Il caso
Un contribuente impugnava un avviso di accertamento, emesso dall'Agenzia delle Entrate per l'anno d'imposta 2015, con il quale venivano accertati maggiori redditi di capitale non dichiarati e derivanti dalla sua partecipazione come socio in una società di capitali (srl). In particolare, i maggiori redditi erano stati imputati sulla base di presunzioni legate alla ristretta base azionaria della società e al maggior reddito di impresa accertato in capo alla società stessa, dovuto alla contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. I giudici di primo grado, pur facendo riferimento ai principi giurisprudenziali affermati dalla Corte di legittimità in materia di distribuzione di utili in società a ristretta base azionaria, accoglievano il ricorso basando la loro decisione sull'intestazione formale delle quote societarie e sull'incapacità giuridica del ricorrente che aveva prodotto documentazione clinica attestante la sua disabilità intellettiva e lo stato psichico compromesso, evidenziando la sua incapacità di comprendere le operazioni societarie e sostenendo come la sua partecipazione fosse meramente formale essendo il padre amministratore di fatto il quale si sarebbe avvalso delle condizioni del figlio per intestare formalmente a lui le quote sociali. L'Ufficio contestava la sentenza in virtù della titolarità giuridica dei redditi poiché, anche in assenza di capacità di agire, il ricorrente risultava giuridicamente titolare dei redditi derivanti dalla sua partecipazione nella società e l'Erario aveva il diritto di esigere le imposte su tali redditi; eccepiva, inoltre, circa la simulazione delle quote societarie, che anche qualora effettivamente esistente essa non era opponibile all'Amministrazione finanziaria ai sensi dell'art. 1415 c.c.
L'indirizzo di legittimità
L'orientamento della Corte di Cassazione è costante nel ritenere che “la prova della distribuzione, o no, degli utili... non potendo essere tratta dai criteri della normalità della gestione sociale (proprio perché l'utile occulto è un indice della situazione di anormalità della gestione rispetto agli esatti criteri determinati dalla legge), può ben darsi, nei casi indicati, mediante elementi presuntivi. Ne consegue, quindi, l'ammissibilità della prova presuntiva della distribuzione di utili sociali extrabilancio, secondo l'insegnamento di questa Corte... restando a carico dei soci, soprattutto se amministratori, la prova della destinazione di detti utili a finalità diversa dalla distribuzione".
L'applicazione del principio al caso concreto
I giudici territoriali, in ossequio al citato principio, hanno messo in evidenza come, nel caso di specie, le condizioni psico-fisiche del socio ricorrente attestavano esclusivamente che egli avesse un limitato quoziente intellettivo, paragonato dalla ASST ad una “disabilità intellettiva di grado lieve" e, per di più, egli aveva:
regolarmente inviato la dichiarazione dei redditi con indicata la propria partecipazione nella società;
acquisito la propria quota di partecipazione con regolare atto registrato;
stipulato un contratto di mutuo;
sottoscritto un contratto di leasing per l'acquisto di una autovettura.
Le predette condizioni di salute, hanno osservato i giudici, quantunque potessero provato che egli non fosse in grado di gestire la società, non dimostravano, però, che egli, o chi per lui, non potesse avere incassato gli utili extracontabili. Inoltre, la certificazione medica da un lato suffragava la constatazione che il ricorrente era solo l'amministratore di diritto (essendo verosimilmente il padre l'amministratore di fatto) ma non provava che egli non potesse essere il beneficiario degli utili extra contabili realizzati e veicolati dal padre. Sul punto, i giudici hanno, altresì, evidenziato che finanche l'interdetto può partecipare a qualsiasi tipo di società, a condizione che, per compiere certi atti, sussistano le autorizzazioni richieste dalla legge e quindi nessuna limitazione di sorta sussiste alla partecipazione di un interdetto/inabilitato in una società di capitali di cui può essere senz'altro destinatario dei dividendi. È stato, inoltre, dagli interpreti precisato che l'imputazione degli utili extracontabili viene riconosciuta anche per quei soci di società a ristretta base che possiedono quote di minoranza e che non partecipano attivamente alla gestione, se non riescono a provare il loro reinvestimento o l'accantonamento nella stessa società.
Sull'onere della prova
Il Collegio ha ritenuto legittima la presunzione (semplice) di attribuzione ai soci partecipanti alla società degli eventuali utili extracontabili accertati, senza che ciò integri applicazione di una doppia presunzione. Ciò anche alla luce della recente novella sul processo tributario (art. 7, comma 5-bis) che, come confermato dalla S.C., non stabilisce un onere probatorio diverso, o più gravoso, rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all'istruttoria dibattimentale un ruolo centrale. (Sez. 5, Ordinanza n. 31878 del 27/10/2022; in senso conforme, tra le ultime, Sez. 5, 8/5/2024, n. 12575). In definitiva, la prova fornita dal ricorrente circa l'estraneità totale dalla gestione e conduzione societaria non è stata ritenuta dalla Corte lombarda sufficiente a vincere la presunzione di distribuzione di utili extracontabili sostenuta dall'Ufficio.
Fonte: CGT Milano 25 ottobre 2024 n. 2789