questa materia il ruolo determinante della contrattazione collettiva (già previsto con la L. n. 57/1986), quale strumento privilegiato per determinare per ciascun settore, le effettive, reali e concrete esigenze “temporanee” o “strutturalmente temporanee” per il ricorso al contratto a tempo determinato.

La disciplina oggi esistente in Italia è il frutto sia degli aggiustamenti della disciplina voluti nel 2018 dal Decreto Dignità (D.L. n. 87/2018 convertito in L. n. 96/2018) sia il frutto degli aggiustamenti successivi, risultato concreto delle deroghe e delle ulteriori aperture manifestatesi durante il periodo pandemico. Periodo nel quale ci si è resi conto, tra l'altro, dell'importanza dei meccanismi di flessibilità ancorati a specifici strumenti contrattuali e della rilevanza che ha in questa materia la conoscenza dei diversi settori da parte degli attori della contrattazione collettiva.

La disciplina che la legge ci restituisce oggi in questa materia è caratterizzata in primo luogo dal criterio della a-causalità per i primi 12 mesi di rapporto di lavoro (art. 19, c. 1 D.Lgs. n. 81/2015) cui consegue la possibilità del rinnovo, così come quella della proroga (entro un massimo di 4 proroghe) per una durata massima complessiva (tra proroghe e rinnovi) di 24 mesi totali di assunzione, computando in tale limite massimo anche gli eventuali periodi di interruzione tra un contratto e quello successivo, quando le mansioni e la categoria legale di inquadramento (operaio, impiegato o quadro) del lavoratore siano le stesse (art. 19, c. 2 D.Lgs. n. 81/2015).

Il requisito della causale – in tutti i casi appunto in cui la durata dell'assunzione a tempo determinato sia superiore a 12 mesi - è così declinato dalla legge prevendo che esso debba corrispondere:

  1. all'indicazione della casistica prevista dai contratti collettivi (di ogni livello, così come disciplinati dall'art. 51 D.lgs 81/2015, cioè i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali, ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria);
  2. in assenza delle previsioni da parte della contrattazione collettiva, per i casi previsti dai contratti collettivi applicati in azienda (e solo fino al 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti);

b-bis) in sostituzione di altri lavoratori (art. 19, comma 1, D.lgs 81/2015).

In caso di stipulazione di un contratto di durata iniziale superiore ai 12 mesi, così come nei casi di proroga e rinnovo di un contratto con previsione di superamento di tale limite proprio per effetto della proroga o del rinnovo, senza il rispetto delle causali, la legge stabilisce che il contratto si trasformi in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine dei 12 mesi (art. 19, comma 1-bis, D.lgs 81/2015).

La legge stabilisce, inoltre, l'obbligo della forma scritta (per i rapporti di lavoro di durata superiore a 12 giorni), cui si aggiungono da un lato gli obblighi di informativa al lavoratore sulle condizioni applicate al rapporto di lavoro, così come previsti sulla base del Decreto Trasparenza (D.lgs 152/1997, come modificato dal D.lgs 104/2002, emanato in attuazione della Direttiva UE n. 2019/1152) e, dall'altro, la previsione di specifici limiti quantitativi in relazione all'organico, per il ricorso a tale forma di assunzione, fatte salve le diverse previsioni da parte della contrattazione collettiva.

Nella disciplina del contratto a tempo determinato che scaturisce oggi dalla legge, un ruolo fondamentale è quindi affidato alla contrattazione collettiva. E ciò non solo ai fini della determinazione delle causali o dei limiti quantitativi, ma soprattutto della possibilità che l'autonomia negoziale delle parti collettive identifichi spazi ulteriori di manovra in termini di flessibilità. Si fa riferimento, ad esempio, alla identificazione delle attività stagionali per le quali già oggi non valgono in base alla legge non solo i limiti massimi di durata (pari a 24 mesi ai sensi dell'art. 19, c. 2 D.Lgs. n. 81/2015), ma anche gli obblighi di identificazione delle causali per le durate superiori ai 12 mesi (anche per proroga e rinnovo; art. 21, c. 2 D.Lgs. n. 81/2015). Una funzione molto importante che negli ultimi rinnovi contrattuali non è stata colta in modo molto significativo da una parte degli attori della contrattazione collettiva i quali avrebbero potuto in realtà aiutare a fare maggior chiarezza ai fini della corretta identificazione delle attività stagionali (al di là di quanto strettamente previsto dalla legge ai sensi del D.P.R. n. 1525/1963) considerato che l'ultima giurisprudenza è molto rigorosa nel definire il concetto di attività stagionale e stabilisce che possono essere considerate come tali solo le attività aziendali collegate in senso stretto a forme di stagionalità (che se non identificate dalla legge è appunto auspicabile siano ben definite dalla contrattazione collettiva) e non invece ad attività aziendali che siano legate solo a maggiori richieste di mercato oppure a ragioni di natura economica e produttiva (cfr. Cass. n. 9243/2023). Un'occasione persa che non è detto che non possa essere recuperata con i prossimi rinnovi.

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